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Il romanzo dell'estate: «Operazione Folichon» – Capitolo 5°

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Guido de Mozzi

«Operazione Folichon»

Primavera - Estate 2010

PERSONAGGI


Dott. Marco Barbini

Imprenditore italiano

On. Vittorio Giuliani

Senatore della Repubblica Italiana

Arch. Giovanni Massari

Imprenditore italo americano

Eva de Vaillancourt Massari

Moglie di Massari

Geneviève Feneuillette

Baby-sitter di casa Massari

Antonio Longoni
Cesare Agnolin
Giancarlo Negroni

Soci d'affari di Massari

Julienne (Giulia) Lalancette

Assistente di Massari

Rag. Luciano Pedrini (610)

Promotore finanziario di Massari

Giuseppe Kezich

Maestro di caccia

Amélie Varenne

Estetista di Eva Massari

Ing. Giorgio Scolari

Titolare del calzificio Technolycra Spa

Col. Antonio Marpe

Dirigente del Gico

Gen. Massimo Frizzi

Alto funzionario della DIA

Massimiliano Corradini

Finanziere sotto copertura del Sisde

Ammiraglio Nicola Marini

Direttore del Sismi


Nomi, fatti e personaggi di questo romanzo sono frutto della fantasia dell'autore.
Eventuali riferimenti alla realtà sono fatti solo per inquadrare il momento storico di riferimento.
Il locale «
Le Folichon» esiste, ma non è mai stato teatro di fatti come quello descritto nel presente romanzo.


Capitolo 5.



Eva mi lasciò all'ufficio di suo marito, mi salutò e se ne andò. L'ufficio era una villetta stile coloniale a tre piani a schiera inserita a schiera in una delle strade occupate per lo più da agenzie immobiliari. Dietro avevano il posteggio e davanti l'ingresso per il pubblico.
Mi presentai e una signorina mi portò da Julienne, l'assistente di Giovanni Massari.
«Buongiorno.» - le dissi in italiano.
«Buongiorno.» - rispose con un sorriso.
«Divertita ieri sera?» - chiesi con finto tono polemico.
«Il signor Massari l'aspetta.» - rispose sempre con un impeccabile sorriso. Mi accompagnò nell'ufficio del capo.
«Hallo! Hallo! Hallo!»
«Buongiorno Giovanni.»
Mi fece accomodare.
«Ci ho pensato. - disse subito. - Se ti piace lavorare sul bianco, perché non fai una campagna pubblicitaria in Italia per vendere immobili in Nord America? Allora il business diverrebbe un'industria e tutto si svolgerebbe per forza di cose secondo i sacri canoni. Tra un anno potremmo lanciare l'iniziativa in borsa e approdare a Wall Street.»
L'amico non perdeva tempo.
«Un passo alla volta. - lo frenai. - La campagna volevo proportela io, solo che mi hai anticipato. Prima però voglio farti un paio di domande.»
«Prego, sono tutto per te.»
«Vorrei sapere come fai a riservarmi una provvigione del 10% e nel contempo garantire rendite dell'8-9% ai clienti.»
«La prima risposta è la più semplice: ricarico i prezzi del 30%.»
«Dio mio, ma quanto costano allora gli immobili qui?»
«Una miseria. Il Québec sta uscendo da una crisi spaventosa provocata da troppi anni di inutile lotta per la separazione dal resto del Canada. Pensa che...»
«E in che fase sta la secessione?»
«Finita per sempre. E' stato respinto anche l'ultimo referendum per la separazione dal Canada. Ma era un errore storico in partenza. Il Québec sarebbe un paese troppo poco popolato per reggere la concorrenza internazionale. Ora, finalmente, i capitali stanno tornando in Québec. Pensa, stavo dicendoti, che Montréal aveva tre milioni di abitanti quando ha organizzato le Olimpiadi nel 1968. Ora ne ha pochi di più. Toronto invece, che sta dall'altra parte del lago di Ontario e non ha avuto le olimpiadi, nello stesso periodo ha raddoppiato gli abitanti solo perché non si trovava nella provincia del Québec, in odore di secessione.»
«E perché sarebbe questo il momento per investire in Québec?»
«L'affitto di un'abitazione costa uguale sia a Toronto che a Québec City. Solo che a Toronto la stessa unità costa il triplo che a Québec. E qui sta la risposta anche alla seconda domanda.»
«Mi stai quindi dicendo che gli investimenti immobiliari rendono in Québec tre volte tanto che nel resto del Canada. Ho capito bene?»
«Oh, bravo. E dato che per un europeo è impensabile che un appartamento costi solo una cinquantina di milioni di Lire, il business si crea da solo.»
«Ma allora perché non facciamo questa campagna per tutta l'Europa?»
«Eh no, amico. Facciamo il business insieme, ma la campagna la fai tu. Io mi limito a fornirti gli immobili e a versarti le provvigioni. Niente pubblicità per me. Resto nell'ombra.»
Ci pensai un po'.
«Perché no. - risposi infine. - Penso che si potrebbe fare.»
«Ottimo, - disse radioso, e mi diede la mano. - Prima che tu parta facciamo un contratto in tal senso. OK?»
«OK.»
«Ora, ti consiglio di andare a versare l'assegno che hai in tasca.»
«Ah già. Perché non mi hai dato contanti, se era tutto nero?»
«Prova a versare in una qualsiasi banca canadese o americana una somma in contanti di queste dimensioni e sappiami dire com'è andata.» - Rise.
«Perché?» - chiesi ingenuamente.
«Perché ci sono leggi ferree contro il riciclo del denaro sporco. Quello della mafia, voglio dire. Un italiano che versi anche solo 5 milioni in contanti, per loro è un mafioso.»
«Ma l'assegno lascia tracce...»
«E' di una banca americana e tu lo verserai in una banca canadese. Da lì, poi, lo trasferirai dove ti pare. Nessuno ti beccherà. Se poi vuoi far perdere le tracce, allora fa' una triangolazione una banca austriaca, credimi. Giulia ti accompagnerà in una banca, poi fa' quello che vuoi. Ti consiglio Le Crédit de Montréal, ma scegli quella che ti pare.»
Chiamò Giulia e ci fece uscire con la macchina della ditta.

