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«Innovazione in agricoltura, sviluppo rurale e ambiente»

Il dotto intervento del Prof. Francesco Salamini, presidente della Fondazione Mach, al Quirinale: un capolavoro di scienza e conoscenza

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Abbiamo già parlato dell’intervento fatto dal prof. Salamini al Quirinale (vedi servizio), al termine del quale c’era un link che consentiva ai lettori di accedere alla sua relazione.
Ma il contenuto di quella relazione è tale che pensiamo di fare cosa utile ai nostri lettori metterla in piena disponibilità qui di seguito.
Dimostra che gente molto preparata, che sa lavorare e che sa insegnare.
Ecco a voi il capolavoro di Francesco salamini, presidente della Fondazione Mach, presso l’istituto agrario di San Michele all’Adige.
 
 
 Premessa
Mentre nei paesi del sud del pianeta si deve ancora discutere di vero e proprio sviluppo rurale, nelle società sviluppate le dinamiche sociali dei comprensori agricoli sono integrate nei tentativi di raggiungere livelli sostenibili di consumi, anche alimentari, come esito di equilibri raggiunti tra intensificazione agricola e rispetto per l'ambiente.
È la tesi che caratterizza questo intervento: la questione agraria ha una rilevanza centrale nel determinare il futuro sviluppo di società organizzate in sistemi sociali complessi.
Nelle società occidentali questa tesi non è sufficientemente discussa e meditata, specialmente nelle previsioni, che pur offre, relative al nostro futuro.
 
Il problema, generato dalla necessità di una sufficiente produzione di cibo, nasce dalla constatazione che la pratica dell'agricoltura ha effetti evidenti sull'ambiente, soprattutto quantitativi: quanto più terra è arata e tanto meno è disponibile per gli ecosistemi naturali.
Il problema si aggrava se si considera che l'agricoltura deve necessariamente farsi carico dei bisogni alimentari delle popolazioni umane in aumento, ma anche dei cambiamenti nelle diete che ancora tendono a un maggior uso di proteine e calorie animali e della produzioni di bioenergi.
Da qui la necessità di valutare quali effetti irreversibili sono determinati dalle agrotecniche correnti, e quali priorità hanno la conservazione della biodiversità del pianeta, la sostenibilità dei sistemi agrari, le azioni necessarie per controbilanciare i cambiamenti climatici e per contrastare il degrado dei suoli e delle acque.
 
Nella comunità scientifica, quando la discussione affronta temi come biodiversità e ambiente, fa riferimento a:
1. una agricoltura wildlife-friendly
2. a evitare la messa in coltura di nuove terre, privilegiando l'intensificazione colturale.
L'approccio wildlife-friendly punta a ridurre l'impatto dell'agricoltura sull'ambiente minimizzando l'uso e gli effetti negativi di fertilizzanti e pesticidi: in presenza di perdite di produzione ridotte, l'approccio tende a un forte incremento della biodiversità nei terreni agrari.
La seconda proposta prevede un agricoltura sempre più intensiva che massimizza le rese riducendo la necessità di arare nuovi suoli.
In questo contesto vengono spesso commentati i dati Fao11 (dati parziali più recenti confermano queste stime) che illustrano la destinazione delle terre emerse del pianeta: 4,3 miliardi di ettari di deserto, ghiacciai e montagne; 3,8 miliardi di ettari di foreste e steppe; 3,4 di praterie e 1,5 di terreno agrario.
L'attuale miliardo e mezzo di ettari coltivati in larga parte corrisponde ad agricolture intensive basate sul ricorso a prodotti chimici necessari per la fertilizzazione e per la protezione delle piante.
Secondo i dati Fao, per produrre la stessa quantità globale di derrate alimentari, evitando il ricorso alla chimica, sarebbero necessari 4 miliardi di ettari di terreno agrario (5,9 miliardi nel 2025 se coltivati con metodi e protocolli di agricoltura non intensiva).
 
 La sfida
Se le stime riferite al 2050 delle popolazioni mondiali sono corrette - che indicano in circa 9 miliardi il numero complessivo di abitanti del pianeta - sarebbe necessario aumentare le produzioni agricole del 70-100%.
Questo, però, potrà e dovrà essere realizzato con meno acqua d'irrigazione, meno energia e meno terra arata, cioè producendo tutto il cibo necessario ma, contestualmente, riducendo i danni ambientali. Infatti, gli effetti dell'agricoltura intensiva del passato sono evidenti: perdita di suoli, uso sempre maggiore dell'irrigazione, deforestazione, acidificazione degli oceani e riduzione delle riserve di pesci, contaminazione ambientale di natura chimica, perdita di biodiversità, emissioni di gas serra.
Per esempio, negli ultimi 50 anni l'uso dell'azoto di sintesi è aumentato dell'800%: è possibile oggi prevederne un ulteriore raddoppio nel 2050, passando dalle attuali produzioni di 100 milioni di tonnellate a 200 milioni?
La sfida è difficile da sostenere, specialmente considerando che implica una radicale modifica dei sistemi agricoli oggi in atto, al fine di ridurre il consumo di acque ed energia, le emissioni di gas serra, la eutrofizzazione delle acque dolci.
 
