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«L’importanza della genetica nello studio dell’autismo» – Di Nadia Clementi

Ne abbiamo parlato con il dott. Giovanni Provenzano, ricercatore presso il Centro Interdipartimentale per la Biologia Integrata (CIBIO) dell’Università di Trento

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L’autismo, magistralmente rappresentato da Dustin Hoffman nel film Rain man, vincitore di quattro premi Oscar, è una sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo biologicamente determinato, con esordio nei primi tre anni di vita.
Le aree prevalentemente interessate sono quelle relative all’interazione sociale reciproca, all’abilità di comunicare idee sentimenti e alla capacità di stabilire relazioni con gli altri.
L’autismo, pertanto, si configura come una disabilità permanente che accompagna il soggetto nel suo ciclo vitale, anche se le caratteristiche del deficit sociale assumono un’espressività variabile nel tempo.
La gravità, la complessità ed il crescente peso socio economico di questo devastante disordine, sono sempre più al centro dell’attenzione della comunità scientifica e dell’opinione pubblica.
Noi per saperne di più abbiamo consultato il dott. Giovanni Provenzano che da qualche anno nel Laboratorio di Neuropatologia Molecolare presso il CIBIO (Università di Trento), si occupa di ricerca nell’ambito delle problematiche legate alle forme di autismo e disturbi neurologici gravi come l’epilessia.

 Chi è il dott. Giovanni Provenzano  
Nato a Cosenza, dopo essersi laureato in Biologia e aver conseguito un dottorato di ricerca in Neuroscienze Cliniche ha lavorato dapprima presso l’Istituto di Scienze Neurologiche - CNR di Cosenza e successivamente presso il laboratorio di genetica delle forme familiari di epilessia del Gruppo Ospedaliero Pitié-Salpêtrière a Parigi.
In questi anni il suo interesse è stato prevalentemente rivolto allo studio a livello genetico di forme rare e familiari sia di malattia di Parkinson che di epilessia.
Nel 2010 ha iniziato il suo rapporto di collaborazione con il Laboratorio di Neuropatologia Molecolare, diretto dal dott. Yuri Bozzi, presso il Centro Interdipartimentale per la Biologia Integrata (CIBIO - Università Trento) dove si occupa di autismo.


 
Dottor Provenzano, ci può spiegare in termini più semplici possibili cos’è l’autismo?

«L'autismo è una delle più gravi malattie neurologiche dell'infanzia ed è molto più comune di altre patologie dell’età infantile, come i tumori e la sindrome di Down.
«Il termine generico autismo viene usato per indicare un gruppo di disordini dello sviluppo cerebrale, quindi è preferibile parlare di Disturbi dello Spettro Autistico (DSA).
«I DSA sono caratterizzati fin dai primi anni di vita da una precisa serie di deficit comportamentali quali:
- Alterazione e compromissione della qualità dell’ interazione sociale;
- Alterazione e compromissione della qualità della comunicazione;
- Modelli di comportamento e interessi limitati, stereotipati e ripetitivi.
 
«Questi segni sono alla base della diagnosi di autismo, ma i bambini affetti spesso presentano un quadro clinico più complesso, che include ritardo mentale, disturbi dell’apprendimento, epilessia.
«I disturbi descritti possono manifestarsi con diversi gradi di severità e, nelle forme più gravi, possono condurre alla non autosufficienza.
«Negli ultimi anni un gran numero di studi clinici e di laboratorio hanno dimostrato che i deficit comportamentali e cognitivi, riscontrati nei bambini autistici, sono riferibili anche ad alterazioni genetiche. Mutazioni in diversi geni sono state infatti associate alle varie forme di autismo.
«Tuttavia, nonostante gli enormi progressi nella genetica, i meccanismi molecolari alla base di questi disturbi restano ancora poco conosciuti.»
 
Esistono dei test di diagnosi precoce?
«Al momento non esistono marcatori biologici capaci di indicare precocemente la presenza della malattia.
«Il sospetto diagnostico origina dall’osservazione del comportamento del bambino ed il riconoscimento della patologia avviene grazie all’esame clinico da parte di medici esperti, che si avvalgono del prezioso e fondamentale supporto delle testimonianze dei genitori.»
 
A quale età è possibile diagnosticare l’autismo?
«La diagnosi d’autismo viene effettuata in epoca relativamente tardiva, rispetto al fabbisogno delle cure.
«La maggior parte dei casi di malattia viene identificato attorno al secondo/terzo anno di vita del bambino. Infatti è in questo periodo che diventano più evidenti i deficit di socialità che caratterizzano la sindrome.»
 
