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Discorso di Monti sul tema delle «Terre Alte»

«Ho accolto con particolare favore l’invito di Lorenzo Dellai non solo a visitare Trento, ma a discutere di Terre alte»

Un tema importante e ambizioso, anche nella scelta lessicale. Alte nel senso orografico, ma anche nel senso delle esperienze e delle aspirazioni che da queste terre possono irradiarsi altrove. Alte perché nobili e antiche, non perché irraggiungibili.
 
Da tempo l'Europa ha lanciato obiettivi sfidanti per lo spazio alpino, anche a seguito della Convenzione Alpina sottoscritta da tutti i paesi che si affacciano sulle Alpi ed ora in fase, non sempre facile, di attuazione nei vari settori.
 
Il processo di integrazione europea non può essere percepito come una minaccia per le molte diversità che rendono così straordinaria questa nostra Unione. La diversità è la caratteristica fondamentale della nostra società; la ricchezza principale della nostra storia.
 
La globalizzazione certamente pone anche rischi di appiattimento, di annullamento di queste diversità. Ma non è chiudendosi in se stessi che ci si difende. Occorre piuttosto rafforzare tutti i presidi culturali e comunitari e investire sulle intelligenze. E occorre soprattutto fare sintesi tra la difesa delle proprie peculiarità e i necessari processi di integrazione e di apertura. Le Alpi sono storicamente un esempio di tutto questo. Sono un crogiolo di lingue, tradizioni, usi e costumi legati a ciascuna valle e a ciascuna piccola dimensione, ma nel contempo basta prestare attenzione ai segni (i monumenti, gli stili architettonici, le forme culturali) per cogliere le connessioni e le reti europee che le attraversano.
 
Le Alpi sono state europee ante litteram.
 
C'è in questa storia un grande stimolo per il futuro. Perché la montagna alpina non è solo tradizione; è anche innovazione. La montagna ha conservato risorse preziose per tutti. Risorse naturali, paesaggistiche, culturali. Ma anche risorse importanti per i valori civili: la solidarietà e la responsabilità che si esprimono in quella fitta rete di rapporti di mutuo aiuto e di cooperazione di prossimità che caratterizzano così fortemente i territori alpini.
 
In particolare sta ritornando di grande interesse ed attualità tutta la tematica dei " beni comuni ", beni cioè che non sono in senso stretto né privati, né pubblici. Sono comunitari e perciò affidati alla cura di tutti i cittadini. Mi riferisco alle gestioni collettive dei beni materiali, come il bosco e i pascoli, ma anche alla responsabilità collettiva di beni non materiali, come la legalità, la partecipazione, la trasmissione ai giovani del senso di appartenenza ad una comunità che non è solo luogo fisico, ma insieme di persone e di famiglie. L’Italia è stata considerata per convenienze elettorali, solo una somma di individui. Ma l’Italia è anzitutto una comunità. Noi italiani siamo un’unica squadra. Dobbiamo passare dalla Repubblica dei partiti alla Repubblica dei cittadini.
 
Noi vogliamo custodire il patrimonio italiano e prendiamo a cuore questo insieme di esperienze e di buone pratiche tipiche della nostra montagna alpina.
 
L'Italia che abbiamo concorso a salvare dal baratro è anche e soprattutto l'Italia delle piccole dimensioni locali, della vicinanza, della prossimità territoriale; l'Italia delle famiglie e delle imprese fortemente intrecciate tra loro e con il territorio. E non vogliamo certo che, riconquistata la fiducia dei mercati finanziari, il Paese perda la fiducia dei suoi cittadini, dei suoi territori, delle sue intime articolazioni interne. Per questo abbiamo a cuore anche la montagna alpina, che svolge un compito fondamentale e difficile per rilanciare l’Italia unita e plurale che resta nei nostri sogni e nelle nostre speranze.
 