 Soprattutto due fattori di disturbo generano preoccupazioni
- Nel mondo dal 2002 in poi si è notata una ripresa della colonizzazione di terre vergini. Queste vengono ora arate nella quantità di 10 milioni di ettari per anno.
Sembrava che nuova terra non fosse più necessaria, ma il nuovo dato è sicuro nell'indicare che nel 2030 saranno in coltivazione 200 milioni di ha di nuove terre, una superficie che corrisponde al 45% di tutte le terre vergini ancora arabili.
Specialmente se si considera che in senso agricolo queste terre sono più marginali di quelle già in uso, la conseguente perdita di biodiversità è molto significativa;
 
- una recente analisi degli andamenti produttivi registrati da serie storiche relative a specifici areali agricoli e a sistemi spesso monoculturali, indica che gli aumenti della produzione per unità di terreno sono decrescenti nel tempo; spesso non si nota aumento (in 14 su 36 casi considerati).
Gli aumenti segnalati per mais, riso, grano e soia sono appena superiori a 1 % per anno, quando il 2.4 % sarebbe necessario.
Si sarebbe cioè raggiunto un «upper yield plateau» a causa di saturazione biofisica della capacità delle piante di produrre dei cambiamenti climatici, del degrado, spesso non rilevabile con indici sperimentali, dei suoli, di politiche - probabilmente corrette - di contenimento del mezzo chimico e dei bassi investimenti in ricerca.
La coscienza che qualcosa deve essere fatto non solo per sviluppare in questo secolo nuovi sistemi agricoli più adatti, ma anche, se possibile, per eliminare i dubbi sulla nostra capacità di farlo, ha spinto a considerare molto criticamente le evoluzioni nel consumo di prodotti agricoli.
Per esempio, Gomiero et a segnalano che l'allevamento animale necessita del 70% di tutte le terre agricole e del 30% delle terre emerse.
Dei 700 milioni di cereali prodotti nel mondo, il 30% è usato per i mangimi animali (il 60% di mais e orzo). Inoltre, per produrre la stessa quantità di proteine e calorie, gli animali usano da due a dieci volte più energia dei vegetali.
Questo genera la coscienza di una nuova priorità: per raggiungere la sostenibilità dell'agricoltura e dei consumi è necessario riconsiderare le diete umane ed eventualmente modificarle.
 
 Soluzioni: il ruolo della scienza
La necessità di innovare è profondamente legata alla capacità Agriculture at a crossroads di fare scienza.
Antonio Saltini19, autore di una imponente storia delle scienze agrarie, introduce un concetto che precisa una particolare peculiarità di questo settore scientifico:.
«Abbiamo constatato il comporsi e il ricomporsi di due ispirazioni diverse, quasi due anime delle scienze agrarie: quella empirica e quella teorica. La prima protesa a ricalcare dall'esperienza pratica le regole per la conduzione delle colture e degli allevamenti, la seconda volta a dedurre, da leggi definite, i principi della scienza della coltivazione.»
 
L'approccio empirico ha dominato la pratica agricola che per il nostro paese iniziò qualche migliaia di anni prima di Cristo. Può vantare grandi successi: in tempi moderni il miglioramento genetico delle piante ha chiuso l'epoca delle grandi carestie del ventesimo secolo. Le piante della rivoluzione verde, vere macchine produttive che hanno moltiplicato le rese di 4-5 volte, sono state ottenute con metodi precisi ma comunque empirici.
Un secondo esempio di questo approccio riguarda la fitoiatria, una scienza nata per curare le piante che sono esposte ad attacchi di malattie da microrganismi o da insetti.
Nella seconda metà del 1800 compaiono in Italia e in tutta Europa nuove malattie della vite provenienti dal continente americano. L'attacco di una di queste, l'oidio, fu particolarmente grave: nel 1859 minacciava la sopravvivenza della coltura.
Un giardiniere francese già nel 1852 aveva osservato che trattando le foglie della vite con zolfo si poteva controllare l'oidio. Fu così introdotta la solforazione; in trentino venne propagandata da Ludwig Von Comini, che, tuttavia, dovette superare l'opposizione contadina.
 
In anni più recenti la lotta contro l'oidio si è rivolta a metodi basati sulla conoscenza dei fenomeni biologici che nelle piante sono attivi per contrastare, dall'interno, gli aggressori esterni, metodi, cioè, che si rifanno a precisi meccanismi molecolari.
L'uso di questo approccio è stato stimolato dalla constatazione che alcuni mutanti recessivi di orzo resistono all'oidio.
Con una lunga e paziente applicazione di tecniche molecolari fu possibile clonare il gene di orzo la cui inattivazione induceva la resistenza della pianta a tutte le razze del parassita.
La disponibilità di questa sequenza, nota come gene melo, ha permesso ai genetisti di S. Michele all'Adige di sondare il genoma della vite - nel frattempo decodificato a cura dello stesso Istituto - alla ricerca di geni omologhi.
Tra i sedici ritrovati solo due sono espressi correttamente nei tessuti fogliari dove l'infezione di oidio si verifica: l'inattivazione di uno dei due ha permesso di ottenere, anche per la vite, genotipi resistenti, utilizzando, in questo, la conoscenza precisa del meccanismo responsabile.
 
Il recente contributo della scienza può essere così riassunto: vaccini in medicina umana e veterinaria; terapie di reidratazione; integrated post management in agricoltura; sviluppo di varietà di piante e di razze animali superiori; zero tillage in agricoltura; meccanica dell'irrigazione; sistemi di purificazione delle acque; telefonia mobile nella vita rurale; controllo biologico degli insetti.
 
 Le agrotecniche
I temi di ricerca agronomica che rendono più sostenibile la produzione di alimenti occuperebbero un lungo elenco. Soprattutto, i putativi nuovi sistemi agrari dovrebbero essere ridiscussi alla luce della conoscenza disponibile per valutare con misure molecolari la biodiversità che ancora insiste sui terreni agrari.
Inoltre, va considerato che la cura dei campi come preoccupazione primaria va integrata con la consapevolezza che la pianta va resa interprete dell'ambiente al quale si deve adattare, riducendo così il bisogno di cure colturali.
 
