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Racconto di Pasqua – «Quell’ultimo volo del Gobbo maledetto»

Prima parte di un’avventura che avremmo voluto che accadesse davvero

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Ogni fatto o riferimento a cose o persone è puramente casuale.
L’impressione che tutto sia reale e veritiero è dovuta al fatto che la vicenda si snoda un una situazione che tutti avremmo voluto risolvere in varie maniere.
E questa che segue è l’ipotesi romanzesca che abbiamo ritenuto più vicina alla realtà.

Il ministro della Difesa lo aveva convocato per lunedì della Settimana Santa.
La richiesta era piuttosto strana. Lui, Francesco Fuchs, eroe veterano della Seconda guerra mondiale, era sempre rimasto in contatto con il Ministero della Difesa. Lo invitavano ad ogni compleanno, lo vezzeggiavano e si facevano raccontare per l’ennesima volta qualche aneddoto legato alla sua campagna in Russia, quando pilotava il Gobbo Maledetto.
Era il trimotore più temuto dagli alleati. Costruito dalla Savoia Marchetti nel 1934 come aereo passeggeri, portava il nome di «S.M.79 Sparviero», ma ben presto la versione da guerra venne ribattezzata «Gobbo maledetto» dai nemici che lo temevano per le sue capacità di manovra e per la forma particolare della cabina che gli dava quella grinta di aereo ricurvo assatanato sulla preda.
I Tedeschi, a fianco dei quali Fuchs aveva combattuto in Russia, invidiavano quel velivolo che era paragonabile al loro Junkers Ju 52/3m. Un aereo certamente meno importante, che gli italiani chiamavano «la Ju-Tante», in italiano l’Aiutante e in tedesco la Zia Ju. Insomma la versione femminea dell’S.M.79.
Comunque sia, Fuchs si recò a Roma, nonostante i sui 99 anni suonati. Aveva ancora il brevetto di pilota professionista, ma nessun medico se la sentiva di dargli il nulla osta al volo anche se aveva una salute di ferro.
«E se si sentisse male in volo?» – Gli chiedevano i medici.
«Perché – rispondeva, – ai giovani non può accadere che si sentano male?»
«Certo, ma se si sente male lei mi danno dell’idiota.»
«Corra il suo rischio! È un ufficiale medico!»
Ma non c’era niente da fare, era costretto a volare sempre con a fianco un secondo pilota. Una badante di volo, una specie di A-Ju-tante
Per questo accettò di recarsi nuovamente al Ministero. Forse gli davano il certificato che gli lasciasse fare ancora un ultimo volo. Beh, ultimo è una parola grossa… Uno degli ultimi, ecco.
Entrambi i suoi figlioli erano già in pensione. Ma uno abitava nella sua città, Trento, che lo accompagnava al treno e l’altro, residente a Roma, che lo andava a prendere alla stazione e lo portava dove voleva. Al Ministero della Difesa, dove altro sennò.
 
Giunto al N. 11 di Via XX Settembre, scese dalla macchina del figlio e si presentò alla guardia. Due minuti dopo un ufficiale dell’aeronautica l’aveva già preso per portarlo ai piani superiori.
«Comandante, come sta?»
«Benone. E lo sapete.»
«Comandante, era una domanda di cortesia… Venga, la stanno aspettando.»
Chi lo stesse aspettando, in realtà non ne aveva idea.
Ma stavolta rimase meravigliato. Il ministro in persona gli venne incontro, mentre due altri personaggi in borghese e uno in divisa dell’aeronautica rimasero in attesa sorridenti.
«Comandante Fuchs , sono davvero felice che abbia accettato l’invito, – disse il ministro. – Venga, si accomodi.»
Fuchs si andò a sedere in una poltrona del salottino, con una certa inquietudine. Rimase in silenzio.
«Dunque, i miei collaboratori dicono che lei vorrebbe volare da solo, – riprese il ministro una volta seduto anche lui. – Almeno un ultimo volo, vero?»
