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Pierrot, specchio del nostro tempo – Pantomima in quattro atti

Tradotta per la prima volta in italiano l’opera teatrale «Pierrot Mago» di Richard Beer-Hofmann – Di Massimo Parolini

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Un Pierrot incantatore-ipnotizzatore che grazie ad un anello magico riesce ad ammaliare la serva Colombina ed a portarla all’altare con la compiacenza di Pantalone e consorte (genitori della giovane). Una briosa Colombina (innamorata di Arlecchino) che dopo il matrimonio indotto dal maleficio ama Pierrot come fosse la bambola meccanica di Coppelius nell’hoffmaniano Uomo della sabbia.
L’errata convinzione di Pierrot che Colombina lo possa amare anche senza l’incantesimo, che riporta la servetta tra le braccia di un invaghito Arlecchino.
Lo squallore della convivenza con Arlecchino che consuma (in alcol e vizi) l’eredità lasciata a Colombina dal testamento di un finto suicida Pierrot, lasciando morire il povero bimbo da lei avuto non avendo più i soldi per la medicina.
L’omicidio (con veleno)-suicidio finale di un redivivo Pierrot ai danni propri e dell’amata Colombina che sembra riconsiderare la convenienza del finto matrimonio ricco-borghese con l’anziano Pierrot.
Questi gli ingredienti salienti di un «Copione di una pantomima in quattro atti» («Pierrot Mago» del 1892) di Richard Beer-Hofmann tradotto di recente (per la prima volta in italiano) per le edizioni Kolibris da Paola Maria Filippi, docente di letteratura tedesca e traduzione letteraria all’Università di Bologna.
 
Nato a Vienna nel 1866, l’autore fu narratore, drammaturgo e poeta.
Dal 1890 si legò ai maggiori esponenti della Wiener Moderne: Hugo von Hofmannstahl ed Arthur Schnitzler tra tutti.
A lungo collaboratore di regia con Max Reinhardt, nel 1939 (dopo l’annessione nazista dell’Austria del ’38) a causa delle sue origini ebraiche si rifugiò in Svizzera e da lì negli Usa da dove non farà più ritorno.
L’opera «Pierrot mago» (il cui titolo originario è «Pierrot l’ipnotizzatore») è rimasta inedita fino al 1984. L’autore si era limitato a leggerlo agli amici ricevendo il plauso di Schnitzler e di Hoffmannsthal.
Quest’ultimo ne riprenderà (in parte) la trama nella sua «Pantomima in un atto» intitolata «L’alchimista» (1901)( questo breve testo teatrale , sempre tradotto da Paola Maria Filippi, fa da pendant a «Pierrot il mago» nell’opera di cui stiamo trattando).
 
Quello della Pantomima fu un genere di grande fortuna nell’Austria Felix di fine Ottocento-inizio Novecento nella ricerca di modalità non convenzionali rispetto alla tradizione realistico-naturalistica e maggiormente in grado di esprimere le istanze della contemporaneità (ci ricorda nella sua puntuale prefazione la traduttrice).
Il regista russo Mejerchol’d ha scritto che «Nell’opera di ricostruzione del vecchio teatro il regista moderno ritiene necessario cominciare dalla pantomima, perché nella rappresentazione di queste opere mute si rivela agli attori e ai registi tutta la forza degli elementi primordiali del teatro: la forza della maschera, del gesto, del movimento e dell’intreccio».
Un’attenzione (come ricordava la stessa Filippi nella raccolta da lei curata «La parola muta» dedicato alle pantomime di Hermann Bahr ed Arthur Schnitzler) «in cui la crisi del linguaggio viene avvertita dagli autori più sensibili e recettivi».
In particolare avrà grande successo la figura di Pierrot, non più inteso come maschera (se non come pretesto) bensì come dandy (nell’opera di Schnitzler) o di vecchio studioso-alchimista come per l’appunto nella pantomima di Beer-Hofmann. Un Pierrot che si fa marionetta del suo tempo, voce e maschera di una crisi latente che non avrebbe tardato a esplodere in tutta la sua brutalità (Filippi) nella Grande Guerra e nella fine dell’impero asburgico.
 
Come nell’andreide Hadaly creata dal genio di Edison nell’Eva futura dal Villiers de l’Isle Adam (1886), l’anziano studioso Pierrot spera di ricevere un po’ di fresca e sbarazzina vitalità da Colombina , mescolando l’ipnosi di Charcot (e del primo Freud) all’alchimia di una Paracelso (o alla magia dell’ Atlante ariostesco).
In questo tentativo possiamo intravedere il destino dell’impero asburgico che, necessitando di un profondo rinnovamento  sperava di imbrigliare (incantesimo) con l’efficienza e la forza poliziesca e militare le richieste rigeneratrici di riforme strutturali e libertà, vedendo, attraverso la figura di Franz Joseph, sfilare i propri cari (omicidio-suicidio del figlio Rodolfo, il velo a lutto di Sissi) e un’intera Europa (nove milioni di morti della grande guerra) verso l’abisso.
Un’ombra malefica sembra suggerire l’imperatore in questa via, come il Nochosch di Pierrot Mago e l’Ombra del l’Alchimista, un’ombra che (come nello Schlemihl di Chamisso) si è fatta Doppio e porta l’Uomo verso una catastrofe irreversibile.
 
Richard Beer-Hofmann Pierrot Mago- Hugo Von Hofmannsthal L’Alchimista.
A cura di Paola Maria Filippi, edizione Kolibris, pp. 230, € 12,00.
 
Massimo Parolini

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