Anzi, proprio a partire dalla cultura delle Alpi, possiamo elaborare un’idea più qualificata e duratura di sviluppo. Uno sviluppo più solido, perché fondato su valori condivisi. Sviluppo più duraturo, perché figlio non di astrattezze o di fughe in avanti, ma di una partecipazione convinta e responsabile di tutta la comunità. Uno sviluppo, infine, che sia amico e non nemico della natura e del suo equilibrio. L’ambiente non ostacola lo sviluppo; l’ambiente può esserne la leva; l’ambiente è il rifugio, la casa di una comunità civile responsabile.
 
Nel documento che avete elaborato per questo incontro sono indicate molto bene le potenzialità, ma anche le criticità delle "Terre Alte". Servono politiche coerenti, a livello europeo, nazionale e locale, per bloccare lo spopolamento delle valli alpine. Servono misure opportune per sostenere forme di lavoro e di economia adatte alla cultura e alle caratteristiche alpine, ove anche le nuove tecnologie, come ad esempio le reti digitali, offrano occasioni o di reinterpretare antichi mestieri o di localizzare in montagna nuove attività che possano vedere risolto così il problema della distanza dai circuiti globali.
 
Penso che un tema importante sia l'investimento in formazione sulle risorse umane. Sappiamo che svolgere nel nuovo contesto sociale ed economico le professioni vecchie e nuove della montagna è certamente molto più impegnativo: ciò esige formazione, appunto, e nuovi principi organizzativi, sia nel campo del turismo, sia in quello dell'artigianato e dei servizi. Ma il discorso vale anche per il mondo della nostra agricoltura di montagna, e della zootecnia in particolare, che vede mescolarsi motivi di preoccupazione a segnali anche consistenti di una nuova attrazione nei confronti dei giovani.
 
Occorre trovare idonee e coraggiose soluzioni per il problema della dotazione dei servizi essenziali in aree con scarsa densità di popolazione come quelle montane. Inoltre servono politiche istituzionali capaci di rendere più semplice, funzionale e sobria la rete amministrativa, ma non a prezzo della desertificazione democratica del territorio: la questione della governance dei territori alpini, in linea con la secolare tradizione di autogoverno  della montagna, va considerata come una doverosa politica per le "pari opportunità" tra montagna e pianura, essendo quest'ultima evidentemente dotata di una capacità di scala assolutamente diversa. Di questo dobbiamo tenere conto anche nell'ambito delle pur necessarie iniziative per il riordino dell'assetto istituzionale e funzionale del Paese. Io mi attendo proprio da voi e dalle vostre esperienze sul territorio utili proposte per soluzioni innovative.
 
Le Alpi hanno anche bisogno di contare di più, in Italia e in Europa. Per questo guardiamo con favore all'idea europea della "macro regione alpina". Questa idea, quanto meno per come si pensa in Europa, si muove verso la costruzione di una rete istituzionale e socio-economica che valorizzi la messa in comune di opportunità a fronte di sfide simili poste dai processi, non solo economici, della globalizzazione.
 
Una cosa diversa e molto più seria di quanto viene proposto da qualcuno: dicono macro regione alpina, ma pensano alla mitologia di una inesistente Padania. Il Nord è stato tradito da chi lo ha ingannato, governando a Roma come gli altri e peggio degli altri.
Il Nord non ha bisogno di secessione, ma di serietà, responsabilità e respiro europeo.
Sono consapevole che le decisioni assunte dal mio Governo per evitare il baratro dell'Italia hanno creato difficoltà anche nelle comunità della montagna. Ma siamo qui per dire che queste difficoltà, causate purtroppo dallo stato di necessità che abbiamo ereditato, devono aprire la strada per un futuro migliore e non lasciare il passo al ritorno di una politica irresponsabile, che di nuovo conduca allegramente il Paese verso il nulla. In questo sforzo, noi contiamo sulla cultura della montagna e la montagna può contare sulla nostra sensibilità e sulla nostra lealtà.

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