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Che ne sappiamo delle malattie del sangue? – Di Nadia Clementi

Ne abbiamo parlato con la dottoressa Gina Rossetti, specializzata in Ematologia Clinica

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In questa intervista parleremo delle malattie del sangue: il tessuto connettivo fluido del nostro organismo responsabile delle più importanti funzioni vitali.
Formato da cellule specializzate chiamate globuli rossi (eritrociti), globuli bianchi (leucociti), piastrine e dal plasma (la parte liquida) che contiene sali minerali, proteine (fra cui i fattori della coagulazione) ormoni, anticorpi etc. 
 
Ogni componente principale del sangue ha una sua specifica funzione. I globuli rossi sono deputati al trasporto e alla cessione dell’ossigeno, fondamentale per tutte le funzioni vitali dell’organismo.  
Le vediamo nella seguente tabella.
 

 
I globuli bianchi sono deputati alla difesa dell’organismo da agenti estranei, come batteri e virus. Le piastrine sono indispensabili per innescare la coagulazione mentre i fattori della coagulazione garantiscono la solidità del coagulo formato dalle piastrine.
Il sangue, per la sua nota importanza, attrae e spaventa. Ovviamente è essenziale per la vita e per questo abbiamo ritenuto che valesse la pena consultare una specialista, l’ematologa dott.ssa Gina Rossetti che si occupa della diagnosi e della terapia di malattie che interessano appunto la composizione del sangue e degli organi che lo riproducono.

 Chi è la dott.ssa Gina Rossetti
Laureata in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Padova con il massimo dei voti e lode nel 1980.
Specializzata in Ematologia Clinica e di Laboratorio presso l'Università di Verona con il massimo dei voti e lode nel 1983.
Dal 1986 a ottobre 2013 ha svolto attività professionale presso il Centro Trasfusionale dell’Ospedale di Trento, con vari ruoli (in particolare Responsabile di Struttura Semplice dal 1997, Direttrice incaricata di Struttura Complessa nel 2012): ha sempre seguito patologie ematologiche, pazienti in terapia anticoagulante orale, trombofilie ed è stata responsabile del Centro Provinciale per la Diagnosi e la Cura dell'Emofilia e delle Coagulopatie.
Dal 1988 è impegnata in attività didattica continuativa, in particolare Professore a contratto preso l'Università di Verona per il Corso di Laurea in tecniche di laboratorio biomedico fino al 2013.
Ha collaborato alla pubblicazione di 148 articoli e abstract su riviste nazionali ed internazionali, su tematiche di interesse trasfusionale, infettivologico (HIV), ematologico e coagulativo.
Da gennaio 2014 effettua visite ematologiche presso il Centro Sanitario Trento.

Dott.ssa ci spiega in parole semplici cos’è l’ematologia?
«L’ematologia è la branca della Medicina che si occupa dell’inquadramento diagnostico e della cura delle malattie del sangue. Queste possono essere congenite, di solito a carattere ereditario, o insorgere nel corso della vita. Possono colpire tutte le componenti del sangue, compresi i fattori della coagulazione.»
 
Perché ci si rivolge ad un ematologo e cosa rileva una visita ematologica?
«Di solito si rivolge all’ematologo chi ha già eseguito un esame emocromocitometrico o test di screening della coagulazione e necessita di interpretare ed approfondire il quadro clinico. Anche l’ingrossamento ingiustificato dei linfonodi o di fegato e milza possono portare all’ematologo. La visita consiste in un colloquio e nell’esame clinico obiettivo.
«Il primo obiettivo di una visita ematologica è la raccolta accurata dell’anamnesi, che può essere informativa delle modalità e della data di insorgenza del problema, della sua ripetitività in ambito familiare. Stabilire il carattere acuto o più indolente del quadro permette solitamente di orientare eventuali approfondimenti diagnostici e l’approccio terapeutico.
«L’esame obiettivo deve essere accurato e rilevare anche l’eventuale presenza di linfoadenopatie (ingrossamento dei linfonodi) ed organomegalia: fegato e milza sono strettamente imparentati con il sangue, come organi che possono svolgere funzione ematopoietica e sono sede della eliminazione fisiologica delle cellule del sangue.»
 