Guidava lei. La pelliccia, aprendosi, lasciava vedere una gonna appena sopra il ginocchio, ma con la guida tendeva ad accorciarsi abbastanza da attirarmi l'occhio.
«Cosa fai stasera?» - le chiesi dopo un po'.
«Quello che vuole. - rispose. - Ma credo che lei sia occupato con...»
«Se mi dai del tu continuiamo a parlare, altrimenti, mi fai da autista e non parliamo più. OK?»
«Anche questa è una prepotenza maschile. Non le pare?»
«Va' al diavolo. Abbiamo avuto un attimo di intimità, con possibilità di storia. Per me è stato un fatto abbastanza importante da farci dare del tu. Ma fa' l'autista ché ti viene meglio, valà.»
Mi accorsi di essere stato stupidamente duro, il tipico maschio del cazzo. Ma questi giochetti di orgoglio femminile...
Suonò il suo portatile. Aprì la comunicazione e rispose. Era Massari che doveva dirle qualcosa. Alla fine della chiamata, mi chiese se andava bene Le Crédit de Montréal, indicandomela con un dito fuori dall'auto. Alzai le spalle.
Andò avanti, poi non seppe più cosa fare e fermò l'auto.
«Mi dica dove devo portarla.»
«Richiamami Massari.»
«OK. - Disse, cambiando tono. - Hai vinto. Dove devo portarti?»
«Al diavolo, ti ho detto. Chiamami Massari.»
Arrossì e prese il telefonino. Poi me lo passò.
«Scusa, Giovanni. - dissi, mentre lei guardava dall'altra parte aspettando la mia sfuriata con il suo capo. - Ho voglia di distrarmi. Se puoi fare a meno di lei, perché non dici a Giulia di portarmi da qualche parte a spassarmela?»
«A spassartela in maniera disinvolta o in maniera sfacciata?»
«Sfacciata.»
«Passamela.»
Lei prese il portatile e ascoltò le disposizioni di Massari.
«Sì, capo. Certo, capo. Come ha detto? No, no, come vuole.» - Chiuse la comunicazione e mi guardò.
«Facciamo la pace?» - chiesi porgendole la mano. Me la guardò e rimase un attimo incerta. Poi sorrise e me la prese.
«Pace fatta.? - mi assicurò. - A quale banca TI porto?»
«Prima mi porti al Consolato Italiano. Sai dov'è?»
«Sì, certo. Sull'Ottantaduesima Strada, a Charlesbourg. Non è lontano da qui.»
Arrivati al consolato, le proposi di entrare perché faceva freddo ma la lasciai nella sala d'aspetto.
«Faccio presto.» - Le dissi strizzandole l'occhiolino.
Un funzionario del consolato, non molto alto in verità e con pochi capelli, mi fece strada al piano superiore. Bussò alla porta e mi fece entrare senza attendere risposta. Mi vennero incontro il Console Onorario Italiano Pietro Vassalli, il Console Generale di Haiti André Farain e il mio amico senatore. Avevamo un incontro riservato. Affrontammo subito l'argomento. L'intermediazione italiana avrebbe potuto davvero essere importante per la costruzione democratica di un sistema fiscale moderno ad Haiti, perché ultimamente i rapporti storici con la Francia si erano affievoliti.
«Quello che manca ad Haiti, - mi disse il console Farain per riassumere i termini dell'incontro che c'era stato, - sono i soldi. Ma senza sistema fiscale, il Paese non resterà libero neanche un paio d'anni. Se grazie al vostro governo riuscissimo a spiegare ai nostri concittadini perché devono pagare le tasse, avremmo fatto un primo passo verso la democrazia.»