Gli altri tre sorridevano, annuendo. Per Fuchs c’era puzza di bruciato. Non era nato ieri. Anzi, neanche l’altro ieri, quasi un secolo prima.
«Cosa sta per chiedermi, signor ministro?»
Il politico rimase interdetto per un attimo, ma non era nato ieri neanche lui.
«Io? No. Non sono un tecnico, solo un semplice politico. Però gli amici che sono con me hanno da farle una proposta.»
Fuchs sapeva che si trattava di una trappola oceanica, ma sentiva che avrebbe abboccato volentieri.
Il ministro si alzò.
«Io devo lasciarla. Sono onorato di averla potuta conoscere di persona. Il Paese può vantarsi di avere persone come lei.»
Si strinsero la mano e Fuchs venne portato in una sala più piccola, o meglio più riservata. Senza cimici.
«Vedo la trappola e vedo l’esca, – disse Fuchs sorridendo. – Quello che non vedo è la cosa principale, l’obbiettivo. Cosa volete esattamente da un vecchio pilota della Seconda guerra mondiale?»
«Lei pilotava il S.M.79 Sparviero, vero?» – Chiese uno dei due uomini in borghese.
«Sì. – Sorrise Fuchs. – Il Gobbo maledetto
«Lo ha mai pilotato da solo?»
«Una ventina di volte, quando era ferito il mio secondo.»
«Ha mai perso l’aereo?»
«Mai. Sono tornato in fiamme, sforacchiato, senza benzina… Ma l’ho sempre portato a casa.»
«Già, – continuò l’ufficiale. – Mi raccontavano che il capopattuglia si faceva guidare da lei quando c’era da bucare le nuvole.»
Fuchs rise. «Sì, dicevano che ero fortunato. O che avevo naso. Io trovavo la colonna di carri armati tedeschi da rifornire. Atterravamo, scaricavamo il materiale e ripartivamo.»
Il pilota dell’Aeronautica era incerto tra l’ammirazione e l’invidia.
«Abbiamo una richiesta da farle.» – Intervenne il terzo uomo.
«L’avevo capito, – sorrise Fuchs. – Sparate.»
«Abbiamo trovato un altro esemplare di S.M.79 Sparviero. – Disse l’uomo in borghese che fino a quel momento era rimasto in silenzio. – In ottime condizioni.»
Fuchs rimase ad ascoltare. Non voleva aiutarli.
«La struttura è perfetta. I motori sono una meraviglia, un’orchestra. I tre motori radiali 126 RC 34 sembrano appena usciti dall’Alfa Romeo.»
«Un’orchestra? – Ripeté Fuchs. Era il termine che usavano loro per dire che l’aereo era in perfette condizioni. Sentiva di avere ingoiato l’esca. – Signori, cosa volete da me?»
«Le chiediamo di visionarlo, provarlo e, se le sembra in grado di funzionare, di pilotarlo di persona fino a portarlo in Italia.»
Il silenzio che seguì fu imbarazzante. Si accorsero di aver fatto il pensiero più lungo del braccio.
«Ehm… Lei ne ha già portato uno in Italia dal Libano, vero?» – Osservò l’ufficiale.
«No, – rispose Fuchs risoluto. – L’ho trovato, l’ho fatto smontare e trasportare in Italia per il Museo Caproni di Trento. Non era in grado di volare.»
«Questo sì, può volare…»
Fuchs si alzò in piedi. Era minuto, come si usava un tempo per i piloti, e come aveva accentuato la sua età. Ma era lo stesso autorevole quanto basta per infondere soggezione.
«Signori, non offendete la mia intelligenza. Ditemi tutto in una volta, altrimenti me ne vado.»
 
Il giorno di Venerdì Santo, Francesco Fuchs si era imbarcato in prima classe del volo Alitalia AZ 720, diretto ad Atene. Lì aveva cambiato aereo, imbarcandosi su un 777 della Etyhad Airways che lo portava ad Abu Dhabi, per poi arrivare finalmente a Bombay.