 
Quali sono le principali malattie del sangue?
«Per la diffusione del sangue e del tessuto linfatico ad esso associato a tutto l’organismo, le malattie del sangue, sia neoplastiche che non, hanno carattere sistemico, per cui la sintomatologia può coinvolgere vari organi ed apparati.
«Come dicevo, le malattie del sangue possono essere acquisite o ereditarie, possono insorgere in tutti i processi che partecipano alla produzione delle cellule sanguigne, sia in senso riduttivo, che con una proliferazione ingiustificata, oppure nelle stesse componenti del plasma.»
 
Quali le più diffuse? Quali le più gravi?
«Le più diffuse sono le anemie, ovvero le situazioni di ridotta quantità di emoglobina, una complessa proteina che lega il ferro, e che trasporta l’ossigeno in tutti i distretti dell’organismo, responsabile del colore rosso del sangue.
«Le patologie neoplastiche del sangue sono invece classificabili come malattie rare. Fra queste si distinguono forme croniche, come le malattie mieloproliferative (policitemia, trombocitemia essenziale, mielofibrosi essenziale) e la leucemia linfatica cronica, che, sia perché insorgono in età matura, sia per la prognosi di anni, se ben controllate hanno un lungo decorso, addirittura decenni e che, seppure non guaribili, accompagnano il paziente negli ultimi anni di vita, senza determinarne di solito l’evento finale.
«I linfomi rappresentano la quinta neoplasia nell’uomo in ordine di frequenza. Le più gravi sono ovviamente le leucemie acute e alcuni linfomi particolarmente aggressivi.»
 

 
Le malattie tumorali del sangue come la leucemia e i linfomi erano inguaribili in passato per la maggioranza dei pazienti. È vero che oggi, grazie alle nuove possibilità terapeutiche, è aumentata la possibilità di guarigione?
«Esistono diversi tipi di leucemie, caratterizzate dalla presenza nel sangue di un numero eccessivo di globuli bianchi. Quelle acute erano fatali fino a qualche anno fa.
«Oggi, metà dei malati di leucemia guariscono grazie alla chemioterapia, all’uso di una particolare vitamina (acido retinoico nella leucemia promielocitica acuta), all’ uso di farmaci intelligenti che hanno come bersaglio le alterazioni molecolari della malattia (uso di inibitori delle tirosinochinasi nella leucemia mieloide cronica) coadiuvata talvolta da un trapianto di cellule staminali, progenitori del midollo osseo in grado di differenziarsi in tutti gli elementi corpuscolati del sangue. 
  
Le cellule staminali per le malattie del sangue sono futuro o realtà?
«Sono realtà, sia nell’accezione di autotrapianto che di trapianto da donatore. Esiste a livello mondiale un registro di donatori di midollo osseo, cioè un database condiviso, che permette di attivare la ricerca di un donatore compatibile, quando non sia disponibile un familiare.
«Il Trentino è attivo su questo fronte da oltre 20 anni ed ha registrato diversi casi di donazione da parte di donatori trentini e per converso di giovani trentini leucemici trapiantati.»  
 