«In che banca ti porto?» - Mi chiese Giulia alzandosi in piedi non appena mi vide scendere dalle scale.
«Il Crédit de Montréal va bene.»
Mezzora dopo ero diventato uno dei clienti di riguardo della filiale del Crédit de Montréal di Rue Pavillon, avevo un libretto di assegni, una cash & credit card e una certa quantità di contante. Avevo anche firmato una disposizione per trasferire gran parte del danaro nel mio conto acceso presso una filiale di Fort Lauderdale della Barnett Bank.
«Dove mi porti, ora?» - le chiesi uscendo.
«Massari mi ha deto di portarti al Folichon.»
«Bene. - risposi. - Andiamo al Folichon allora. Cos'è?»
«Al Folichon ci vai da solo. - rispose, peraltro poco convinta. - Perché...»
«Perché?»
«Perché è un topless bar.»
«E' un posto volgare o pericoloso?»
«No, non lo è. Ci sono passate tutte le ragazze di Québec, dai 18 ai 25 anni... Forse dai 16 ai 30, a dire la verità.»
«Anche quelle di buona famiglia?»
«Anche quelle, ma non solo quelle.»
«Tu ci hai lavorato?» - le diedi un'occhiata professionale.
«Vuoi dire come ballerina?»
«Anche.»
«No.»
«Non ti hanno presa?»
«Sono timida. Mi vergogno a spogliarmi in privato, puoi immaginarti in pubblico.»
«Meglio così, no?»
«Chissà. Le migliori ragazze del Folichon si sposano tutte e molto bene.»
«Eva, la moglie di Massari, è passata dal Folichon?»
«Ma no! Cosa dici?»
«Calma, calma, non ti tocco certo la padrona… Ha ha!» - Era solo uno dei miei soliti filtri.
«No, lei è sempre stata diversa. Lei era una cosa superiore, di classe, un'aristocratica.»
«Come me?»
«Tu cosa?»
«Io sono un aristocratico.»
Mi guardò perplessa, poi tornò alla sua ironia.
«Ah, bene, perché il Folichon è il posto degli gli aristocratici.»
«Posto interessante allora. - dissi indifferente. - Se mi accompagni, ci andiamo.?
«E' un posto da uomini! - protestò. - Ci vai da solo.»
«Cristo, ti vergognerai a spogliarti forse. Ma non a vedere qualcun'altra che lo fa, no? O devo telefonare di nuovo al capo?»
Non rispose e si diresse al Folichon.
«Ci va spesso Massari?»
«Sarebbe una risposta riservata, ma dato che mi ha addirittura suggerito quale ragazza consigliarti...»
Si girò dall'altra arrossendo.
«Insomma, ci va.»
«Sì. E' un locale di lusso, ti ho detto. E pensa che quando paghi con carta di credito, sull'intestazione leggi Restaurant Le Président. Così le mogli non vengono a saperlo neanche controllando le ricevute.» - Fece il suo primo sorriso spontaneo del giorno.
A mezzogiorno, il locale era aperto e molto frequentato.
«Non sembra male.» - Dissi lasciando i cappotti al guardaroba. La guardarobiera e le cameriere vestivano la sola giacca nera del frack, un minuscolo tanga bianco argento che dietro non si vedeva affatto, un cravattino a farfalla dello stesso colore attorno al collo privo di camicia, un fermacapelli igienico sulla testa sempre grigio argento, niente calze o collant, tacchi a spillo molto alti, e un trucco molto generoso per quanto raffinato.
Una di loro ci accompagnò al solito posto di Massari, un tavolino sito in posizione riservata, che ci consentiva di vedere il palcoscenico senza metterci troppo in vista. Giulia cercò di vincere l'imbarazzo facendo movimenti sicuri e determinati. Poi si sedette e mi diede il menù.
«Cosa desideri?»
«Che spumante hanno?»
Chiamò la cameriera e glielo chiese. Questa mi guardò e mi disse che avevano persino Champagne. Fece un sorriso al quale non si poteva dire di no.
«Speriamo che non sia americano. - risposi. - Ci porti anche i vostri migliori apetizer della casa.»
La cameriera sorrise, si girò, mostrando sotto le code del frack un sedere più che dignitoso, e scomparve.
«Che differenza c'è tra le cameriere e le ballerine?» - chiesi a Giulia.
«Dipende. Il più delle volte fanno le cameriere quelle che non sono abbastanza belle da spogliarsi. Altre volte sono belle ragazze che non vogliono spogliarsi affatto.»
«Sono più erotiche le cameriere.»
«Aspetta a dirlo...» - disse maliziosa.
«Si tolgono tutto?»
«Guarda tu.»
Mi indicò il palcoscenico. Capii presto il meccanismo. La ballerina consegna la sua musica alla regia, fa il suo numero, si spoglia del tutto, poi esce di scena. Si riveste dietro le quinte e poi gira per i tavoli a disposizione dei clienti ai quali si è appena mostrata. Questi la pagano 6 dollari canadesi per vederla spogliare tutta per loro su uno sgabellino che mettono a pochi centimetri da loro. Per altri sei dollari e poi altri sei, va avanti finché vuoi. Ti si struscia addosso, ma non puoi toccarla. Le puoi accarezzare elegantemente il sedere, ecco. Una tortura di Tantalo? No. Dicono di non poterlo permettere perché se no rischiano di perdere il posto e la faccia, ma in realtà è solo perché vogliono scegliere loro il cliente che gli piace.
Dopo aver bevuto abbastanza champagne, che non era della California grazie a Dio, e mangiato l'immancabile salmone affumicato del Canada, chiesi a Giulia di chiamarmi una ballerina. Giulia fece cenno alla cameriera, questa venne e l'ascoltò in un orecchio. Poi si adoperò a spreparare il tavolino, lasciandosi guardare la parte più intrigante del suo sedere attraverso quella fantastica coda del Frac che si apriva mentre si chinava in avanti.
«Sicura che con le cameriere non ci sia nulla da fare?» - chiesi sottovoce, indicando con gli occhi ciò che guardavo.
«Non si può mai dire. - Sorrise. - Ma ho fatto chiamare Jasmine.»
«Chi è?»
«Me l'ha suggerita Giovanni. Non so chi sia.»
Infatti, in pochi minuti venne una splendida ragazzina bionda, vestita con minigonna e maglietta. Sistemò lo sgabellino davanti a me e si spogliò a ritmo di musica con eleganza davvero professionale. Era bellissima e depilata con la ceretta. Con la coda dell'occhio non mi scappava l'espressione di Giulia che la guardava più che ammirata. Alla fine chiesi di continuare e così, nuda, si fece intorno a me senza segreti per le sue intimità. Poi, però, le chiesi di farlo anche alla mia accompagnatrice. Giulia rimase interdetta e provò ad impedirglielo, ma non ci fu nulla da fare che godersi lo spettacolo erotico tutto per lei. Alla fine le chiesi se voleva sedersi al nostro tavolo. Accettò, andò a prendere un asciugamano e lo mise sulla sedia, quindi si sedette. Rimase a chiacchierare con noi senza niente addosso. Ero lieto che Giulia si fosse rilassata partecipando al gioco. Ma ero lieto anche che una così bella ragazza sedesse composta e disinvolta, senza nulla addosso, al nostro tavolo.
Alla fine ci chiese amichevolmente se volevamo scopare; aveva fatto la sua scelta. Giulia lasciò che fossi io a rispondere.
«No grazie. - dissi. - Sarà per un'altra volta. Domani, magari, chissà.»
«Perché non ne approfitti? - Mi chiese Giulia provocatoriamente. - E' bellissima.»
«Ti ringrazio. - Risposi. - Se ci stai anche tu...»
«Io? Che c'entro io?»
«Sì, in tre. Noi tre. Mi pare che piacesse ad entrambi, no?»
«Marco!» - si finse offesa, ma aveva capito lo scherzo.
Jasmine non si era ancora alzata che si avvicinò improvvisamente a me la cameriera e mi parlò in un orecchio.
«Signor Massari?»
Ricordai che avevano riservato il tavolo a nome di Giovanni.
«Sì?»
«Mi segua. Le sue amiche la stanno aspettando.»
Giulia non aveva capito e io non volevo spiegarle nulla. Misi dei dollari sul tavolino.
«Torno subito. Intanto socializzate.» - Mi limitai a dire, lasciandola da sola con Jasmine. Volevo vedere di nascosto come se la passava il Massari, a dispetto della fedeltà della moglie.
Seguii la cameriera, senza distogliere lo sguardo dalla parte più provocante di quell'incredibile divisa erotico-formale. Le code del frack pendolavano di qua e di là ritmicamente, sollecitate dal passo deciso della ragazza. Non capivo come il sedere potesse apparire completamente nudo se davanti avevano un perizoma che doveva pur essere allacciato anche dietro.
Quando alzai gli occhi, eravamo un una stanza lussuosa, appena illuminata sul soffitto da luci morbide e colorate. La cameriera mi lasciò e chiuse la porta. Mi girai e vidi un letto scuro, sul quale due ragazze nude legate tra di loro vis-à-vis come un salame. Si muovevano sofferenti. Ai fianchi erano appoggiate due grosse fruste di cuoio intrecciato, e subito pensai che l'amico Giovanni avesse gusti più hard di quelli che aveva confessato a sua moglie. Mi avvicinai con una certa apprensione, pensando a come avrei dovuto comportarmi.
In un attimo venni preso da due o tre uomini che mi immobilizzarono, uno dei quali passando le braccia sotto le ascelle intrecciando le dita dietro la mia nuca. Ero bloccato e mi stringeva tanto forte da farmi temere che mi avrebbe rotto l'osso del collo. Non riuscii a parlare perché non mi riusciva neanche di chiudere la bocca.
«Le vedi le tue amichette, Giovanni? - Mi chiese da dietro una voce italiana dall'accento americano. - Scopavano solo con te, ricordi? Le pagavi perché si spogliassero davanti a tutti purché venissero a letto solo con te. Bene, devi sapere che le cose sono cambiate. Primo, se le sono violentate i miei uomini per un'ora. Secondo, non si spoglieranno più. Su, ragazzi. Fateglielo vedere.»
Mi diedero uno strattone per farmi alzare la testa di brutto e guardarle per forza di cose. Erano così assurdamente legate tra loro che sembravano si stringessero più per la paura che per la costrizione.
«Forza, ragazzi.» - Ordinò poi.
Due omaccioni con un costume da lotta grecoromana e con la testa mascherata da carnefici medievali, presero le fruste ed iniziarono a colpire le poverine con tutta la loro forza, facendole saltare come... come...
Provai a cacciare urla per fermarli, ma non mi riuscì. D'altronde, ora la musica era così forte che a malapena sentivo le urla delle ragazzine. Dopo un'eternità di qualche secondo, si fermarono e abbassarono le fruste. Le due erano forse svenute. Dei rigoni scuri segnavano i loro poveri corpi delicati, e almeno una doveva aver fatto la pipì.
«Ultimo avvertimento.» - Sentii dire, prima che la stretta al collo si contraesse di scatto fino a farmi svenire.