Quali sono le cause dell’autismo?
«Si ritiene che l'autismo sia una condizione "multifattoriale", dovuta cioè al combinarsi di fattori genetici e fattori ambientali.
«I principali fattori di rischio ambientali includono l’aumento dell’età media dei genitori, malattie autoimmunitarie a carico delle madri, l’esposizione a determinati farmaci (ad esempio gli antidepressivi), l’inquinamento, le infezioni virali, lo stress ossidativo e la mancanza di vitamina D.»
 
Come si manifesta tale disturbo?
«La sindrome si manifesta in genere nei primi 3 anni di vita del bambino, ma i sintomi cominciano a diventare sempre più evidenti a partire già dal primo-secondo anno di vita.
«I sintomi principali sono stati definiti dalla dottoressa Lorna Wing, psichiatra e madre essa stessa di un bimbo autistico:
- Difficoltà nella interazione sociale: costituisce il segno distintivo dell’autismo. Può sembrare che i bambini siano disinteressati alle altre persone ed all’ambiente circostante. I bambini autistici appaiono chiusi nel loro piccolo mondo, hanno difficoltà nei giochi interattivi, nel condividere le emozioni, fare amicizie nel comprendere quello che gli altri pensano e provano.
- Disfunzione nella comunicazione verbale e non: il linguaggio parlato è spesso deficitario e molte volte è completamente assente. Anche quando sono in grado di parlare i bambini hanno spesso difficoltà nel dialogare liberamente e facilmente.
- Comportamenti ripetitivi: i bambini autistici spesso intraprendono comportamenti ripetitivi e stereotipati ed hanno interessi molto ristretti. Questi fattori possono essere riconosciuti in una estrema resistenza al cambiamento. Un attaccamento ossessivo ad oggetti insoliti o schemi di comportamento rigidi e ripetitivi.
 
Cosa avviene nel cervello di un paziente autistico? Quali aree cerebrali sono maggiormente colpite?
«In generale il sistema nervoso centrale dei soggetti autistici sembra processare le informazioni attivando circuiti neurali (composti da centinaia di cellule neuronali) diversi da quelli utilizzati da individui non autistici, specialmente nell’elaborazione di “stimoli” ad alta rilevanza “sociale”.
«A livello anatomico il cervello dei pazienti con DSA presenta alterazioni in diverse regioni come il cervelletto, l’ippocampo e la corteccia entorinale. Inoltre è stato dimostrato anche un aumento anormale del volume cerebrale (circa del 10%) appena dopo la nascita, seguito da un arresto della crescita cerebrale durante il primo anno di vita.»
 
È vero che i casi sono in aumento in questi ultimi anni? E quali secondo lei le cause possibili?
«Il numero di pazienti con autismo è in crescita esponenziale. Basti pensare agli inizi degli anni ’80, questa patologia era ritenuta rara: ne era colpito un individuo su 2500. Dal 1991 al 1997, si è riscontrato un aumento dei casi riportati del 556%.
«Negli ultimi anni la sua incidenza è di circa 1 bambino ogni 200 nuovi nati, ed è una stima prudente.
«Tale aumento è da attribuire in parte al fatto che si partorisce sempre più tardi, ma soprattutto al notevole aumento delle conoscenze sulla malattia, al conseguente miglioramento degli strumenti diagnostici e ad una maggiore sensibilizzazione dei genitori nei confronti di questo importante problema sanitario e sociale.»
 
Come si cura oggi un paziente autistico?
«L'attuale incertezza sulle cause della malattia, di fatto rende ancora impossibile una cura risolutiva Ma grazie all'impegno di tanti medici, ricercatori e terapisti, l'autismo è trattabile. Questo significa che esistono pratiche terapeutiche che consentono ai bambini autistici di condurre una vita quasi normale. Le linee di trattamento comprendono:
 
a. Interventi non farmacologici.
Sono risultati efficaci i programmi intensivi comportamentali: si tratta di approcci che puntano a modificare i comportamenti problematici ed a migliorare la vita dei bambini autistici, attraverso programmi che li coinvolgono per molte ore a settimana. Sono efficaci soprattutto se iniziati in età prescolare e se sono condotti da personale esperto, con il supporto dei genitori e dei familiari. Tra questi programmi i più studiati sono quelli basati sull’analisi comportamentale applicata (ABA, Applied behaviour analysis), che può migliorare il quoziente intellettivo, il linguaggio ed i comportamenti adattativi, cioè le abilità necessarie per la vita quotidiana. In generale, l’efficacia degli interventi indicati aumenta se tutte le persone che interagiscono con i bambini adottano le stesse modalità di comunicazione e di comportamento. Ecco perché è importante che i genitori e le persone che passano molto tempo con questi bambini siano sempre attivamente coinvolti e guidati dai professionisti.
 
