Home | Economia e Finanza | Il lavoro delle donne? Rispetto all’uomo, lavora 59 giorni in più «a salario zero»

Il lavoro delle donne? Rispetto all’uomo, lavora 59 giorni in più «a salario zero»

È nato il «Gender pay gap» per ridurre il gap che separa la redditività del lavoro della donna da quello dell’uomo

image

Molto interessante il ragionamento formulato per spiegare in poche parola la differenza tra la remunerazione del lavoro della donna da quello dell’uomo.
È come se per raggiungere lo stesso livello la donna dovesse lavorare 59 giorni più dell’uomo: se l’uomo smettesse di lavorare a Capodanno, la donna dovrebbe continuare fino al 5 marzo.
Per questo motivo la Commissione Europea ha stabilito che il 5 marzo di ogni anno sia celebrato come «Giornata europea per la parità retributiva», nella speranza che quella data venga anticipata sempre più fino alla parità, il Capodanno anche per lei.
La data quindi è destinata a cambiare ogni anno (altrimenti l’iniziativa sarebbe un fallimento) in base all'andamento del «gender pay gap», il differenziale retributivo di genere: tre anni fa fu il 5 marzo, lo scorso anno il 2 marzo.
Quest’anno il 28 febbraio. Simpatico vero?

In Europa il gender pay gap» è forte: il 16,2 percento. Ma se si pensa che l’Italia tale percentuale è del 5,3 percento, significa che ci sono Paesi dove il gap è enorme. In testa la Lituania, l’Estonia, ma anche Austria, Germania, Regno unito…
Tuttavia non siamo più fortunati di quei paesi, perché il nostro gap del 5,3 percento è purtroppo causato dal fatto che le donne trovano lavoro meno facilmente lavoro degli uomini.
Non solo, il dato medio così calcolato nasce dal conteggio lordo, cioè prima che venga pulito dalle componenti che riducono salari e stipendi, come le imposte, le ritenute sociali, e così via.

E qual è la situazione in Trentino?
Se ne è parlato stamane in Provincia ad un incontro con la stampa al quale sono intervenute, accanto all'assessore alla convivenza e pari opportunità Lia Beltrami Giovanazzi, la consigliera di parità Eleonora Stenico, la dirigente generale dell'Agenzia del lavoro Antonella Chiusole e Paola Villa, docente di economia e management alla Facoltà di Economia dell'Università degli Studi di Trento.
Molto interessante ciò che hanno detto, perché sono riuscite a spiegare come sia possibile la presenza di questo gap, quando la legge garantisce a tutti le medesime opportunità.
In pratica, la scelta del lavoro stessa (e quindi dall’inizio degli studi superiori) è di per sé fonte di questo differenziale negativo. Si provi a pensare al ruolo nelle donne nelle imprese di costruzione. Impossibile vedere un muratore femmina, ma purtroppo è singolare anche vedere ingegneri e architetti con le gonne nei cantieri.
Non solo, la condizione di donna impegnata in famiglia è più penalizzata dell’uomo perché non c’è sufficiente coscienza che ruoli e responsabilità dovrebbero essere equamente distribuiti anche in casa.
Anche nelle libere professioni è così. A parità di carico di lavoro, una avvocatessa specializzata in cause di separazione guadagna molto meno dell’avvocato commerciale che tratta situazioni economicamente molto più appetitose.

«Il problema c'è, è reale ed è inutile volerlo nascondere sotto la sabbia – ha affermato l'assessore Beltrami, ricordando come il tema del lavoro femminile sarà uno degli argomenti trattati all'interno delle iniziative ed eventi (oltre un centinaio) promossi in occasione dell'8 marzo, festa della donna.»
«L'incontro di oggi – ha poi spiegato la consigliera di parità Eleonora Stenico – è dunque anche un'occasione per riflettere sul posizionamento delle donne nel mercato del lavoro della nostra provincia, sapendo che le donne risultano anche da noi sensibilmente perdenti rispetto all'occupazione maschile.»
«In Trentino il tasso di occupazione delle donne è inferiore di 16 punti percentuali rispetto agli uomini (57,8 % rispetto al 74,2 % dell'omologo maschile), – ha ricordato dirigente generale dell'Agenzia del Lavoro Antonella Chiusole (che è una delle poche donne dirigente generale). – Se non ci fosse tale differenza avremmo nella nostra provincia 29 mila donne occupate in più, rispetto alle 99.700 che risultano avere attualmente un'occupazione.»