Mi risvegliai dopo una brevissima quanto interminabile serie di sogni e incubi di varia natura, mettendo pian piano a fuoco il viso di Giulia e di due cameriere chinate su di me che cercavano di farmi riprendere. Ero vestito, sdraiato su un divano, ma non ero nella stanza dov'ero svenuto. Nonostante la situazione, mi piacque essere soccorso da tanta grazia femminile. Evidentemente ero vivo. Una giovane ragazza si accorse dei miei pensieri, ma si limitò a osservare che mi stavo riprendendo.
«Non è nulla.» - Mi disse Giulia prendendo il posto della cameriera a portata della mia mano.
Mi guardai intorno con un certo indolenzimento al collo. Provai a dire qualcosa.
«Non ero qui.»
«Infatti, ti sei sentito male in toilette. - Precisò Giulia. - Ti hanno trovato svenuto là e mi hanno chiamato. Sei in una camera del piano terra.»
Qualcosa mi disse che non dovevo contestare quella versione.
«Non preoccuparti. Non è la prima volta che dopo un viaggio così lungo, col fuso spostato di sei ore e magari una notte insonne, una bottiglia di champagne... Ecco, ti mancava solo una... una... Come dire?»
«Una scopata, volevi dire?» - strinsi gli occhi dal male alla testa.
«Sì, ecco.»
«Beh, la scopata mi manca tuttora.» - Obiettai.
Lei ovviamente non aveva capito cosa fosse successo e cercai di riordinare le idee in silenzio. Mi alzai piano, con uno strano dolore al collo, come se fossi stato tamponato da un'auto. Mi sistemai la giacca. Lei mi chiese se me la sentivo di andarmene. Ma certo, risposi. Tanto, non guidavo io.
In auto, al ritorno, rimasi in silenzio. Avrei dovuto parlarne con qualcuno, ma con chi? Con Eva? L'avrei solo spaventata a morte. Con la polizia? No, niente autorità. Con Massari? Però allora avrei dovuto dirgli della confidenza fatta dalla moglie. Eppure, qualcuno aveva mandato un messaggio chiaro e forte a Giovanni e dovevo riferirglielo, altrimenti il sacrificio delle ragazzine sarebbe stato vano. Mi venne da vomitare.
«Andiamo in albergo, per favore.» - Chiesi a Giulia.
«Mi sembra la soluzione migliore.» - Convenne.
«Credi che abbiano un buon massaggiatore in albergo?» - Chiesi stropicciandomi il collo.
«Hanno anche un kiropratico. Forse è meglio se hai così male al collo, non ti pare? Devi essere caduto malamente.»
«Dici?»

