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Con Gentile chiuso in bellezza il ciclo «lezioni di storia»

L’esperienza è stata molto positiva, purtroppo divisa fra Trento e Rovereto

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Il ciclo «Lezioni di Storia» ha suscitato un inaspettato successo nel pubblico. Le platee dei teatri Sociale di Trento e Zandonai di Rovereto sono state sempre riempite e spesso anche le file di spalti.
In alcuni casi gli applausi sono stati davvero sentiti, in un caso la gente avrebbe voluto ascoltare ancora il relatore.
Un unico peccato, quello che sono state in parte tenute al Sociale e in parte allo Zandonai. Difficilmente la gente si è spostata in un senso o nell’altro. L’inizio alle 11 era tale da non modificare le abitudini domenicali dei Trentini, mentre il trasferimento era troppo impegnativo.
Il suggerimento per la prossima occasione (ci auguriamo ci sia) è dunque che i cicli siano dedicati ognuno alle due piazze.

Ha chiuso questa mattina in un teatro Zandonai con tanto pubblico il ciclo di lezioni di Storia Laterza, promosso da Provincia Autonoma di Trento, Comune di Trento, Comune di Rovereto e Centro Servizi Culturali Santa Chiara, dagli Editori Laterza e realizzate con il sostegno di Casse Rurali Trentine,Cavit, Dolomiti Energia e Mediocredito Trentino Alto Adige.
«Un'iniziativa – spiega Claudio Martinelli, dirigente del Servizio attività culturali della Provincia - che ha riscosso un ottimo successo, portando complessivamente oltre 2.500 persone a teatro nelle nove lezioni, nonostante la collocazione di domenica mattina.»
«Il bilancio delle Lezioni Laterza – commenta l'assessore provinciale alla cultura, Tiziano Mellarini – è certamente molto positivo, così come l'interesse generale suscitato da questa iniziativa che aveva l'obiettivo di proporre, in questo periodo di celebrazioni del Centenario, le tematiche legate al primo conflitto mondiale in un'ottica divulgativa, adatta a tutti, con particolare attenzione al coinvolgimento dei giovani.»
 
Tornando alla lezione, questa mattina il Teatro Zandonai ha ospitato lo storico Emilio Gentile, professore emerito dell'Università La Sapienza di Roma, che ha tracciato un percorso sul tema «Rappresentazioni. La Grande Guerra degli artisti».
Introdotto dallo storico trentino Marcello Bonazza, Gentile ha realizzato un interessante excursus all'interno delle espressioni artistiche che hanno prima invocato, poi accompagnato la Prima Guerra mondiale con il loro armamentario di quell’enfasi comunicativa tipica degli intellettuali interventisti dell'epoca.
«Ma – ha spiegato Gentile – non si trattava di un fenomeno legato ai soli futuristi più esaltati, basti pensare ad un noto passo di Thomas Mann nel quale il romanziere tedesco definisce gli anni della Belle Epoque verminosi e corrotti, auspicando una guerra purificatrice.»
Gentile si è dunque chiesto il perché di questo sentimento diffuso fra gli intellettuali, del perché, insomma, la guerra fosse diventata un mito di tanti giovani artisti, l'unico evento che potesse mettere fine ad un'epoca, secondo loro, ormai incancrenita e riversata su sé stessa.
 
La guerra invocata iniziò molto prima dell'evento bellico, anticipandone le istanze al primo decennio del '900. Un evento dipinto in modo quasi mistico, così come il mito del condottiero che ha sempre avuto vasta eco nell'attività degli artisti, dai tempi della guerra di Troia alle rappresentazioni romane (pensiamo all'arco di Traiano), all'arte di Paolo Uccello o Piero della Francesca, fino alle guerre continentali di Napoleone e i dipinti dei pittori di corte.
Nell'800 si rafforzò il concetto di guerra quale rappresentazione dell'eroismo, sottolineandone gli aspetti epici e sacrificando nella narrativa i morti fra i soldati e i civili.
Ma non c'era solo esaltazione della guerra; Francisco Goya utilizzò l'arte quale rappresentazione delle violenze e delle crudeltà delle guerre.
Nel complesso, però, l'arte raccontò la guerra come un elemento positivo, di rigenerazione, eroismo, tensione morale. P
oi, nel periodo dal 1870 al primo decennio del '900, questo soggetto scomparve dalle rappresentazioni degli artisti, parallelamente al lungo periodo di pace vissuto dall'Europa.
 
Nel 1911, però, ritornarono in auge i dipinti di guerra, con nuovi stili fra i quali spiccavano quelli di avanguardia che anticipavano, attraverso il futurismo, i venti di guerra, comunque sempre presenti in filigrana in tutti questi anni.
Colpisce a proposito un articolo del Corriere della Sera del 1911 citato da Gentile che anticipa con incredibile precisione le distruzioni della prossima guerra, in anni in cui però ancora si parlava di Belle Epoque.
«Gli artisti – ha spiegato Gentile – hanno antenne sensibili e capiscono in anticipo che quella civiltà, quell'epoca storica è al capolinea e utilizzano lo strumento artistico per anticiparne il messaggio. Non solo i nostri futuristi, ma anche i russi, gli irlandesi, che parlavano apertamente di un'Apocalisse imminente.»
 
Ci fu insomma la voglia e l'esaltazione dell'idea di guerra e poi, quando scoppiò, l'attesa di vederne gli effetti, anche se va detto che in molte opere qualche preoccupazione iniziava a serpeggiare e venivano evocati scenari cupi di partenze, di distruzioni, di vedove vestite di nero.
Eppure, il fascino del conflitto sugli intellettuali fu irresistibile. Molti di quegli artisti, infatti, partirono volontari per il fronte, per vedere come era «dal vivo» quell'evento tanto anelato.
Tanti vi morirono, altri tornarono a casa sconvolti da quello che avevano veduto.
E per tanti mesi, invocato.

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