Totale, 11 ore di volo e 5 di attesa in aeroporto. Avrebbero sfiancato un cristiano, ma Fuchs era eccitato. In missione. Come ai vecchi tempi. Erano passati 65 anni dall’ultima volta…
Al Chattrapathi Shivaji Airport di Mumbay c’era ad attenderlo un’auto dell’Ambasciata Italiana a New Dehli in India, con tanto ai autista in livrea.
«Comandante, ha fatto un buon viaggio? – Gli chiese cortesemente. – La stanno aspettando al consolato di Mumbay.»
Arrivò per ora ci pranzo. Gli vennero incontro l’ambasciatore in persona, il console e i suoi più stretti collaboratori. Tra questi c’era anche Massimo Torrisi, uno dei due uomini in borghese incontrati al Ministero della Difesa. Lo avevano accompagnato dall'ambasciata altri uiomini in borghese. Troppa gente per i suoi gusti.
Ma il pasto fu cordiale e ricco di portate decisamente piacevoli. Che però Fuchs assaggiò appena. Chiese invece di andare a letto nel pomeriggio, perché l’indomani sarebbe stata una giornata difficile.
Cinque ore di fuso orario gli avevano suggerito di limitarsi a fare un’abbondante prima colazione, come se fosse stato all’orario di casa sua. Si alzò poi per ora di cena, che per lui fu il pranzo. Quindi fece quello che corrispondeva al suo riposino pomeridiano.
Alle 3 di mattina si svegliò e, insieme agli altri uomini della partita cominciò i preparativi.
Alle 4 uno spuntino, quello giusto, come se fosse cena. Alle 5 i bagagli e le carte. Alle 6 era all’aeroporto privato di Shahrukh.
La pista, poco più lunga di 500 metri, era un aeroporto a tutti gli effetti. Un capannone di lamiera ondulata, o magari di eternit come sospettava qualcuno, era l’unica costruzione. Quando Fuchs entrò c’era uno strano viavai di persone, decisamente inusuale per quell’ora e in un posto del genere.
Il comandante venne accompagnato in una stanzetta, dove vennero dispiegate alcune cartine per l’ultima volta. Poi entrò il motorista, l’uomo di Roma, Torrisi.
«È tutto pronto, comandante. – Gli disse. – Quando vuole…»
«Allora non perdiamo tempo – rispose arrotolando le cartine, – la strada è lunga.»
«Comandante, la Polizia di Mombay deve chiederle qualcosa.» – Intervenne un addetto dell’ambasciata.
Fuchs e il suo motorista uscirono.
«Sono il comandante Fuchs.»
«Comandante, ci hanno informati che lei vuole fare un volo di prova con il vecchio velivolo che c’è qui fuori.»
«Esatto.»
«Ehm, comandante, è sicuro di quello che fa?»
«La spaventa la mia età? – gli domandò Fuchs con sicurezza. – Sono l’unico a poter far volare questo rottame.»
«Ehm, sì signore. No, scusi. Però, sa… C’è un centro abitato. Non è che sarebbe meglio se fosse affiancato da un pilota… più giovane?»
Fuchs si trattenne a stento.
«Ecco, questo è il mio brevetto, rinnovato una decina di giorni fa, con tanto di certificato medico.»
Glielo avevano miracolosamente dato. Era una condizione sine qua non.
«Comunque sia, c’è con me il signor Torrisi. – Lo indicò. – È lui il mio secondo.»
Era una balla. Torrisi era solo un esperto meccanico e ottimo restauratore di motori d’epoca.
«Volete fare anche voi un giro con me sulla città? – Chiese Fuchs ai due poliziotti, sfidando la sorte. – Faccio solo un giro di prova per vedere se funziona, se vale la pena acquistare l’aereo.»
«No no, per carità. Ma è sicuro che questo… affare… voli?»
«Questo è un SM 79, Sparviero, detto Gobbo Maledetto. – Rispose con una certa fierezza. – È un esemplare del 1939, versione lancia siluri.»
