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Terrorismo e instabilità del Corno d'Africa/ 3 – Di Marco Di Liddo

Terza puntata – Prosegue il focus dei vari paesi dell’area: Gibuti

La Repubblica di Gibuti è un sistema semipresidenziale attualmente presieduto da Ismail Omar Guelleh, leader del Raggruppamento popolare per il progresso (People’s Rally for Progress – RPP), partito che domina la scena politica dal 1979 e confermatosi, con le ultime elezioni dello scorso febbraio, formazione maggioritaria dell’Assemblea Nazionale, il parlamento unicamerale di Gibuti.
Uscito vincitore dalle elezioni del 1999 con il 74% dei consensi, il Presidente sta portando avanti il suo terzo mandato, dopo che i risultati elettorali del 2005 e del 2011 lo avevano riconfermato alla guida del Paese, con percentuali pressoché plebiscitarie (100% dei consensi nel 2005, 81% nel 2011).
Il sistema istituzionale previsto dalla Costituzione garantisce al Presidente, di fatto, un sostanziale controllo sia dell’esecutivo sia del potere legislativo: spetta, infatti, alla massima carica dello Stato nominare il Primo Ministro, attualmente Abdoulkader Kamil Mohamed, e presiedere il Consiglio dei Ministri.
 
Inoltre, l’attuale spartizione dei seggi nell’Assemblea nazionale, che vede 45 seggi, su 65, attribuiti all’Unione per la maggioranza presidenziale (Union pour la majorité présidentielle – UMP), la coalizione che ha appoggiato il Presidente alle elezioni, e i restanti 20 divisi tra l’Unione per la salvezza nazionale (Union pour le salut national – USN) e il centro dei Democratici riuniti (Centre des démocrates unifiés – CDU), contribuisce ad assicurare una coerenza legislativa all’operato del governo.
Nonostante il protagonismo politico di Guelleh abbia suscitato costanti critiche da parte dell’opposizione, tra cui le contestazioni dei primi mesi del 2010 contro la riforma costituzionale approvata dall’Assemblea nazionale per permettere al Presidente di candidarsi per la terza volta ai vertici dell’esecutivo, il Presidente gode tuttora di un ampio consenso popolare ed è considerato dall’opinione pubblica l’uomo politico garante della stabilità del Paese.
 
Nel maggio 2001 è stato promotore dell’accordo di pace tra il governo e la frangia più radicale del Fronte per la restaurazione dell’unità e della democrazia (Front pour la restauration de l’unité et de la démocratie –FRUD), partito politico di etnia Afar protagonista della ribellione dei primi Anni Novanta ed in contatto con l’ARDUF, suo equivalente etiope.
Grazie all’opera di mediazione presidenziale, il movimento etnico pare aver abbandonato il suo progetto originale di formazione di uno Stato che riunisca tutte le regioni a maggioranza Afar del Corno d’Africa (Eritrea, nord di Gibuti, nord-est dell’Etiopia).
Guelleh appartiene alla tribù dei Mamassan, parte del gruppo Issa inquadrato nel clan somalo Dir, presente nel Somaliland, in Somalia e nell’estremo nord dell’Ogaden etiope.
 
Tale appartenenza clanica permette al Presidente gibutiano di intrattenere relazioni profonde con le leadership di questi Stati, poiché basate su rapporti di sangue che prescindono dalle cornici istituzionali.
Sono noti, per esempio, i legami tra il Presidente Guelleh e il Fronte rivoluzionario democratico del popolo etiope (Ethiopian Peoples’s Democratic Front - EPRDF), la coalizione attualmente al governo in Etiopia.
Gibuti, inoltre, è stato partecipe del processo di pacificazione in Somalia: ha ospitato la conferenza di Arta nel 2000 ed è stata la sede dell’Autorità intergovernativa sullo sviluppo (Intergovernmental Authority on Development -IGAD), la piattaforma di cooperazione regionale promotrice della missione di pace in Somalia IGASOM, nel 2006, che è stata poi sostituita nel 2011 dall’ African Mission in Somalia (AMISOM), su iniziativa del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
 
La posizione strategica che il Paese ricopre nel Corno d’Africa, tra il Mar Rosso e il Golfo di Aden, rende Gibuti un interlocutore di primario interesse per la Comunità internazionale.
Con la progressiva ascesa della minaccia terroristica nella regione, infatti, il Paese ha visto accrescere la propria importanza per ospitare la presenza internazionale sul continente.
Nel 2001 il governo di Gibuti ha concesso agli Stati Uniti l’utilizzo della base militare di Camp Lemonnier, situata nell’aeroporto internazionale di Ambouli, per lo stanziamento dei contingenti della Combined Joint Task Force Horn of Africa (CJTFHOA), impiegate nell’ambito del Comando statunitense per l’Africa (USAFRICOM).
L’importanza dell’infrastruttura militare per le operazioni delle Forze Armate statunitensi ha spinto il Pentagono a stanziare circa un miliardo, in aggiunta ai 38 milioni versati ogni anno al governo di Gibuti per l’utilizzo della base, per estenderne la capienza a 4.000 unità e renderla una piattaforma regionale da cui pianificare le operazioni non solo in Africa ma anche nella Penisola Arabica e nell’Oceano Indiano.
 
La Francia, ex potenza coloniale del Paese, è tuttora formalmente garante della sicurezza esterna del Paese. La presenza francese sul territorio è stata però ridimensionata nel 2011 e, ad oggi, consta di 1.900 effettivi, suddivisi tra il personale permanente della base di Camp Monclar (1.400 tra Esercito, Aeronautica e Marina) ed il personale impiegato a rotazione tra la Francia e le altre base nella regione.
Gestisce, inoltre, alcuni punti di ricognizione lungo le frontiere marittime, tra cui Ras Doumeira e Ras Bir at Obock.
Questo cambiamento nell’impegno militare di Parigi nel Paese è giustificato dal ruolo che la Francia vorrebbe ricopre nella lotta alla pirateria nel Golfo di Aden.
Le infrastrutture militari di Stati Uniti e Francia sono state messe a disposizione per le due missioni che l’Unione Europea ha lanciato per contrastare la minaccia piratesca e che hanno in Gibuti la propria base operativa.
 
Il Paese era stato oggetto di interesse anche di Cina e Giappone, che si appoggiavano alle infrastrutture portuali nazionali per controllare le proprie navi in transito nella regione.
La presenza delle rispettive marine è stata poi intensificata dai governi per partecipare alle operazioni internazionali anti-pirateria: Gibuti, infatti, è stato il primo scenario in cui il governo cinese si è impegnato a dispiegare un contingente delle proprie forze Armate all’estero. Dal 2011, inoltre, il Paese ospita circa 600 membri della Maritime Sels-Defence Forces giapponese, presenti a rotazione tra la base costruita nella capitale, nei pressi di Camp Lemmonier, e le navi presenti nei porti del Paese.
La strategicità del Paese per le missioni di stabilizzazione realizzate nel Corno d’Africa, ha spinto anche l’Italia ad installare nel Paese una propria base militare: inaugurata lo scorso 23 ottobre, l’infrastruttura è situata a 7 chilometri dal confine con la Somalia e potrà presto ospitare fino a 300 militari delle Forze Armate nazionali.
 
Marco Di Liddo (CeS.I.)
(3 - Continua)
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