Giunti in albergo, mi accompagnò alla reception, chiedendo di trovare il primo kiropratico libero e di mandarlo alla 1734. Mi accompagnò in stanza e mi aiutò a spogliarmi. Stavolta mi sentivo pulito e non la lasciai un solo minuto. Mi fece mettere l'accappatoio dell'Hotel, così mi tolsi gli slip. Mi sedetti sul letto. Lei guardò dalla finestra il suo San Lorenzo.
«Mio Dio. - Commentai. - Non ho scopato davvero, sai?»
«E' tutto lì il problema?»
«No. - Sorrisi, tenendomi la testa indolenzita. - Vieni qua.»
Si avvicinò al letto. L'accarezzai mettendo una mano sotto la gonna e lei non me lo impedì. Non cosa che mi ecciti più di una donna che si lascia accarezzare così, ed alzai il viso per chiamare un bacio. Vinsi il mio male al collo e lei avvicinò le sue labbra alle mie. Iniziammo a baciarci piano provando a dar via libera alla carica erotica che avevamo accumulato al Folichon, quando bussarono alla porta. Ci separammo di scatto e lei andò alla porta. Era il kiropratico.
«Rimani.» - Le dissi.
«Come vuoi.»
«Mi chiamo Gédéon. Gédé, per gli amici.»
L'uomo, sui 35 anni, aprì la grande valigia che si era portato con sè. Estrasse e montò una brandina rigida, accese un radioregiostratore con musiche hawaijane, chiese alla donna di uscire con una voce da checca, non squallida peraltro, ma pur sempre da checca.
«No. - Ordinai. - Lei resta qui.»
Avevo bisogno di una vicinanza amichevole. Lui la guardò.
«Va bene… - Disse allora. - Però che si metta da una parte e non si muova. Non deve disturbarci finché non ho finito.»
Mi sfilò l'accapatoio ed entrambi mi guardarono sia il sesso che il sedere. La legge del taglione.
«Buon divertimento, ragazzi. - Dissi mostrandomi in piedi. - Però il mio problema è al collo.»
«Non me ne ero accorto. - Disse lui con sapienza. - Avrò un bel po' di lavoro da fare, ma stasera sarai di nuovo in piedi.»
Mi diede una sculacciata amichevole. Confesso che non mi infastidì.
Alla fine sonnecchiavo in trance, tanto che lui chiese aiuto a Giulia, suo malgrado, e mi misero a letto.
«Non è male il ragazzo. - Disse il kiro alla ragazza. - Sei fortunata.»
«Se vuoi, te lo presto.» - Pronunciò ad alta voce in modo che la sentissi.