Il Consiglio Nazionale delle ricerche degli Stati Uniti ha prodotto sull'argomento una corposa rassegna.
Sostiene che, se i sistemi agrari devono essere modificati, la ricerca deve esplorare tutte le loro proprietà alla luce delle dimensioni multiple della sostenibilità.
Propone sia un approccio incrementale che un secondo definito trasformativo. Il primo sviluppa una verifica di quanto oggi è in essere basata sui fondamenti scientifici della sostenibilità agricola.
I contenuti dell'approccio riguardano la diversificazione aziendale, le piante tappezzanti, le rotazioni, l'intercropping, i sistemi a ridotta aratura, la gestione dei reflui, i concimi organici e il letame, le composte e il sovescio, l'efficienza d'uso dell'acqua, il riuso delle acque, il management dei fertilizzanti, l'agricoltura di precisione, la lotta integrata agli insetti e il loro controllo biologico, nonché i mercati di nicchia e i costi dei nuovi sistemi, le politiche agricole e i programmi sociali.
L'apporto e il contributo della ricerca scientifica ad applicare alle realtà agricole moderne le azioni previste dall'approccio incrementale sono, e soprattutto potrebbero essere, indispensabili per raggiungere i futuri obiettivi di sicurezza alimentare.
In particolare, lo sviluppo di sensori per lo stato idrico e climatico delle colture, associati e gestiti da programmi di informatica, assistiti ove necessario da GIS (geographic information system) e GPS (global positioning system) innovazione dei veicolata anche attraverso innovazioni di meccanica agraria (per esempio dedicate al controllo delle derive dei trattamenti chimici), può rendere più precise e sostenibili le azioni sopra elencate.
 
L'approccio trasformativo prevede l'integrazione tra aree disciplinari diverse e richiede l'intervento di politiche appropriate relative anche al mercato.
I suoi esiti dipartono significativamente, in termini di sistemi di coltivazione dei campi e di paesaggio agrario, dai sistemi oggi dominanti.
Considera sinergie, efficienze, capacità di ripresa degli ecosistemi disturbati, le interazioni viste a livello biofisico, sociale, economico e politico, i sistemi organici a basso input, il pascolamento a rotazione, le nuove produzioni come il biofuel da cellulosa, la riduzione dei reflui dei campi, la gestione cooperativa delle acque e dei comprensori, l'esplorazione della complessità degli agro ecosistemi sviluppando rotazioni complesse, l'integrazione tra produzione animale e vegetale, e la flessibilità nel controllo di infestanti, insetti e malattie.
Un approccio multidisciplinare è in grado di evidenziare vantaggi e svantaggi dell'agricoltura alla luce della combinazione tra carico ambientale, salute umana, welfare, economie locali, salubrità del cibo, cura degli animali.
Raccomanda di considerare, oltre all'agricoltura di precisione e ad altre forme di agricolture integrate9, anche principi e pratiche dell'agricoltura biologica, specialmente nei suoi tentativi di capire e usare i processi biologici che riciclano la fertilità, migliorano il suolo, hanno riguardo per la componente viva attiva del sistema e che conservano la biodiversità.
 
 Il terreno agrario
È il principale fattore che determina la produttività dei campi. Ospita batteri, funghi, alghe, protozoi, nematodi ed anellidi. Questi organismi provvedono alla trasformazione del 97% della materia ed energia presenti nel sistema. In un grammo di terreno sono presenti circa 1 miliardo di cellule vive -corrispondenti a 1.600 chilometri di DNA- che nella grande maggioranza (99%) non sono coltivabili in vitro, ma che, pur tuttavia, nei climi temperati costituiscono una biomassa pari a 3 tonnellate per ettaro, uguale in quantità alla biomassa vegetale che insiste sulla stessa superficie.
La ricchezza di specie presenti (1,5 milioni quelle dei funghi) fa del suolo la riserva principale di biodiversità microbica da proteggere, se nel futuro dovrà rappresentare la fonte di nuove molecole terapeutiche.
 
Circa 6.000 specie di funghi si associano alle radici di quasi tutte le piante di interesse agrario o presenti negli ecosistemi naturali a formare le simbiosi micorrizziche che concorrono significativamente all'assorbimento, da parte delle radici, degli elementi minerali della fertilità.
Le reti micorrizziche si estendono dalla radice al suolo circostante coinvolgendo gli apparati radicali di piante appartenenti a specie, generi e famiglie diverse, creando così una rete di grande estensione.
 
Una agrotecnica da adottare su larga scala nel futuro è nota come zero tillage e si basa sull'abbandono dell'aratura come pratica agricola. La sua adozione è stata possibile dopo lo sviluppo degli erbicidi; in condizioni di zero tillage il rilascio dal terreno di anidride carbonica e di ossido di azoto e le perdite di suolo agrario sono decisamente ridotte.
La tecnica, ovviamente, porta a un risparmio attorno al 50% del carburante agricolo La possibilità di mettere in atto analisi meta genomiche del suolo, al momento apre insperate prospettive riguardo alla conoscenza delle dinamiche genetiche e metaboliche della biomassa viva dei suoli agrari, un tipo di ricerca preparatoria alla considerazione dei futuri e possibili problemi della loro sostenibilità produttiva. 
 
