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Daniela Larentis. «La custode dei sogni» – Romanzo

Giovedì 20 dicembre la presentazione ufficiale a Mattarello, alla presenza dell'autrice

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Titolo: La Custode dei Sogni

Autore: Daniela Larentis
 
Editore: Reverdito, 2012
Dati: Brossura, pagine 309
 
Prezzo: Euro 11,80   
   
 
 
Un mese fa abbiamo pubblicato la descrizione del romanzo di Daniela Larentis intitolato «La custode dei sogni», rinviando la recensione a un secondo momento, cioè dopo averlo letto.
Lo abbiamo fatto e, dato che domani - giovedì 20 dicembre - il libro verrà presentato ufficialmente, abbiamo pensato di pubblicarla.
 
 IL CONTENUTO
Trentino, 1940. Ad Aldeno, nasce Eliana. Trascorre l'infanzia in famiglia confortata dall'affetto della nonna e della sorella Adele.
A nove anni si trasferisce in un maso di campagna presso alcuni parenti.
Lontana da casa avrà modo di maturare lavorando alacremente, ma anche di scoprire giorno dopo giorno l'incanto di una natura fatta di colori, sensazioni e profumi ancor prima che di persone.
È proprio in questo periodo che nasce nell'animo un forte desiderio di indipendenza, di una vita fatta di sogni e di poesia, molto lontana da quella condotta dalle donne da lei finora conosciute.
Tornata ad Aldeno, trova lavoro a Trento. Eliana, però, sogna una vita avventurosa e, se pur trattenuta da forti legami famigliari e frenata da un ferreo senso del dovere, l'innata curiosità e una smisurata sete di libertà la spingeranno ad allontanarsi dalla propria terra e dalla famiglia, emigrando in Svizzera.
Dopo un anno ritorna a casa e si specializza in puericoltura.
L'anno seguente si reca a Roma dove trascorrerà un lungo periodo, sullo sfondo della dolce vita romana.
Tuttavia, l'ambiente frivolo di quegli anni non fa per lei, semplice ragazza di provincia. Decide così di andarsene dalla capitale, appena possibile.
Dopo essersi fidanzata con il ragazzo che è sempre stato nel suo cuore fin dalla prima adolescenza, e che non ha mai dimenticato, si trasferisce a Venezia presso una facoltosa famiglia, dove trascorre i successivi quattro anni...
 
 IL COMMENTO
Sono tre le portanti sulle quali si snoda questo libro.
- La positività del personaggio, Eliana, che di fronte a qualsiasi evento che le riserva la vita si impegna ad afrontarlo, normalmente. Il bene è di casa della nostra bambina che vediamo nascere e crescere giorno per giorno, anno per anno.
- La voglia del nostro personaggio di affrontare l'avventura, la novità, l’ignoto. Spinta dalla curiosità, più che dalla necessità (che pure c'è), Eliana va prima in Svizzera, poi a Roma e infine a Venezia e dintorni.
- La storia del dopoguerra del nostro Trentino e del Paese, l'evoluzione degli ultimi 70 anni e la fedeltà narrativa ai riferimenti dell’epoca.
Vorrei cominciare da quest’ultimo aspetto.
 
Già la copertina rappresenta con grande fedeltà quello che era una bambina degli anni 40 e 50. Se i giovani guardano la foto della mamma (a chi scrive, ahimé, basta guardare le foto della sorella), tutti la riconosceranno nella copertina del libro. Tutte vestivano così, sembravano fatte e dipinte dalla stessa mano.
Ma è la vita della ragazzina a descrivere come si viveva in quei tempi. Da Aldeno a Volano, dove la bimba passa rispettivamente gli inverni e le estati, si snodano quasi due vite parallele, come se l’Adige dividesse un piccolo mondo antico da uno moderno. In realtà, però, anche questa soluzione di vita era ancora piuttosto diffusa, dettata dalla scarsità di mezzi di sostentamento.
Quanti bambini e quante bambine sono stati mandati d’estate ad «aiutare» la zia? Più o meno tutti noi l’abbiamo fatto. E la nostra Eliana non si pone mai il problema della lontananza dei genitori. Così le dicevano di fare e così faceva. Non meditava sulla nostalgia ma su come poteva evitarla.
La famiglia di Eliana non è ricca, anche se dignitosa come tutte le genti di montagna. Di fronte all’opulenza con la quale viene vissuto il Trentino di oggi, è difficile pensare che un tempo qui da noi si faceva la fame. Parliamo di quella vera, quella dettata da una terra piccola e avara, da una scarsità di risorse e dalla mancanza totale di aiuti pubblici.
 
