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Terrorismo e instabilità del Corno d'Africa/ 5 – Di Marco Di Liddo

Quinta puntata – Prosegue il focus dei vari paesi dell’area: la Somalia

 Somalia
Il 20 agosto del 2012, per la prima volta dalla scoppio della guerra civile nel 1992, la Repubblica federale di Somalia ha inaugurato il nuovo Parlamento che, un mese più tardi, ha nominato il nuovo esecutivo.
I membri dell’assemblea nazionale hanno scelto Hassan Sheikh Mohamud come Presidente della Repubblica e Mohamed Osman Jawari come Presidente del Parlamento. La formazione del nuovo governo è stata affidata al Premier Abdi Farah Shirdon.
A distanza di 18 mesi dalla sua nomina, il primo Ministro è stato sfiduciato dal governo a causa dello scontro istituzionale tra i membri dell’esecutivo a lui fedeli, espressione del clan Darod-Maheran, e quelli vicini al Presidente, rappresentanti del clan Hawiya.
La struttura e le dinamiche di elezione del Parlamento e il processo che ha condotto alla sfiducia di Shirdon permettono di capire come la definizione dello scenario politico somalo sia dominato dagli equilibri tra i maggiori clan.
L’insediamento dell’attuale assemblea legislativa e del Governo somali rappresenta il risultato di un lungo processo di mediazione politica e di negoziazione tra clan iniziato con gli Accordi di Kampala del 2010 e culminato con la sottoscrizione dei Principi di Garowe e della RMET (Road Map for the End of Transition) nel 2012.
 
Il contenuto di questi due documenti ha sancito quella che sarebbe stata l’attuale struttura istituzionale del Paese e, soprattutto, ha confermato l’alleanza politica tra i gruppi Darod e Hawiya, che era stata alla base del funzionamento del Governo federale di transizione (GFT).
Quest’ultimo, nato dagli Accordi di Kampala, è stato l’organo istituzionale che ha governato la Somalia tra il 2010 e il 2012, preparando l’insediamento del Governo e del Parlamento attuali.
Il processo politico sviluppatosi tra il 2010 e il 2013 ha sancito l’alleanza tra i 3 maggiori clan somali: il Darod, il Hawiye e il Rahanwein, che insieme includono circa il 65% della popolazione e che, in virtù della loro superiore rappresentatività, si sono divisi le principali cariche dello Stato.
In questo modo, si è stabilita una consuetudine vincolante secondo la quale il Presidente somalo deve necessariamente essere un Hawiye, il Primo Ministro un Darod e il Presidente del Parlamento, tradizionale figura di mediazione tra i poteri, un Rahanwein.
Tale tripartizione è tutt’ora valida anche se il carisma e l’abilità del Presidente Mohamud hanno permesso al clan Hawiye di occupare posizioni istituzionali molto rilevanti e di far pendere l’equilibrio delle forze leggermente dalla sua parte.
Infatti, oltre al Presidente Mohamud, le personalità più influenti dello scenario politico somalo sono il Ministro di Stato e membro del Gabinetto Presidenziale Farah Sheikh Abdulkadir, appartenente al sub-clan Rer aw Hassan, fazione molto autonoma del clan Hawiye, originaria della regione etiope dell’Ogaden, e il Ministro dell’Interno Abdikarim Hussein Guled (clan Hawiye).
 
Non deve sorprendere il fatto che la tripartizione delle cariche su base clanica escluda il grande clan Ishaaak, poichè questo è originario del Somaliland, regione autonoma governata da suddetto clan, che quindi né riconosce l’autorità del governo di Mogadiscio né tantomeno chiede di partecipare ai suoi processi decisionali.
L’elemento di novità più significativo che ha caratterizzato l’ascesa politica del Presidente Mohamud è stato sicuramente la relazione che egli ha costruito con i leader clanici locali e con la diaspora somala nel mondo. Infatti, per la prima volta dall’inizio della guerra civile, Mohamud ha cercato il consenso e il sostegno delle tribù locali, cercando di creare un esecutivo che rispecchiasse il più possibile la volontà della popolazione civile.
Inoltre, la stretta relazione costruita con le personalità più eminenti della diaspora somala, dalla quale provengono le personalità più carismatiche dei governi somali dalla caduta dell’UCI nel 2006, ha permesso l’apertura di un canale politico e finanziario, costituito in larga misura delle donazioni volontarie, alternativo rispetto alle sponsorizzazioni delle potenze regionali.
In questo modo, pur essendo in diretto contatto con Nairobi ed Addis Abeba, il governo di Mohamud ha guadagnato maggiore indipendenza e libertà di manovra.
 