Tra le principali patologie di cui si occupa l’ematologo, le più comuni sono le anemie, ne esistono di diversi tipi, vuole spiegarci quali sono e quali i sintomi?
«Le anemie possono avere diversa causa e un diverso meccanismo di instaurazione, possono essere congenite ed acquisite. Le anemie congenite sono sostenute da un difetto di produzione dell’emoglobina (come nel caso delle talassemie e della drepanocitosi o falcemia).
«In questi casi la patogenesi dell’anemia è duplice, sostenuta da una produzione di globuli rossi inefficace (il loro contenuto di emoglobina è scarso) e da una loro maggiore fragilità, per cui ne risulta ridotta la vita media.»
«Può trattarsi di un difetto delle componenti della membrana cellulare, che comporta modificazioni morfologiche e ridotta sopravvivenza dei globuli rossi (anemia emolitica). Le anemie emolitiche possono tuttavia essere anche acquisite, di solito per fenomeni di autoimmunità, spesso in associazione con altre patologie o all’uso di farmaci ed insorgere in età adulta.
«Le anemie carenziali sono tuttavia le più frequenti e fra queste quella da carenza di ferro. Alte forme carenziali (carenza di vit. B 12, B 6 e folati) alle nostre latitudini sono più rare. Rispettivamente, la prima è di solito associata ad un malassorbimento, mentre le altre si evidenziano in casi di malnutrizione, più frequentemente nella popolazione anziana e negli etilisti.
«Sempre più frequenti sono anche le anemie iporigenerative acquisite, la cui prevalenza va di pari passo con l’invecchiamento della popolazione e che si presentano in vari quadri di mielodisplasia, con coinvolgimento più o meno importante delle altre linee cellulari (globuli bianchi e piastrine) e tendenza all’evoluzione in fibrosi del midollo osseo o in forme di leucemia acuta.
«La sintomatologia non è univoca e dipende dall’entità dell’anemia (livello di emoglobina), dalla velocità con cui si è presentata e quindi dalla possibilità che l’organismo metta in atto meccanismi di compensazione, come per es. la velocità di circolo del sangue e la capacità dell’emoglobina di cedere ossigeno ai tessuti. La velocità di insorgenza (per esempio un’emorragia da trauma) o la comorbidità con malattie cardiache ischemiche e respiratorie non permettono a questi meccanismi di instaurarsi adeguatamente, per cui alcune anemie impongono l’adozione di un regime trasfusionale.
«Genericamente il quadro clinico è caratterizzato da pallore delle mucose, tachicardia, astenia, inappetenza, dispnea da sforzo, ma anche perdita di capelli, fragilità delle unghie, secchezza della cute, fino a vere e proprie psicosi in alcuni casi di anemia sideropenica.»
  
È vero che la carenza di ferro è la causa più comune di anemia in Italia e nel mondo? 
«Sì e se ne registra un continuo aumento.»
 


Quali sono le cause e i sintomi più frequenti del paziente con anemia da carenza di ferro? Qual è la terapia?
«Il patrimonio di ferro dell’organismo umano è piuttosto esiguo, rispetto al fabbisogno, e l’assorbimento alimentare del ferro non è particolarmente efficiente, per cui si può creare uno sbilanciamento fra consumo ed introduzione di ferro, specie in particolari condizioni (per esempio nelle donne in età fertile e in gravidanza).
«L’anemia si manifesta come evento finale, quando il patrimonio marziale è esaurito. Le cause sono da cercare in aumentate perdite di ferro (per esempio perdite croniche di sangue con le mestruazioni, per emorroidi o dall’apparato gastrointestinale) o in situazioni di malassorbimento del ferro.
«Talora sono implicate anche veri e propri disturbi dell’alimentazione o particolari abitudini alimentari: nella composizione della dieta bisogna tener conto non solo della quantità di ferro, ma anche della sua biodisponibilità. Il ferro che viene relativamente meglio assorbito è quello emico, contenuto nella carne.
«Non è termolabile, per cui è ben assorbibile anche dopo la cottura. Anche alcuni vegetali sono ricchi di ferro, ma si tratta di ferro non emico, complessato in forma di sale e quindi assorbito scarsamente o per niente: la tradizione popolare di consumare molti spinaci per aumentare l’assorbimento di ferro non ha pertanto un fondamento scientifico.
«Nelle diete strettamente vegetariane il contenuto totale di ferro dovrebbe quindi essere circa il doppio di quelle tradizionali. Il consiglio è di preferire comunque sempre una dieta equilibrata, con un adeguato apporto di carne e vegetali. Anche l’invecchiamento della popolazione contribuisce ad aumentare con diversi meccanismi la prevalenza di questa forma di anemia. Insomma, l’anemia da carenza di ferro è di solito l’epifenomeno di qualcosa d’altro, che va obbligatoriamente chiarito.
«La terapia è sostitutiva, mediante supplementazione con preparati di ferro, quando possibile orale, anche se non è raro registrarne un’intolleranza gastrica. Solo in casi selezionati, va preferita la terapia endovenosa di ferro. Quest’ultima trova tuttavia sempre più indicazione, da quando si è scoperto come una proteina (epcidina) sintetizzata dal fegato, che aumenta in situazioni infiammatorie in senso lato, inibisce il trasporto di ferro a livello intestinale, vanificando la terapia marziale per bocca.»
 