Quella sera mi vennero a prendere per andare a cena, a casa di Massari, ospiti della cucina di Eva. Stavo molto meglio, ma non avevo ancora deciso come comportarmi. Cercai di essere gioviale, ma non mi riusciva di togliermi dalla mente le due ragazzine seviziate davanti a me.
«Dio mio, Dio mio.» - Mi sorpresi a dire, dopo aver respinto un senso di nausea.
«Che c'è, Marco?» - Mi chiese il Senatore, che avvertiva il mio mutamento di umore.
«Niente, niente. E'... E' che... Che non sono mai andato a caccia. Ecco.»
«Sarà un'avventura eccezionale, anche se non spari. Anzi, non portare armi con te.»
«No, no! - Mi affrettai a dire. - Voglio anch'io un fucile. Che diamine! Si va a caccia o no?»
«Sì, sì, d'accordo.» - intervenne Giovanni. - Certo. In bilblioteca c'è una fuciliera, puoi scegliere quello che vuoi.»
Quando ci alzammo per andare a prendere il cognac, aprii l'armadio e scelsi un Remington 30-30 a ripetizione semiautomatica, senza canocchiale. Il Senatore mi guardò male.
«Come tutti i principianti, sei attirato più dal volume di fuoco che dalla precisione.»
Già, pensai. Proprio così. E presi quattro scatole di munizioni, indifferente alle risate dei presenti.