 Lotta agli insetti
La difesa della colture dall'attacco degli insetti ha rappresenta un importante fattore a sostegno dell'aumento delle produzioni agrarie.
La lotta agli insetti viene prevalentemente condotta ricorrendo ai pesticidi, prodotti chimici in grado di interferire, bloccandolo, con il metabolismo del target.
Queste molecole sono però dannose anche per l'uomo ed altri organismi, compresi gli insetti non target, e persistono nei biotopi agrari.
Per questo la lotta integrata a questi parassiti cerca di minimizzare i danni e rendere razionale il ricorso ai pesticidi.
L'approccio prevede la diagnosi del problema, il monitoraggio delle epidemie, l'ottimizzazione temporale degli interventi e la definizione delle dosi, la selezione di molecole con un impatto ambientale minimo, il trasferimento di quantità massime di molecole al target minimizzando la contaminazione ambientale e dell'operatore, tendendo ad ottenere prodotti agrari con il minimo di residui.
 
Negli ultimi decenni lo sviluppo di insetticidi meno pericolosi per l'uomo e per l'ambiente si è avvalso di conoscenze avanzate di chimica, fisiologia, biochimica, struttura molecolare e funzione proteica, genetica e genomica1. In particolare, è la precisa conoscenza della molecola e del sito molecolare di azione dell'insetticida che offre possibilità di ulteriori progressi nell'introdurre nel suo uso il concetto di sicurezza26.
È tuttavia evidente che la lotta agli insetti deve necessariamente esplorare altri approcci e avere come obiettivo primario la cosciente priorità di proteggere meglio gli ecosistemi.
Rachel Carlson già nel 1962 scriveva che «Esiste una straordinaria varietà di alternative al controllo degli insetti. Alcune hanno già avuto successo. Altre sono in via di sviluppo o rappresentano idee di scienziati con molta fantasia. Tutte hanno in comune l'essere basate sulla conoscenza degli organismi da controllare e delle loro interazioni biotiche».
Questo approccio è noto come biocontrollo. Prevede l'uso di predatori naturali degli insetti noti come parassitoidi (efficaci contro tre insetti della cassava e del mango e nella lotta contro la mosca bianca, Bemisia tabaci); il ricorso a virus, funghi e batteri, come Bacillus thuringensis, Beauveria, Metharhizum, in grado di provocare la morte dell'insetto dannoso.
Non è, in questo contesto, insignificante quanto è stato ottenuto ricorrendo a tecnologie trasgeniche tese a modificare la pianta agraria per renderla resistente agli insetti29-34 , come nel caso del ricorso ai geni Bt per la difesa del mais contro la piralide.
 
Una vera innovazione è la messa in atto di interventi che interferiscono, peggiorandola, con la biologia riproduttiva degli insetti.
È noto che alcuni insetti utilizzano feromoni sessuali come richiamo per l'accoppiamento.
La disponibilità di feromoni sintetici consente di interferire con il loro sistema di comunicazione impedendo l'accoppiamento.
Una volta che i feromoni sono noti nella loro struttura chimica, possono essere resi disponibili per sintesi. La tecnica viene poi completata con l'individuazione delle formulazioni e concentrazioni necessarie.
Sono anche stati messi a punto sistemi di diffusione dei feromoni nei frutteti.
Le prime esperienze in Trentino, dove i comprensori produttivi sono particolarmente omogenei e quindi adatti a una lotta generalizzata, datano dal 1981; dieci anni dopo il metodo era applicato su centinaia di ettari.
Al momento è in atto una copertura del 100% in viticoltura per il controllo di Lobesia botrana e del 70% in frutticoltura per Cydia pomonella. I meccanismi di risposta dell'insetto ipotizzati sono false trail following (disorientamento, competizione fra sorgenti naturali ed artificiali), camouflage (mascheramento della scia feromonale), e habituation (sovraeccitazione dei sensori dell'insetto).
Più recentemente la Fondazione di S. Michele ha sviluppato una tecnica simile basata sul disorientamento sessuale indotto da vibrazioni. 
 
 La biologia agraria
Acqua
Un ettaro di mais che produce 9 tonnellate di semi usa circa 7 milioni di litri di acqua. Questo corrisponde a 1.000 mm di pioggia o a 10 milioni di litri di acqua irrigua.
Nel caso della distribuzione dell'acqua per aspersione, invece che per scorrimento, le produzioni aumentano del 5-20% e si riduce del 15% il consumo di acqua; l'irrigazione a goccia determina incrementi produttivi del 15-30% e utilizza il 20-60% di acqua in meno.
Sulla base degli attuali consumi di acqua, questi aumenteranno nel 2030 fino a 6.350 miliardi di mc, in una situazione dove l'estrazione di acqua dalle riserve del suolo è comunque già eccessiva.
Inoltre, la competizione per l'acqua tra usi civili e agricoltura dovrebbe tradursi nel 2050 in un 18% in meno per quest'ultima.
 
Un razionale approccio al problema dell'uso dell'acqua in agricoltura dovrebbe considerare i trattamenti di reflui agricoli che permettono il recupero della risorsa, le relazioni tra uso di acqua e uso di energia, la gestione dei rischi da siccità e inondazione, i servizi agli ecosistemi umidi.
Una tra le molte possibili soluzioni è ovvia: ridurre i consumi. Una seconda è di sviluppare varietà di piante che utilizzano meglio l'acqua o che possano superare periodi di siccità.
 