«Porta anche i siluri?» – Rise volgarmente il più grasso dei due poliziotti.
«No, però ho bisogno di passeggeri per sostituire il peso dei siluri, che appunto non ci sono.»
Fece cenno a due italiani che stavano guardando la scena.
«Forza ragazzi, salite a bordo che si parte, – gridò loro. – Ambasciatore, sale anche lei?»
«Io? Ehm, no…»
I due poliziotti risero.
«Allora se ne vada.»
L’ambasciatore si rabbuiò, salì sulla limousine e tornò in ambasciata. I due passeggeri improvvisati invece salirono a bordo.
Fuchs salutò i poliziotti e salì a bordo, chiudendo il portellone dietro di sé.
Dopo una decina di minuti si accese il primo motore, poi seguì il secondo e infine quello centrale.
Erano magnifici. Aveva ragione il motorista. Era un’orchestra dell’Alfa Romeo.
«Signori, si parte per Tipperary!» – Disse Fuchs. Era un vecchio rito scaramantico che usavano quando partivano per una missione piuttosto lunga: cantavano la canzone del nemico…
I due ospiti si erano seduti in carlinga, il motorista si era messo a fianco del pilota. Fuchs guardò tutte le strumentazioni di bordo, provò i flaps, mosse la cloche, gli impennaggi erano leggerissimi. Sembrava perfetto.
«On y va?»
«Allons!»
Con un ultimo fantastico ruggito, i motori andarono al massimo e dopo un po’ il pilota lasciò andare i freni.
Il guidone segnalava un vento al traverso di babordo, ma la pista era una sola. Nessun problema.
Partì e tutto gas e dopo solo un paio di centinaia di metri l’aereo si sollevò da terra e Fuchs lo portò contro il vento di babordo. Si sollevò come un fuscello.
«Niente radio, mi raccomando! – Gli ricordò il motorista. – Rotta?»
«Mai usata la radio. Rotta 270, 2-7-0. Ovest. Oceano Indiano.»
«A questa velocità saremo fuori dalla acque territoriali in un’ora.»
«In 35 minuti, – precisò il pilota. – Ma proseguiremo per un’ora. Non mi fido degli indiani nella misurazione delle acque territoriali…»
 
Fuchs era rinato. L’età lo aveva rallentato un po’ in tutto. Mangiava appena, dormiva poco, parlava piano, si muoveva con delicatezza. Ma ora che si trovava al comando del suo vecchio apparecchio era tornato il giovanotto di un volta. L’adrenalina gli stava facendo da supporto biologico. Sapeva che non poteva durare molto con quella pressione, ma era tornato il suo momento.
Una mezzora dopo era sull’oceano Indiano. Lui non aveva fatto l’aerosilurante, ma il bombardiere. Per un pilota militare italiano in guerra, comunque, il mare era la riserva di caccia. E conosceva alcuni trucchi.
«Comandante, non voliamo troppo bassi?» – Gli chiese il motorista.
Fuchs sorrise.
«I motori devono lavorare un po’ di più a soli mille piedi, – ammise. – Ma dall’alto è più difficile vedere l’S.M.79.»
«Come fa a dirlo?»
«Non ha guardato la colorazione superiore della livrea? È dipinta con un bel colore azzurro mare. È per renderlo invisibile ai caccia della RAF.»
«Della RAF? Ah scusi, dimenticavo…»
«Già. L’ultima volta che ne ho pilotato uno di questi, incrociai uno spitfire…»
«E l’ha mancato?»
«Io? Ha ha! No, non gli abbiamo sparato. Era lui che voleva abbattere noi.»
«E non vi ha colpiti?»
«Non ci ha sparato. Ci ha salutato sbattendo le ali come si faceva tra amici, o tra nemici quando non si avevano più munizioni…»
La radio gracchiò qualcosa.
«Posso rispondere, comandante?» – Chiese il motorista.
«Non ci hanno ancora chiamato. E la radio di bordo non funziona.»
«Lo so, ma come mi devo comportare?»