Tuttavia, il tentativo di Mohamud di guadagnare il consenso congiunto delle tribù locali e degli elementi della diaspora deve confrontarsi con il tradizionale contrasto tra questi due gruppi. Infatti, le personalità della diaspora governano Mogadiscio dal 2010 con il sostegno della Comunità internazionale, ma non hanno mai dovuto sostenere, al pari delle tribù che sono rimaste in patria, il costo umano della guerra contro Siad Barre prima e al-Shabaab dopo.
Dal punto di vista politico è questo l’ostacolo più grande alla riconciliazione nazionale, poiché i somali che non sono emigrati ritengono che i membri della diaspora si siano appropriati delle conquiste politiche da loro ottenute sul campo di battaglia.
Inoltre, i nazionalisti somali accusano i membri della diaspora di essere agenti al servizio delle potenze straniere, fattore che di certo non aiuta la legittimazione «sociale» del loro potere.
Il peso dei clan e il ruolo della diaspora nella definizione degli equilibri politici somali non dipende esplosivamente da fattori interni, ma rispecchia anche il ruolo e l’influenza delle potenze regionali hanno costantemente cercato di promuovere la vertice delle istituzioni somale uomini ad esse fedeli.
Infatti, il Presidente Mohamud, essendo un Hawiya, ossia il clan delle regioni centrali, è più vicino al governo etiope, mentre il Premier Shirdon, in quanto Darod-Maheran, il clan meridionale dello Jubbaland\Azania, è l’interlocutore privilegiato del Kenya.
 In ogni caso, entrambi sono uomini graditi a Stati Uniti e Francia, i due Paesi Occidentali che, negli ultimi mesi, hanno offerto un significativo contributo militare, al fianco dell’Esercito keniota e di quello etiope, alla parziale liberazione di Mogadiscio e di Kisimayo nel 2012.
Inoltre, pare che Mohamud sia in ottime relazioni con Al-Islah, la sezione somala dei Fratelli Musulmani, finanziata e sostenuta dal Qatar. Questa relazione «speciale» ha permesso al Presidente di guadagnare il sostegno degli ambienti islamico-moderati somali che si oppongono al radicalismo salafita.
 
 
Mogadiscio.
 
Dal punto di vista interno, la principale sfida dell’esecutivo somalo è ampliare la partecipazione popolare e includere nel processo decisionale la maggior parte degli attori politici e sociali che governano il Paese.
Infatti, la guerra civile e lo sfaldamento delle istituzioni centrali ha favorito, negli anni, l’ascesa di un incredibile numero di autorità locali, ognuna delle quali intende difendere la propria quota di potere. In questo senso, lo scenario politico somalo appare altamente frammentato e dominato da un arcipelago di organizzazioni regionali, di milizie sub-claniche legate ai signori della guerra e di province formalmente autonome ma di fatto indipendenti.
Tale frammentazione si basa sulle rivendicazioni di quei clan minori esclusi dalla ripartizione delle cariche istituzionali e quindi per nulla disposte a riconoscere la piena autorità del governo centrale.
Le forze politiche somale, assieme alle organizzazioni internazionali, hanno cercato di cristallizzare l’estrema varietà di autorità, forme e fonti di potere all’interno di una cornice costituzionale di tipo federale che, in nome del principio di «unità nella diversità», le convogliasse armonicamente nel futuro Stato somalo.
 
Tuttavia, senza l’inclusione dei clan minori nel processo decisionale, la promozione di un ipotetico modello federale potrebbe equivalere alla ulteriore disgregazione politica e territoriale del Paese.
In mancanza di una adeguata rappresentanza a Mogadiscio, i clan minori hanno creato istituzioni e governi regionali autonomi o, nel peggiore dei casi, hanno costituito milizie che controllano singole città o distretti.
Oggi, in Somalia, quasi ogni regione ha un parlamento, un presidente e un governo autonomi che ritengono di avere la stessa dignità e la stessa autorità di Mogadiscio.
Di queste, le più influenti sono la Shabelle Valley Administration (SVA), la Bakool-Bay-Hiran (BBH) e lo Jubbaland\Azaria, entità para-statali che, paradossalmente, controllano porzioni di territorio più ampie del governo centrale.
In ordine di tempo, lo Jubbaland\Azania è stato l’ultimo esempio delle tendenze disgregatrici all’interno dello Stato somalo.
La creazione dello Jubbaland, che include le tre regioni meridionali di Gedo, Basso Giuba e Medio Giuba, è stata fortemente patrocinata sia dal governo keniota sia da quello etiope all’indomani dell’operazione «Linda Nchi» del 2012.
 