Studi rivolti alla identificazione di geni coinvolti nel controllo della resistenza alla siccità hanno chiarito il ruolo chiave di una classe di fattori trascrizionali noti come CBF (DREB-repeat binding factors) che, in colza, pomodoro, frumento, mais e riso, inducono un certo grado di resistenza allo stress.
Un secondo approccio molecolare si rivolge all'uso di RNA di dimensioni ridotte (small RNAs), molecole di 19-27 nucleotidi che regolano diversi aspetti dello sviluppo delle piante. Includono micro RNA (miRNA), small interfering RNA (siRNA) e trans-acting siRNAs (ta-siRNA).
Queste molecole possono muoversi all'interno della pianta e così trasportare il loro messaggio anche a lunga distanza Dal punto di vista applicativo possono essere prodotti in pianta per regolare importanti funzioni geniche che determinano la resistenza agli stress abiotici.
Nell'ultimo studio citato, un callo della pianta resurrection Craterostigma Plantagineum44 prodotto in vitro con un esperimento di trasformazione genetica su larga scala, acquisisce, rimanendo vivo, la resistenza all'essicazione in assenza dell'ormone acido abscissico.
È stato possibile isolare dai tessuti del callo il gene CDT-1 che codifica per un ta-siRNA in grado di aprire la via metabolica che conduce alla rigenerazione funzionale di tessuti vegetali secchi.
La ricerca è solo all'inizio ma in questo settore si possono intravedere sicuri interventi per far risparmiare acqua alle piante coltivate.
 
Perennialismo
Delle terre emerse, 44 milioni di Km quadrati di suoli agricoli hanno condizioni ambientali che permettono solo un'agricoltura a bassa resa, quando coltivati con piante annuali: sono terre agricole marginali ad elevato rischio di degrado.
Il loro sfruttamento sarebbe comunque possibile, nel rispetto dei canoni di sostenibilità agricola, coltivando piante perenni.
Queste colture riducono il consumo di energia e di prodotti agrochimici, gli effetti delle arature sulla perdita di suolo, così come il consumo di acqua e le perdite di azoto (da 30 a 50 volte in meno delle piante annuali45).
In assenza di concimazione, la graminacea perenne Miscanthus, per esempio, intercetta il 61% in più di radiazione solare e produce il 59% in più di biomassa, confrontata al mais allevato nelle stesse condizioni.
Hanno qualche svantaggio: sacrificano parte della produzione per sostenere il loro perennialismo.
 
Lo sfruttamento pratico del perennialismo per la produzione di derrate alimentari viene proposto in due versioni:
- trasformazione di specie annuali in perenni. E' il caso di grano, sorgo, girasole, Desmanthus e riso.
Questo approccio utilizza metodi convenzionali, essenzialmente incrocio interspecifico assistito da marcatori molecolari, se disponibili, ma anche metodi molecolari, per ora tesi alla individuazione, in specie modello, di geni responsabili del comportamento perenne.
Vengono considerati il responso foto periodico, la via metabolica delle gibberelline, la risposta della pianta alla vernalizzazione.
Questi metabolismi sono integrati e convergenti nel regolare a valle l'espressione di geni attivati o repressi.
I geni Cry2, Co, Flc, Fri, Ft, Soc1, Fpf1, Ap1, Lfy hanno un ruolo centrale in questa integrazione. Due geni citati partecipano al determinismo dell'epoca di fioritura, Soc1 (Suppressor of overexpression of Constans1) e Flc (Flovering locus C) e i loro ortologhi di specie perenni come Arabis alpina, sono responsabili della trasformazione di una specie erbacea annuale in una perenne;
 
- addomesticamento di nuove specie perenni. Si accenna a tre nuove specie che possono giocare un ruolo, se addomesticate e migliorate, nello sviluppo di sistemi agricoli sostenibili.
Thinopyrum intermedium, sinonimo Agropyrum intermedium; è una graminacea euroasiatica perenne. I suoi semi sono simili a quelli del frumento, anche per caratteristiche nutritive. I genetisti lo hanno scelto dopo aver considerato almeno un centinaio di specie perenni, come pianta adatta a produzioni di cereali. Può essere utilizzato anche come specie foraggera.
Controlla l'erosione del terreno e ne migliora la fertilità. E' stato anche incrociato con il frumento per trasferire l'attitudine al perennialismo.
Presso il Land Institute di Salina, Texas, la specie viene selezionata per l'attitudine a produrre seme e per altri caratteri agronomici57. Desmanthus illinoensis; è una leguminosa perenne, nativa dell'America del nord, adatta a sistemi agricoli che prevedono la coltivazione di miscugli di piante.
I semi che produce contengono attorno al 38% di proteine e, cotti, sono adatti all'alimentazione umana. Le sue radici ospitano batteri azoto fissatori che contribuiscono a migliorare la fertilità dei suoli. L'addomesticamento della specie è in atto59. Helianthus maximiliani; nativo delle Americhe, è una composita rizomatosa perennante. Il rizoma è edule; ha foglie strette, ricoperte da tricomi e foglie verdi anche nel tardo autunno, fusto ramificato.
Colonizza luoghi soleggiati con precipitazioni annuali tra 250 e 1.250 mm. Quando non è in vegetazione tollera gli incendi.
Presso il Land Institute è in atto il suo addomesticamento, teso a creare una specie perenne da olio. 
 
Biomassa e fotosintesi
La considerazione delle piante da energia al momento si concentra sulla scelta dell'organismo su cui puntare. Il ricorso ad adattamenti biotecnologici sarà necessario per trasformare una biomassa cellulosica in bioetanolo.
I modelli allo studio sono pioppo, miscanto, Panicum virgatum, Arundo donax. I caratteri di queste piante da migliorare o da introdurre sono perennialismo, maschio sterilità, qualità della ligno-cellulosa, efficienza fotosintetica architettura della pianta, uso dell'azoto61 e foto respirazione.
È al momento in corso il tentativo di trasferire a una alga unicellulare i geni delle piante responsabili del processo fotosintetico.
L'obiettivo è di studiare ed eventualmente modificare il processo in presenza di un'attenuazione della repressione da fotosintati, traendo anche vantaggio dalla facilità di isolare mutazioni utili in un organismo unicellulare.
Sono note anche altre possibilità basate sulla ingegnerizzazione di processi che possono aumentare l'accumulo di biomassa.