«Usi la radio che le hanno dato, ma solo tra un quarto d’ora. Per ora la ascolti.»
«”Gobbo Maledetto, qui Notredame. Potete rispondere”?»
«Aspetti 10 minuti.» – Gli ordinò Fuchs.
Entrò in cabina il più giovane dei due passeggeri.
«Comandante, abbiamo visto degli aerei da caccia in quota. – Disse. – Ci stanno cercando.»
«Che rotta avevano rispetto a noi?»
«Ore 3…»
«Si muovono alla cieca…»
Proprio in quel momento però un jet li superò a prua. Cabrando velocemente per evitare l’impatto con l’oceano.
«No, ci hanno individuati.»
«Cosa facciamo, comandante? Non abbiamo armi di bordo…»
«Preparatevi a finire in mare. – Rispose il comandante Fuchs. – Se necessario so ammarare anche senza motori.»
«Non è consolante…» – Disse il motorista.
«Invece che lamentarsi, può darmi la posizione del nostro aereo?»
Il secondo guardò la carta.
«Ehi, siamo fuori dalle acque territoriali indiane da una decina di miglia!»
«Non significa nulla, – disse il passeggero. – Quelli se vogliono ci sparano lo stesso…»
«Sistematevi e legatevi bene con le cinture di sicurezza.» – Ordinò Fuchs.
Sperava di aver calcolato giusto. Dopo un minuto diede gas ai motori e alzò il muso dell’aereo, salendo sulla dritta, verso nord.
Una serie di missili aria-aria andò a schiantarsi in mare sollevando spruzzi d’acqua.
«Bastardi! Siamo in acque internazionali…!»
Fuchs non disse niente. Abbassò la prua e si portò molto vicino al livello del mare. Immaginò gli spruzzi che sollevava. L’aveva fatto una volta per farsi vedere dalle ragazze che prendevano il sole in spiaggia in Dalmazia. Più basso di lui aveva volato un suo amico, che aveva toccato la superficie con l’elica del motore centrale. Aveva dovuto fare un ammaraggio di emergenza, ma lo fece così bene che, se i superiori gli diedero un mese di consegna, Buscaglia l’aveva voluto nella sua squadriglia perché aveva dimostrato di saper cadere.
Fuchs no, non perdeva il suo aereo. Mai. Neanche stavolta.
«Mi dà la posizione di November Kilo 6 Papa?» – Chiese al motorista.
Lui lo guardò interrogativo.
«La chieda via radio.»
«Ah, ecco.»
Prese la radiolina che gli avevano dato.
«Qui Sparviero…»
«Gobbo maledetto!» – Lo corresse.
«Qui Gobbo. November Kilo 6 Papa, mi senti?»
Stava per ripetere, ma Fuchs lo fermò.
«Ci hanno sentito, aspetti che il comandante gli dia ordine di rispondere.»
Dopo un po’ la radio gracchiò.
«Qui Notredame. Cosa vuole il Gobbo da NK6P?»
«La sua posizione.»
Passarono 60 secondi, poi giunse la risposta. E il motorista non si fece dare ordini e guardò la carta nautica.
«La stiamo per raggiungere. Al massimo 3 minuti. – Rispose. – Ma non possiamo atterrare su una portaerei con questo… reperto!»
Fuchs non rispose. La presenza della portaerei Cavour non serviva certamente per atterrarvi, ma bastava che fosse lì. Quando la vide all’orizzonte, iniziò ad alzare l’aereo. Il pericolo non c’era più. Gli Indiani avevano bisogno di tutto fuorché di un combattimento con un aereo d’epoca italiano, al cospetto di una portaerei italiana. Sicuramente la Cavour non avrebbe alzato in volo gli Harrier, ma la sua presenza era una garanzia contro le concezioni piuttosto labili sul diritto internazionale degli indiani.
Quando sorvolò la portaerei, Fuchs sbatté le ali in segno di saluto. Allora puntò verso nord. Era come se avesse fatto il punto.
 
G.d.M.
Fine prima parte.
Seconda parte.

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