Siad Barre.
 
L’intenzione di Addis Abeba era di creare una nuova entità statale che, includendo nel suo territorio il grande porto di Kisimayo, le assicurasse lo sbocco sull’Oceano Indiano.
Diversamente, le strategie di Nairobi erano incentrate sulla nascita di uno Stato cuscinetto, lungo il suo confine settentrionale, che fungesse da barriera e da filtro contro i movimenti dei miliziani di al-Shabaab e delle bande criminali.
Infatti, sia il movimento jihadista sia i network criminali somali avevano notevolmente intensificato le proprie attività nelle province keniote del nord, concentrandosi sul lucroso business dei rapimenti di occidentali che lì si recavano in vacanza.
In questo modo l’industria turistica keniota, una delle principali voci di bilancio per la casse dello Stato, aveva subito un drammatico ridimensionamento.
Inoltre, il Kenya voleva accedere allo sfruttamento delle risorse petrolifere e gasifere offshore presenti di fronte alla coste dello Jubbaland.
Ad oggi, lo Stato dello Jubbaland, autoproclamatosi indipendente, non riconosciuto dal governo di Mogadiscio, esercita una sovranità puramente formale limitata alla città di Kisimayo, mentre il resto del territorio è controllato da al-Shabaab.
 
Come se non bastasse, lo Jubbaland è insanguinato dalla lotta tra milizie claniche che aspirano al controllo del suo territorio: il gruppo di Ahmed Madobe, il leader della milizia Ras Kamboni e il gruppo di Istin Hassan.
Gli scontri tra i due gruppi armati sono stati particolarmente intensi a Kisimayo, nel giugno del 2013, quando, all’indomani delle elezioni locali, sia Hassan che Madobe si sono dichiarati legittimi governatori della regione.
Inoltre, gli scontri di Kisimayo sono esplicativi di due fenomeni che caratterizzano l’ascesa delle realtà indipendentiste.
Il primo è il ruolo influente svolto dalle milizie sub-claniche, che non hanno un’agenda politica definita, bensì si schierano al fianco del governo o dei gruppi ad esso opposto a seconda della convenienza del momento.
Il secondo è l’ambiguità delle politiche delle potenze regionali che, pur sostenendo il governo di Mogadiscio, non esitano a finanziare e appoggiare movimenti indipendentisti nel momento in cui essi siano in grado di garantirli maggiori benefici.
Inoltre, il caso dello Jubbaland rappresenta la testimonianza di come Kenya ed Etiopia, pur cooperando per la stabilizzazione della Somalia e pur sostenendo entrambi la formazione dello Jubbaland, siano primariamente interessati al perseguimento dei propri interessi di parte e vedano con sospetto e rivalità il reciproco attivismo nel Corno d’Africa. Infatti, il gruppo di Madobe è stato sostenuto dal Kenya, mentre la milizia di Hassan dall’Etiopia.
 
Abdullahi Yusuf Ahmed. 

La continua nascita di movimenti e gruppi che intendono realizzare la secessione di qualche regione somala non deve essere sottostimata, poiché costituisce una minaccia concreta all’integrità territoriale della Somalia. Infatti, molte delle organizzazioni indipendentiste si ispirano al precedente rappresentato dal Puntland.
Queste due ex province settentrionali, rette da clan diversi rispetto a quelli che governano Mogadiscio, hanno conosciuto un percorso politico diverso da quello del resto del Paese e adesso, ottenuta de facto l’indipendenza e consci dei discreti risultati di stabilità raggiunti, non intendono derogare quote della propria sovranità.
In particolare, il Puntland merita una menzione speciale, poiché è riuscito dove il resto della Somalia ha fallito, ossia nello sviluppo di un apparato di sicurezza decente, di un sistema istituzionale condiviso ed accettato dalle élite e, soprattutto, di un’economia abbastanza funzionante basata sull’estrazione del petrolio nei bacini di Nogal e di Al Medo.
Proprio la consistenza delle risorse idrocarburiche stimate (circa miliardi di barili) è la ragione che spinge le autorità di Bosaso a mantenere la propria autonomia.
Le prospettive di ricostruzione istituzionale ed economica della Somalia sono minacciate non soltanto dal particolarismo dei clan e dalle spinte autonomiste delle realtà locali, ma soprattutto dalle attività di al-Shabaab, nonostante la perdita di importanti città quali Baidoa e Kisimayo, centri fondamentali per il finanziamento e la logistica del gruppo, e lo scontro interno alla leadership.
 