Le piante convertono in energia chimica dal 2 al 4% dell'energia radiante che intercettano. L'arricchimento delle concentrazioni della CO2 nell'organello fotosintetico delle piante con fotosintesi C3 aumenta la velocità fotosintetica del 50% (30% come media di un intero giorno).
Questo, tuttavia, si traduce solo nel 10% in più di sintesi di sostanza secca, ma considerando la fase di sviluppo esponenziale della pianta il differenziale positivo può arrivare ancora al 50%.
Se gli organi che accumulano i fotosintati sono insufficienti, il vantaggio fotosintetico sostenuto dalla nutrizione carbonica può essere limitato.
Il processo fotosintetico e l'accumulo dei suoi prodotti sono infatti coordinati: se il sink si riduce la fotosintesi ne risente negativamente. Anche con la sottoespressione dei geni codificanti per i trasportatori del saccarosio, responsabili dell'esportazione dello zucchero dalla foglia, si nota riduzione della velocità foto sintetica. Al contrario, l'espressione costitutiva dei trasportatori scarica la foglia dai carboidrati mantenendo al massimo il processo fotosintetico ed evitando la senescenza fogliare.
 
I dati degli esperimenti di arricchimento sono stati interpretati in funzione di un assunto: quanto è ottenibile variando la concentrazione di CO2 si può riprodurre con il miglioramento genetico e/o con manipolazioni geniche.
Per questo i tentativi di migliorare la produttività delle piante coltivate vengono costantemente messi in atto.
 
Nelle piante a fotosintesi C4 l'arricchimento del cloroplasto con CO2 è costitutivo e risulta in una decisa minor perdita da fotorespirazione di CO2 già fissata.
Come risultato le piante C4 hanno alte rese fotosintetiche e di accumulo di sostanza secca pur avendo concentrazioni cellulari di Rubisco inferiori; sono inoltre efficienti a basse concentrazioni nell'aria di CO2 senza mantenere gli stomi troppo aperti, risparmiando così acqua. In termini evolutivi, l'acquisizione della sindrome C4 è stata polifiletica, indicando che la trasformazione di una pianta C3 in una C4 potrebbe geneticamente considerarsi semplice.
Con una restrizione: le reazioni di carbossilazione implicate nella fotosintesi C4 devono rimanere separate: quella della fosfoenolpiruvato carbossilasi attiva nelle cellule del mesofillo fogliare e quella della Rubisco nelle cellule della guaina dei fasci.
Per questo l'utilizzazione dei meccanismi molecolari C4 per migliorare la fotosintesi C3 è difficile in quanto presuppone la capacità di esprimere enzimi in tessuti e cellule diverse anatomicamente, da rendere adatti alla fotosintesi C4: un approccio per ora molto difficoltoso.
 
E' questa la ragione che ha indotto a considerare come strategia più adatta la correzione dei limiti della fotosintesi C3.
Il miglioramento di questo ciclo metabolico ha per ora riguardato, con successi limitati, solo piante modello: uso di forme termostabili dell'enzima che attiva la Rubisco; sovraespressione in tabacco (ma non riscontrato in riso) del gene che codifica per l'enzima sedoeptulosio 1,7-bifosfatasi che partecipa alla rigenerazione di ribulosio bifosfato; ingegnerizzazione della proteina Rubisco (campionata in natura per resistenza alle alte temperature e con produzione di ibridi tra Rubisco vegetale e quella di Clamidomonas); riduzione per via transgenica della fotorespirazione in Arabidopsis a seguito di sovraespressione di tre geni batterici che trasformano il glicolato in gliossalato.
L'approccio che più di altri al momento attira l'attenzione dei tecnologi prevede l'espressione nei cloroplasti dei trasportatori di CO2 e di acido carbonico dei cianobatteri.
Il relativo modello teorico precisa che aggiungendo al genoma vegetale C3 un singolo trasportatore si aumenta del 9% l'efficienza del processo fotosintetico; utilizzando tutti i più importanti componenti del meccanismo che concentra la CO2 nei cianobatteri si ottiene un aumento dell'efficienza del 58%.
Nuovi approcci a questo ormai datato problema del miglioramento della fotosintesi potrebbero riguardare: modelli per la ridistribuzione cellulare e organellare degli enzimi della fissazione del carbonio; vie metaboliche sintetiche con lo stesso potere biosintetico ma meno sensibili all'ambiente molecolare; meccanismi molecolari alla base della variazione naturale della velocità fotosintetica.
 
 Piante e parassiti
Genetica
Una riduzione nel carico ambientale è associabile alla coltivazione di piante che resistono a insetti e patogeni, con conseguente riduzione dell'impiego di agrochimici.
Contributi recenti alla possibilità di ottenere piante resistenti, se non addirittura immuni, all'attacco dei parassiti animali e microbici, vengono dall'analisi genomica della famiglia genica NBS-LRR che in tutti i vegetali codifica per i recettori del segnale proveniente dal parassita; dalla considerazione del ruolo che nei fenomeni di resistenza hanno gli RNA di piccole dimensioni (smallRNA30); da nuove conoscenze sulla partecipazione dell'acido salicilico al segnale che potenzia la resistenza endogena delle piante; dalla scoperta e dall'analisi funzionale delle molecole secrete dai patogeni e che mediano i loro rapporti con la pianta.
 