Abbiamo parlato tanto di prevenzione quale miglior cura, vuole lasciare ai nostri lettori qualche consiglio?
«Per l’anemia sideropenia il consiglio è… di non accontentarsi di correggere l’anemia, magari solo parzialmente. La terapia sostitutiva va proseguita fino al raggiungimento della saturazione delle scorte marziali, anche se è un percorso lungo, specie in caso di terapia orale, in quanto l’assorbimento di ferro (emico) è fisiologicamente appena il 2-20% di quello somministrato.»
 
L’Ematologia si occupa anche dei disturbi della coagulazione, di cosa si tratta e che impatto hanno sulla popolazione?
«L’emostasi è un processo biologico salvavita, estremamente complesso, che permette l’arresto tempestivo ed efficiente del sanguinamento attraverso meccanismi sequenziali ben precisi, in equilibrio con meccanismi anticoagulanti, che ne limitano l’effetto.
«In condizioni normali si realizza un perfetto bilanciamento fra fattori pro coagulanti o emostatici in senso stretto e fattori anticoagulanti. Quando viene meno questo equilibrio, incorriamo in malattie emorragiche, per difetti quantitativi o funzionali dei fattori coagulanti ovvero al contrario in situazioni di trombofilia, quando sono carenti gli anticoagulanti naturali.
«Si tratta per lo più di disordini congeniti, classificabili nella maggior parte dei casi fra le malattie rare.
«Il più frequente difetto emostatico è rappresentato dalla Malattia di von Willebrand, che può interessare maschi e femmine, anche se, per ragioni proprie del genere femminile (mestruazioni, gravidanze, parto) la sintomatologia emorragica è più accentuata in quest’ultime. Insieme all’emofilia A e B, la Malattia di von Willebrand rappresenta il 95-97% delle malattie emorragiche congenite. A parte i casi di familiarità nota, bisogna pensare a loro in caso di emorragie significative o ripetute nel tempo (epistassi, menorragie, emorragie dopo manovre invasive o estrazioni dentarie).
«Le trombofilie ereditarie sono anche rare, e in forma lieve (eterozigote) sono spesso silenti. Nel corso della vita è possibile si presentino situazioni acquisite di aumentato rischio trombotico, come per esempio in corso di neoplasie, durante la gravidanza, per stati infiammatori ed immobilizzazioni. Anche alcuni farmaci determinano un aumento del rischio di trombosi, fra tutti la terapia ormonale estro progestinica (la pillola) ed è inoltre noto il rischio embolico associato ad una cardiopatia estremamente diffusa, come la fibrillazione atriale o dopo interventi protesici sulle valvole cardiache.
«Se le sindromi emorragiche sono rare, sono esposti a rischio trombotico larghe fasce di popolazione, in diretta associazione con l’aumento dell’età media.»
 
Nadia Clementi - n.clementi@ladigetto.it
Dott.ssa Gina Rossetti - ginarossetti1@gmail.com
Collabora con il Centro Sanitario Trento via Trener 2/2 38121 Trento tel. 0461 830596
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