Infatti, negli ultimi mesi al-Shabaab ha vissuto un durissimo scontro, interno alla propria leadership, tra la fazione pan-somala, guidata da Sheikh Aweys, e la fazione qaedista, capeggiata da Abu Zubeyr Godane. Infatti, mentre Aweys ha sempre riconosciuto la centralità del clan e dell’heer (il diritto consuetudinario tradizionale) e non ha mai abbandonato la possibilità della riconciliazione con il governo centrale, Godane ha mantenuto posizioni più radicali, vicine ad al-Qaeda e orientate al jihad globale.
Al-Shabaab non ha mai rappresentato un clan in particolare, ma ha tradizionalmente accolto al proprio interno combattenti provenienti da tutte le fazioni somale.
Questa caratteristica, unita all’ideologia pan-islamica transnazionale ed alla rigidità nell’applicazione della sharia, caratteristiche tipiche del qaedismo, lo ha reso inviso alle autorità claniche tradizionali. La convivenza tra Godane, membro del clan settentrionale Ishaak, e le istituzioni tribali e claniche del sud, territorio controllato da al-Shabaab, è stata resa possibile dalla mediazione di Aweys, ex leader del partito islamista Hizbul Islam.
 
Bosaso. 
 
Infatti, le milizie di Hizbul Islam, appartenenti prevalentemente ai clan Darod-Marehan e Rahanwein, sono sempre state considerate dalle autorità claniche un interlocutore accettabile e rispettato, poiché Aweys resta il maggior depositario dell’irredentismo pan-somalo e della volontà di costruire un grande stato somalo comprendente la Somalia, la regione etiope dell’Ogaden, il nord del Kenya, il Puntland e il Somaliland. Nella realizzazione di questo progetto politico, Hizbul Islam è aiutato dalla sua interpretazione più moderata della sharia, fattore che facilita il dialogo interclanico.
La rottura tra Godane e Aweys si è lentamente consumata all’indomani della perdita di Kisimayo da parte di al-Shabaab.
Infatti, mentre il leader della fazione estremista, perso il consenso da parte della popolazione locale, ha virato definitivamente verso l’alleanza con al-Qaeda, il leader del gruppo moderato ha iniziato a valutare la possibilità di abbandonare la lotta armata ed iniziare un processo di riconciliazione con le autorità di Mogadiscio.
Per supplire alla mancanza di sostegno clanico, fattore indispensabile per il reclutamento di nuovi miliziani, Godane si è rivolto a combattenti stranieri, soprattutto kenioti e yemeniti, ed ha inasprito le sue posizioni nei confronti di Aweys, arrivando metterne in pericolo la stessa esistenza.
A quel punto, nel giungo del 2013, il vecchio capo di Hizbul Islam ha preferito abbandonare al-Shabaab e consegnarsi alle autorità somale.
 
In ogni caso, il conflitto interno alla leadership e la perdita di Kisimayo hanno indebolito al-Shabaab, ma non gli hanno inferto un colpo letale. Infatti, il movimento jihadista controlla ancora larghe porzioni del territorio meridionale somalo ed è massicciamente presente nelle periferie di Mogadiscio.
La frequenza quasi giornaliera degli attacchi suicidi e delle imboscate ai danni delle truppe di AMISOM e dell’Esercito nazionale somalo e contro le personalità istituzionali del Paese testimoniano che la minaccia qaedista è ancora terribilmente presente e forte.
Non è un caso che l’Unione africana, consapevole dei successi recentemente raggiunti nella lotta contro al-Shabaab ma altrettanto conscia della necessità di aumentare la forza d’urto da opporre ai terroristi, abbia considerato l’idea di aumentare di 4.000 uomini il contingente di AMISOM, portandolo ad un totale di 21.000.
Qualora la proposta fosse approvata, la missione di stabilizzazione in Somalia diventerebbe la seconda più grande al mondo, alle spalle della United Nations Organization Stabilization Mission in the Democratic Republic of the Congo (MONUSCO) e dei suoi 23.000 effettivi.
 
Marco Di Liddo (Ce.S.I)
(5 - Continua)
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Foto Wikipedia

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