Un esempio particolarmente interessante riguarda l'induzione di resistenza ai potyvirus. La proteina virale VPg si lega, nel test di lievito a doppio ibrido, al fattore tradizionale eucariotico f4 (eIF4E) delle piante, una proteina associata al ribosoma.
Nel peperone, il fattore genetico pvr-2 (che induce la resistenza al virus Y della patata e al virus TEV del tabacco), co-localizza con un locus genetico che ospita un gene ortologo a eIF(iso)4E di Arabidopsis.
La verifica del ruolo nell'indurre le resistenze di questi geni è stata ottenuta in peperone, pomodoro, lattuga e pisello, a conferma che la genetica molecolare dei fattori ribosomali di allungamento dei polipeptidi offre realistiche possibilità applicative.
 
Una tecnologia genetica nota con l'acronimo TILLING permette di individuare, in una popolazione M2 di una specie agraria trattata con mutageni chimici o fisici, famiglie che possiedono un allele mutato di un gene specifico.
La tecnologia richiede la conoscenza preliminare della sequenza del gene di interesse ed è particolarmente utile negli studi di associazione di geni di interesse alla loro funzione in pianta, geni per resistenza alle malattie inclusi.
Anche una ulteriore e recente tecnica permette di generare mutazioni a un gene di interesse, senza dover ricorrere all'analisi di famiglie mutagenizzate.
Questo metodo può correggere un gene, del quale si conosce la sequenza. Sono stati registrati diversi brevetti che descrivono le applicazioni del metodo che ha una elevata valenza applicativa nell'indurre mutazioni in regioni genomiche per le quali si conosce il valore agronomico.
Un metodo analogo è stato sviluppato a partire da costrutti che codificano per una nucleasi zinc-finger.
 
 Miglioramento genetico e genomica
Nonostante i successi dei miglioratori vegetali siano stati associati a un uso razionale della scienza genetica, fino agli anni recenti le basi sperimentali del miglioramento genetico delle produzioni agrarie sono state essenzialmente empiriche.
Oggi, varietà resistenti possono essere sviluppate con metodi di miglioramento genetico convenzionale, con selezione assistita da marcatori molecolari, che permettono di piramidare nello stesso genotipo fattori genetici multipli di resistenza (questo rallenta, quando non inibisce, l'evoluzione di nuove resistenze nel parassita), con metodi di selezione genomica, e ricorrendo alla transgenosi che si è dimostrata particolarmente efficace per il contenimento delle popolazioni di insetti dannosi.
 
Un nuovo e diffuso approccio al miglioramento genetico si basa sulla possibilità di utilizzare, come marcatori molecolari, polimorfismi contigui nella molecola del DNA a loci genetici responsabili della determinazione di caratteri a variabilità discontinua e continua.
L'adozione di questo approccio presuppone la disponibilità di dense mappe genetico-molecolari dove i loci marcatori sono rappresentati dai polimorfismi del DNA.
Sono oggi disponibili molte tecniche in grado di rivelare i polimorfismi del DNA da utilizzare come posizioni di riferimento nello studio della variabilità genetica.
Una estensione dell'uso dei marcatori riguarda la comprensione della variabilità genetica di tipo continuo. L'analisi di questa variabilità, quando è assistita da marcatori molecolari, permette di assegnare a specifiche regioni cromosomiche gli effetti genici (QTL) che influenzano la variabilità continua.
La disponibilità di una larga batteria di marcatori predittivi di importanti caratteri rende possibile la loro utilizzazione in piani di selezione assistita (MAS), che possono anche includere la piramidazione di azioni multigeniche favorevoli all'espressione dello stesso carattere. Procedure MAS basate su un numero di marcatori SNP sufficiente per coprire l'intero genoma di una specie, e che fanno uso di chip molecolari o di altri metodi altamente robotizzati, contribuiscono a trasformare la selezione genetica da un processo empirico in una attività con solide basi predittive. Gli esperimenti di mappatura dei QTL possono essere estesi fino al clonaggio del locus genetico responsabile del QTL.
 
La genomica si preoccupa di caratterizzare tutta l'informazione contenuta nel DNA di un organismo. I progetti di genomica fanno uso di svariate procedure che possono riguardare, per esempio, il sequenziamento di tutti i geni espressi o dell'intero genoma; l'analisi trascrizionale di tutti i geni attivi in diverse condizioni ambientali; il sequenziamento del DNA contiguo a elementi inseriti nel genoma in posizioni che generano mutazioni.
Gli schemi d'uso delle procedure genomiche sono svariati, essendo possibile combinare diverse metodiche in successione per raggiungere lo scopo specifico dell'esperimento.

Un documento del Science Advisory Council, European Academies, indica, per i prossimi 5-15 anni, le seguenti opportunità offerte dalla genomica:
 
- miglioramento genetico basato su acquisizioni molecolari;
- conoscenza molecolare approfondita di perennialismo, apomissia, riproduzione vegetativa e sessuale, implicazioni molecolari dell'addomesticamento delle piante, architettura della pianta, sviluppo del seme e del fiore, acclimatamento, adattamento all'ambiente;
- riduzione del livello di sostanze tossiche e antinutrizionali, come alcaloidi nei lupini, lectine nei fagioli, acido fitico nei legumi;
- miglioramento del contenuto in micronutrienti, come tocoferoli, acido folico, e degli aminoacidi essenziali;
- aumento dell'efficienza di piante "orfane", come specie arboree da foresta o da frutto, affrontando i processi metabolici inerenti alla produzione del legno, riducendo lo stato giovanile della pianta, sviluppando varietà nuove.
Lo stesso rapporto raccomanda l'uso della genomica per assistere l'ottenimento di varietà adatte a sistemi agricoli sostenibili.
 
Non è intenzione discutere in questa sede il problema dell'uso degli OGM in agricoltura.
Si fa solo osservare che nella rassegna del National Science Council americano si segnala che almeno specie di piante di interesse agrario sono al momento state trasformate con l'obiettivo di migliorarle.
Mentre negli Stati Uniti le piante geneticamente modificate sono in uso da vent'anni, il dibattito sull'adottarle o meno è aperto; nel continente non si nota, invece, ostilità all'uso medicale della tecnologia GM14.
 