Ci portò in albergo Luciano Pedrini con la macchina della ditta. Il portiere ci lasciò scendere e uno di loro salì in auto per portarla in garage. Vidi la porta girevole che invitava subdolamente Luciano a entrare di corsa con i suoi 130 Kg. Provai a fermarlo, ma non mi riuscì. Chiusi gli occhi.
Entrò nella hall senza incidenti. Un buon auspicio per il giorno dopo.
Ma non era finita. Appena lasciati gli amici, presi un taxi e andai al Jules & Jim. Trovai il padre di Giulia. Mi vide e mi venne incontro gioviale.
«C'è Giulia?» - Gli chiesi subito.
«Vado a chiamartela.»
Dopo alcuni minuti io e lei stavamo chiacchierando in un separè. Arrivò suo padre.
«Scusa, Marco. Ma quando dicevo che mia figlia non ha trovato l'uomo giusto, non intendevo invitarti a...»
«Papà, per favore...»
«Qual'è il problema, Alain.» - Gli chiesi.
«Se volete, divertitevi. Scopate, fornicate pure, ma ricordatevi che prima o poi deve anche trovarsi un marito.»
«Papà! - Giulia alzò la voce. - Quando cazzo la smetterai di... Vieni, Marco, andiamo a divertirci.»
Dopo una mezzora eravamo finalmente a letto insieme, non prima di averle accarezzato per un'eternità le cosce da sotto la gonna e non prima che lei mi avesse spogliato pian piano e frugato un po' dappertutto. Ad un certo punto mi diede una sculacciata come aveva fatto la checca. Ci trovò gusto e la lasciai fare, finché non volli prendere l'iniziativa io. Cercai di farla venire più volte e credo di asserci riuscito. Poi ripassai l'iniziativa a lei.
«Dopo una giornata come questa, - le confessai, - sono come la mayonese.»
«Perché, cosa fa la mayonese?»
«Se non viene, impazzisce.»
«Stavolta, la mayonese la faccio venire. Parola di Palato Delicato.»

(Continua)
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