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Alle ore 2.40 del 25 luglio di 80 anni fa crollava il fascismo/ 1

Con un semplice voto democratico del Gran Consiglio crollava la «dittatura costituzionale» durata più di 20 anni – Parte prima: la situazione di crisi

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Mussolini, in una delle ultime apparizioni al Balcone di Piazza Venezia.

Ciò che più sorprende nella dichiarazione di guerra del 1940, firmata dal Duce e controfirmata dal Re, è la leggerezza con cui fu presa quella fatale decisione. E adesso che avevamo il nemico in casa si domandavano come avesse potuto accadere. E non sapevano come uscirne.
L’Italia era completamente impreparata per una guerra. A parte alcuni reparti, che oggi chiameremmo speciali e che compirono atti eroici incredibili, l’esercito era stato dimenticato da Mussolini. Nel Ventennio era stato privilegiato lo Stato Sociale allo Stato Militare, per cui potremmo dire «Tanto di cappello», se poi non avesse rovinato tutto con l’entrata in guerra.

Basti pensare che nel 1943, in piena crisi su tutti i fronti, 50.000 ragazzini andarono regolarmente in colonia anche quell’estate.
Nel 1936, dopo la dichiarazione dell’Impero, la moglie di Mussolini gli aveva detto: «Ritirati, abbiamo avuto fin troppa fortuna…!».
Italo Balbo gli aveva proposto di ripristinare le libertà democratiche, con tanto di elezioni a suffragio universale: «Ti eleggeranno a furor di popolo e potrai ritirarti quando vorrai.»
Niente. L’uomo che per 20 anni aveva insegnato al mondo come si fa ad amministrare un paese, commise l’errore più banale della sua vita: entrare in guerra. E totalmente impreparato.
 
Il Duce aveva lasciato ampia autonomia al Capo di Stato Maggiore Pietro Badoglio, il quale però si limitò a dire a Mussolini che «Non siamo preparati per una guerra».
La Marina aveva fatto passi avanti enormi (e questo non per merito di Badoglio), con le corazzate più belle del mondo, ma senza portaerei, pensando che l’Italia fosse di per sé un’enorme portaerei. Dimenticando che la guerra non sarebbe stata sotto costa. E senza il radar, che peraltro avevamo già inventato ma che era stato rifiutato dai vertici della Marina come inutile.


Palazzo Venezia, dove il Duce aveva il suo ufficio.
 
L’aeronautica disponeva di grandi piloti e di scarsi aerei. I grandi velivoli erano stati studiati per le grandi attraversate oceaniche e non per usi militari. Il trimotore SM 75, in gergo il «Gobbo Maledetto», era eccezionale prima della guerra, ma ampiamente superato già a metà conflitto. I nostri caccia erano ancora biplani, anche se le industrie italiane dell’epoca sapevano produrre aerei che tenevano testa agli Spitfire inglesi e ai Messerschmitt tedeschi.
L’esercito era messo malissimo. Il fucile era ancora il moschetto 91 della Grande guerra. Il MAB (Moschetto automatico Beretta), nato nel 1939, entrerà in funzione solo nella guerra civile e solo per i repubblichini di Salò.

I carri armati facevano ridere: erano vere e proprie scatole di sardine che non proteggevano gli occupanti neanche dalle raffiche di mitraglia. Ma l’assurdo è che non avevamo neanche le divise per vestire tutti i soldati richiamati. Un conoscente mi aveva detto di aver fatto domanda ai paracadutisti per la semplice regione che i parà, contrariamente alla fanteria, avevano… un letto per dormire.

Inoltre, il migliore patrimonio militare e umano era stato consumato nella guerra di Etiopia prima e nella guerra di Spagna poi.
Questa la situazione al momento della dichiarazione di guerra.
«Ci sarebbero voluti tre anni di lavoro per poter affrontare una guerra, – dirà lo stesso Mussolini con il senno di poi. – E a quel punto probabilmente la guerra poteva essere già finita.»
Era tardi per dirlo. Il disastro era fatto. Impossibile tornare indietro, impossibile fermarsi, impossibile andare avanti. Il Duce adesso era semplicemente di troppo.