Gli osservatori che guardano il Trentino oggi hanno difficoltà a credere che un tempo la gente trentina non riuscisse sempre a unire il pranzo alla cena. Le donne si alzavano per prime per andare a mungere e a governare le vacche e preparare la colazione. Quando gli uomini partivano la mattina per andare a lavorare la campagna (altrove anche la montagna), portavano con sé della polenta e della frutta. La sera un minestrone era il desiderio da appagare, lo spezzatino il sogno di tutti. Il pollo la domenica era una cosa sa ricchi...
Un giorno il sottoscritto intervistò Michele Placido che stava girando un film ambientato nell’emigrazione trentina proprio di quell'epoca. Si intitolava Itacker (taglianacci in dialetto tedesco). Merita raccontare l’aneddoto, perché il film è stato girato da noi solo perché la Provincia ha investito nella sua produzione. Ma la realtà, secondo Placido, era un’altra.
 
«Questo film avrei dovuto girarlo in Friuli, – mi disse. – Perché è una regione che ha conosciuto davvero l’emigrazione…»
«Non farti sentire, – gli risposi. – Oggi ci conoscete così, pensate che siamo sempre stati ricchi. Ma la nostra gente è emigrata in tutto il mondo. Non tanto la fame, che era tanta, ma la voglia di riscatto e più spesso le calamità hanno spinto i Trentini ad andarsene, a cercare una terra meno avara. Tu non lo puoi sapere, – continuai – ma il Trentino ha 500mila abitanti, esattamente quanti sono i Trentini sparsi per il mondo.»
 
Questa situazione, la nostra Eliana ce l’ha ricostruita, ma con la dolcezza degli occhi di una bambina che non si è mai lamentata, avendo sempre guardato avanti, certa che prima o poi la vita ti restituisca quello che prende.
La sua «emigrazione» in Svizzera è una pagina da leggere e rileggere, perché conosco decine di donne trentine che l'hanno vissuto così, positivamente, nella loro «naturale» dignità. Senza un lamento, senza una parola cattiva, senza una protesta. Se per mangiare bisognava andare in Svizzera, si andava in Svizzera. Punto.
A scuola si studiava il tedesco e, all’occorrenza, il francese, perché era impensabile andare più in là.
Così anche le altre migrazioni a Roma e a Venezia, stanno a indicare che la nostra Eliana non ha mai invidiato i signori per cui andava a lavorare, si è sempre sentita loro pari, anche se con ruoli diversi. Spesso si sentiva superiore, e aveva ragione.
 
In realtà, però, questo bel romanzo è una storia d’amore.
La ricostruzione di questa vita, positiva quanto faticosa, amara quanto gioiosa, altruistica quanto orgogliosa, sembra solo essere un percorso quasi studiato per portare la nostra Eliana dal suo grande amore. Per il quale non si era mai fatta illusioni, ma che sapeva che prima o poi avrebbe fatto parte della sua vita, come tutto il resto.
Una storia d’altri tempi? Speriamo di no. Non tanto perché è successa solo ieri (quando c'eravamo anche noi), ma perché la nostra gente di montagna non perderà mai questa estrazione esistenziale che non ci ha mai fatti sentire disperati né soli. E che non ci ha mai permesso di lasciare soli e disperati gli altri meno fortunati di noi
  
Guido de Mozzi

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