b. Interventi farmacologici.
Ad oggi non ci sono farmaci che curano il disturbo autistico. Solo sintomi specifici associati ai DSA (ad es. irritabilità, aggressività, comportamenti ripetuti e rituali) hanno mostrato di poter rispondere favorevolmente in seguito a trattamento con alcuni agenti farmacologici
«Quali speranze per il futuro? Molte, grazie alla ricerca genetica. Esistono, già oggi, buona basi di partenza per arrivare tra non troppi anni ad efficaci terapie personalizzate.»
 
Dottore come mai questo interesse per l’autismo ?
«La complessità del cervello umano mi ha sempre affascinato. E’ straordinario pensare che questa raffinata macchina, formata da miliardi di cellule (i neuroni), tramite processi biologici e chimico-fisici ci consenta di pensare, parlare, ricordare, apprendere, relazionarci e provare dei sentimenti.
«Quindi il desiderio di cercare di comprendere il corretto funzionamento del cervello e i meccanismi biologici che stanno alla base delle malattie neurologiche e neuropsichiatriche ha orientato prima il mio percorso formativo e successivamente quello lavorativo.
«L’autismo vista la sua complessità è senza dubbio una delle sindromi che ha maggiormente suscitato il mio interesse.»
 
Ci racconti brevemente il suo progetto, risultati ed obbiettivi finalizzati alla ricerca?
«Ad oggi purtroppo sono disponibili trattamenti limitati o di scarsa efficacia per questa complessa patologia, soprattutto per la mancanza di biomarcatori molecolari. I biomarcatori non sono altro che indicatori di anomalie a livello genetico, molecolare o biochimico che sono causa di malattia o di una certa predisposizione patologica.
«Pertanto una delle principali tra le linee di ricerca che seguo ha come obbiettivo l’identificazione di biomarcatori che potrebbero rivelarsi utili sia a livello predittivo che come potenziali bersagli per lo sviluppo di nuovi farmaci.
«Vorrei introdurre un ulteriore aspetto che ci ha stimolati ad intraprendere uno studio abbastanza innovativo e originale. Il punto di partenza in questo caso è la rivoluzione che sta avvenendo nella genetica dei DSA, che ha portato all’identificazione di centinaia di geni che contribuiscono al rischio di autismo nella popolazione generale.
«È interessante notare che nessuno di tali geni ricorre in più dell'1% dei casi. Questa forte eterogeneità genetica, ci ha spinto a concentrare la nostra attenzione non su un singolo ma su più geni che potrebbero esercitare funzioni simili o convergenti e concorrere in modo sinergico alla predisposizione dei Disturbi dello Spettro Autistico.
«Per raggiungere questo obiettivo ci avvaliamo di metodiche all’avanguardia come la tecnologia Next Generation Sequencing, che ci permetterà di identificare tutti i potenziali geni alterati nell’intero genoma. In modo semplicistico il nostro approccio mira a considerare l’autismo come un complesso puzzle.
«Nostro compito sarà cercare di ricomporlo identificando tutti i geni difettosi coinvolti nello stesso meccanismo molecolare e utilizzare queste informazioni per la scoperta di nuovi farmaci.»
 
Nella sua ricerca è previsto un capitolo dedicato alla epilessia, vuol parlarci anche di questo?
«Autismo ed epilessia sono molto spesso correlati: circa il 30% dei pazienti autistici sviluppa epilessia ed anche un’alta percentuale di pazienti epilettici, in età pediatrica, mostra alcuni sintomi dei DSA.
«Di conseguenza una delle nostre ricerche è rivolta allo studio a livello molecolare di potenziali comuni disturbi del neurosviluppo, alla base di questi due disordini neurologici.»
 
Conclusioni e speranze…?
«L’autismo è un’emergenza sociale. La mia speranza è che la ricerca possa contribuire allo sviluppo di trattamenti farmacologici efficaci e di metodologie più sofisticate per una diagnosi precoce, che ancora oggi purtroppo rappresenta una sfida importante.
«Ciò consentirebbe interventi riabilitativi ad un’età in cui determinate anomalie comportamentali possono ancora essere modificate, favorendo così progressi significativi sul piano cognitivo, emotivo e sociale dei bambini affetti.»
 
Dott. Giovanni Provenzano - giovanni.provenzano@unitn.it
Nadia Clementi - n.clementi@tin.it

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