Ed ecco allora i dati, illustrati proprio da Antonella Chiusole.
Chi, tra le donne, ha una maggiore probabilità di lavorare sono quelle che hanno un diploma o una laurea, un titolo di studio posseduto dal 61,3 % delle donne occupate, percentuale ben più alta rispetto ai maschi (49 %).
Uomini e donne però non fanno gli stessi lavori, non sono occupati negli stessi settori di attività e neppure nelle stesse qualifiche: l'86,7 % delle donne sono dipendenti (73,6 % i maschi) e per qualifica il 53,2 % delle donne sono impiegate rispetto al 25,9 % degli uomini che invece sono più presenti tra i dirigenti ma anche tra le figure operaie.
Lo scarto di genere continua ad intrecciarsi per altro con le difficoltà legate alla conciliazione, dato che sulle donne continua a gravare il peso degli impegni familiari, cosa che spiega perché le stesse siano costrette a fare ricorso al part time (35,6 % rispetto al 5 % dei maschi).

Ma come si misura il «gender pay gap»? Lo ha spiegato la professoressa Paola Villa.
«Di norma – ha detto la docente di economia e management all'Università di Trento – vengono considerati i differenziali salariali “grezzi” per ora lavorata. Ovvero, si considera il salario orario medio di uomini e donne, si calcola la differenza e la si esprime come percentuale del salario orario maschile.
«È un indicatore che ha il pregio di essere semplice da calcolare, ma non tiene conto né delle differenze nelle caratteristiche individuali, né di eventuali differenze nella remunerazione delle caratteristiche. Inoltre, non tenendo conto del basso tasso di occupazione femminile registrato in Italia, implica una sottovalutazione del differenziale salariale dato che è più probabile che entrino nel mercato del lavoro le donne più istruite (quindi con retribuzioni più elevate della media). Va pertanto letto in modo critico.»

Tre altre considerazioni sviluppate da Villa completano il quadro.
- Le donne occupate in Italia hanno mediamente un livello d’istruzione più elevato rispetto agli uomini; quindi, in base alle caratteristiche dell’investimento in capitale umano dovrebbero essere pagate di più (non di meno) degli uomini. Ovvero, se la caratteristica istruzione fosse remunerata nello stesso modo dovremmo osservare un differenziale salariale positivo (non negativo) a favore delle donne;
- il rendimento dell’istruzione (ovvero, l’incremento nel livello salariale associato ad un incremento nel livello d’istruzione) tende ad essere più basso per le donne; in modo simile, l’esperienza lavorativa e l’anzianità;
- il tasso di occupazione femminile rimane in Italia tra i più bassi in assoluto nell’Unione Europea. Il differenziale salariale “grezzo” pari a 5,3 % (calcolato considerando solo le persone occupate) ignora il fatto che in Italia per la maggioranza delle donne in età lavorativa il salario è pari a zero.
«Le differenze aumentano però – avverte Paola Villa – se anziché considerare la retribuzione oraria si considera la retribuzione mensile o annua. Le donne tendono infatti a lavorare meno ore rispetto agli uomini perché scelgono lavori con orari più brevi (es. insegnanti), sono maggiormente occupate in lavori part-time, sono meno disponibili al lavoro straordinario. Quindi, se consideriamo il reddito lordo annuo, le donne percepiscono tra il 50% e il 70% di ciò che guadagnano gli uomini.»

Come riuscire a ridurre il gap?
Per sostenere l'occupazione femminile il governo provinciale ha previsto, con il Documento degli interventi di politica del lavoro, una batteria di interventi: si va dai contributi per nuove assunzioni o trasformazioni dei rapporti di lavoro in part-time (35 lavoratori coinvolti) ai contributi a sostegno del congedo parentale dei padri (62 lavoratori coinvolti), ai progetti di riorganizzazione dei regimi di orario (6 i progetti approvati per un totale di 317 lavoratori interessati).
Da aggiungere vi è anche l'altra opportunità di cui abbiamo parlato in passato, l'iniziativa «Co-manager» a sostegno delle donne imprenditrici che, dovendo conciliare famiglia e lavoro, possono contare sulla sostituzione totale o parziale alla guida della propria azienda per un periodo massimo di 12 mesi, anche non continuativi.
Incentivi sono stati infine attivati per favorire l'assunzione e l'avvio di attività autonoma delle donne, dei quali hanno beneficiato 119 donne che erano disoccupate da più di sei mesi, inattive da almeno 2 anni o precarie.
L’Agenzia del Lavoro sta ora pensando ad altre iniziative, annunciate oggi dalla dirigente generale Antonella Chiusole. A marzo prenderà avvio presso i Centri per l'impiego di Pergine e Riva del Garda un progetto sperimentale rivolto alle giovani disoccupate con titolo di studio debole: l'obiettivo è quello di recuperare una professionalità spendibile al fine di un inserimento occupazionale. A breve partirà anche un secondo analogo progetto che mira a supportare l'ingresso nel mercato del lavoro di madri disoccupate.

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande