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A tu per tu con Renzo De Stefani

Il primario del Servizio di salute mentale di Trento ci parla del suo nuovo libro

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«Psichiatria mia bella» (Edizioni Erickson, 2012) mi sta particolarmente a cuore – ci dice De Stefani – anche perché l’ho scritto assieme a un giornalista trentino, Jacopo Tomasi.
Racconta la mia esperienza quarantennale nella salute mentale in Trentino nei quali abbiamo cercato di offrire a utenti e familiare dei percorsi di cura che li vedessero particolarmente coinvolti e Jacopo ne ha intervistati molti e viene fuori un libro di storie umane ricche e interessanti e anche un pò quella che è stata l’evoluzione della psichiatria italiana dopo Basaglia e dopo la 180 che a Trento è riuscita a fare tutto sommato anche cose apprezzabili.
 
Nel libro, come ci ha detto, sono raccontate molte storie. Ce n’è una in particolare che L’ha colpita?
Forse due più che una. La prima risale all’inizio degli anni Ottanta.
Io ero un giovane psichiatra che lavorava in Val di Non e una delle persone che era uscita dall’ospedale psichiatrico era Giancarlo.
Giancarlo era un ragazzo tenero, gentile e dolce con problemi di salute mentale che non siamo riusciti però ad aiutare.
Non siamo stati capaci, noi e tutta la comunità, di ridargli quella dignità di vita che lui si aspettava tant’è che ha deciso di lasciare la Val di Non e questa terra.
Io ho sempre pensato a lui come a una persona straordinariamente sensibile a cui non eravamo riusciti a dare quello che era doveroso dare tanto che il libro inizia con la sua storia ed è dedicato a lui.
Poi c’è un’altra storia che è quella di Maurizio che è un ragazzo che invece, in questi anni, ha avuto l’opportunità di ritrovare dentro di sé, con la sua famiglia, con noi, con la comunità delle risorse importanti e che sta facendo una vita che merita di essere vissuta.
Questo libro in fondo cerca di offrire alle persone che perdono il senso della vita un motivo per ritrovarlo.
 
In questi quarant’anni quali sono stati i risultati maggiormente positivi? Sotto quale aspetto si è cambiato in meglio?
Secondo me si è cambiato in meglio in due cose. Siamo riusciti a Trento, ma non solo a Trento, a organizzare dei servizi che offrono risposte diverse, integrate rispetto alla crisi, alle famiglie, alle strutture. Insomma, è cambiato veramente tutto rispetto al vecchio manicomio.

L’altro aspetto, che è molto più caratteristico dell’esperienza trentina, è che abbiamo cercato di dare il più possibile valore all’esperienza di vita dell’utente e del familiare; abbiamo creato una figura un po’ particolare che sono gli UFE (Utente Familiare Esperto) che lavora dentro il sistema, che è riconosciuta dall’azienda sanitaria e che offre agli altri utenti che ancora stanno male un enorme sostegno perché chi sta male vede in un suo pari, in un ex utente un motivo di fiducia e di speranza.Questo è un po’ il nostro biglietto da visita che sta riscotendo parecchio interesse sia in Italia che all’estero.
 
A chi consiglia di leggere il libro?
Io lo consiglierei soprattutto a quei cittadini che non sono operatori di servizio o di sistemi socio sanitari ma che hanno curiosità di capire da storie di piccola e grande umanità cosa voglia dire avere incontrato la malattia mentale.
Credo sia un libro leggero, stimolante che può far riflettere. Giancarlo forse a qualcuno potrà creare anche qualche lacrima ma ci sono anche tanti sorrisi per tante storie che vanno bene.

 

Intervista a cura di Chiara Limelli

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