La Sala del Mappamondo di Palazzo Venezia, ufficio del Duce, ormai vuoto.

La guerra, cominciata male ma portata avanti con successo solo grazie ai Tedeschi (che l’avevano preparata da 10 anni), raggiunse i massimi risultati per l’Asse nell’autunno 1942. Rommel era arrivato ai confini con l’Egitto, von Paulus era arrivato a Stalingrado.
Poi le sorti si invertirono. Hitler e Mussolini dichiararono irresponsabilmente guerra agli Stati Uniti per sostenere l’alleato giapponese e da quel momento le sorti erano segnate.
Rommel dovette ritirarsi per mancanza di rifornimenti, gli Alpini si ritirarono dalla Russia con sofferenze e perdite enormi.
Mussolini pensò addirittura di firmare l’armistizio con la Russia per difendersi meglio contro gli alleati occidentali. Ma non se ne fece nulla e comunque non sarebbe servito a niente. Gli alleati volevano solo la «Resa incondizionata». Compresa la testa di Mussolini.

Come abbiamo scritto nell’anniversario dell’operazione Husky, gli alleati sbarcarono in Sicilia il 10 luglio 1943 e la conquistarono il successivo 17 agosto.
Fu una vittoria effimera per gli alleati, ma lo sbarco in Sicilia fu determinante per far crollare il Fascismo. Accadde il 25 luglio 1943, cioè prima ancora della conquista totale della Sicilia.
 
Con il nemico in casa, tutti in Italia avevano capito che per il Fascismo - e per il Duce in particolare - era finita. Come dicono gli osservatori militari, quando una guerra progettata per essere vinta in 10 giorni, dura anni, la guerra sarà perduta.
Una situazione che oggi richiama drammaticamente la situazione in Ucraina. E anche a Mosca, per Putin il problema è come uscire dal disastro di una guerra che doveva finire in 10 giorni.
In quel lontano 1943 sembrava che solo Mussolini non si rendesse conto di essere arrivato alla fine, ma in realtà lo aveva capito benissimo. Il difficile era immaginare come venirne fuori.


Il Re, Hitler e Mussolini, il patto scellerato.
 
Qualcuno in effetti stava progettando come venirne fuori. Il Re Vittorio Emanuele III, i vertici militari e i membri del Gran Consiglio del Fascismo avevano iniziato a pensare cosa fare, a come prendere in mano la situazione.
Alti ufficiali dei Carabinieri (la polizia era controllata dal Duce, ma non l’Arma) pensarono di uccidere il Duce a rivoltellate a Palazzo Venezia e lo proposero al Re, il quale si rifiutò, dicendo di non essere un assassino.
Ma la decisione doveva prenderla il Re: doveva sfiduciare Mussolini e incaricare qualcun altro a formare un nuovo governo.

E qui bisogna ammettere che si trattava di una dittatura davvero singolare. Oggi potremmo definirla una «Dittatura costituzionale». Hitler non doveva rendere conto a nessuno di quello che faceva. In Italia c’era quantomeno il Re, che poteva imporsi su Mussolini.
Ma anche il Re aveva bisogno di un appiglio, di uno spunto costituzionale per destituire il Duce. Gli aveva permesso di fare quello che voleva per 20 anni, con quale scusa poteva chiamarlo al Quirinale e chiedergli le dimissioni?
 
L’incipit poteva nascere solo dal Gran Consiglio del Fascismo, che era diventato l’organo costituzionale del Regno d'Italia, che aveva la funzione di «coordinare e integrare tutte le attività» del regime fascista.
Quella era l’unica strada.

Guido de Mozzi

(Continua domani)

Il Re, Vittorio Emanuele III.

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