 Il ruolo della società e dei singoli individui
Le politiche dei governi possono contribuire a modificare ed eventualmente ad adottare nuovi sistemi agricoli.
Le azioni auspicabili riguardano il management delle risorse idriche; i diritti di proprietà della terra coltivata e delle risorse naturali; il ritorno economico e assistenza sociale agli agricoltori; l'approvvigionamento energetico per l'agricoltura; lo sviluppo di infrastrutture per le aree rurali.
A livello internazionale sarebbe necessario mantenere costanti le scorte di cereali; accordarsi sulle quote di fertilizzanti per regioni e colture specifiche; intensificare il trasferimento tecnologico tra pubblico e privato; regolare gli aiuti in natura nel caso di carestie; facilitare l'accesso al mercato i paesi in via di sviluppo; destinare risorse ai paesi meno sviluppati (Asia del sud e Africa sub-sahariana attraggono solo il 10% del capitale privato investito in ricerca).
Soprattutto, i governi nazionali e sovranazionali devono rivedere le priorità utilizzate per l'allocazione delle risorse ai programmi di ricerca strategica.
Le tre crisi che nel futuro prossimo possono affliggere e condizionare il pianeta riguardano l'approvvigionamento di cibo, la scarsità delle fonti fossili di energia, il deterioramento dell'ambiente.
Alle ricerche in questi ambiti dovrebbe essere assegnata una nuova e forte priorità; non è secondario riflettere che l'agricoltura contribuisce a proporre soluzioni e contemporaneamente ad aggravare le tre emergenze segnalate.
 
Il richiamo alle azioni di governo non esclude la necessità che ogni singolo cittadino si senta responsabile del futuro del pianeta.
Questo «commitment» (fare e credere in qualcosa non per coercizione ma per convinzione), infatti, è in parte rilevante non delegabile a governi o ad altre istituzioni, ma deve essere onorato da ciascuno.
L'impegno può concretarsi in una molteplicità di comportamenti da tutti facilmente precisabili.
Un solo esempio: anche cinque metri quadrati di un giardino privato concessi alla vegetazione spontanea possono risultare preziosi per la conservazione della diversità microbica dei suoli.
 
 Conclusioni
L'agricoltura, sia essa praticata con sistemi molto intensivi, sia quella delle terre marginali o dei sistemi estensivi o a basso uso di risorse esterne, è intrinsecamente fragile in termini di sostenibilità.
Se questo è il punto di partenza per la ricerca di soluzioni adottabili entro questo secolo, esse non possono che essere basate su sistemi a ridotto consumo energetico ed a elevati contenuti di conoscenza.
 
I punti caldi da proporre a verifiche locali prima di considerarli come adottabili sono: interruzione dell'aratura di nuove terre nei tropici; coltivazione di una gamma estesa di specie vegetali, particolarmente di piante perenni; modelli di conservazione della biodiversità negli areali coltivati e negli ecosistemi naturali limitrofi; ruolo delle varietà resistenti agli stress biotici e abiotici; specie e varietà che risparmiano acqua e che si allineano alle dinamiche delle precipitazioni naturali; sistemi di irrigazione e concimazione basati su sicure evidenze scientifiche; mezzi esterni a supporto dell'agricoltura diversi secondo il contesto locale; soluzione al problema dei reflui e dell'uso delle coltivazioni per biocarburanti; considerazione del gap produttivo tra produzione potenziale massima e produzione registrata localmente; considerazione e integrazione tra le dimensioni sociale, ambientale, economica e innovativa dell'agricoltura; rafforzamento della base di capitale umano dedicato a coltivare i campi; in generale aumentare significativamente l'efficienza d'uso delle risorse agricole, anche con l'adozione di concetti di agricoltura di precisione.
 
Importanti opzioni da considerare per il futuro di una agricoltura rispettosa dell'ambiente vengono offerte da modelli noti come «Integrated pest managment» e «Agricoltura biologica».
Il primo combina il controllo biologico con l'aumento delle resistenze delle piante e con pratiche agricole affidabili, minimizzando il ricorso ai pesticidi.
Il secondo prevede un ridotto uso di pesticidi, rinunciando a quelli di sintesi e ai fertilizzanti chimici. Principi di agricoltura biologica sono adatti particolarmente ad agricolture poco intensive, anche se denunciano più basse produzioni (attorno al 10%) e in particolare per colture come caffè e banana, e, nel caso del nostro paese, per monocolture specialmente di cereali condotte in aziende dove la produzione di derrate è disaccoppiata dall'allevamento animale.
La preoccupazione del reintegro della fertilità dei suoli è alta presso i cultori dell'agricoltura biologica, e non a torto: raddoppiare i 100 milioni di t prodotte per anno di azoto di sintesi, così come constatare che le riserve mondiali di fosforo bastano per soli 400 anni, induce a considerare seriamente possibilità alternative di riciclo della fertilità dei terreni.
In questo senso l'agricoltura di precisione propone un approccio tendente ad assicurare le risorse nutritive e la protezione della pianta senza incorrere in deficienze o eccessi.
In sintesi: l'azione centrale da mettere in atto deve essere rivolta a soluzioni scientifiche radicali in grado di provvedere le singole componenti necessarie per lo sviluppo di nuovi sistemi agricoli: intensivi e nonostante questo sostenibili.
 
Il rapporto del National Research Council14 degli Usa segnala, come importanti esempi di quanto il futuro di nuovo può attendersi, tecnologie e sistemi integrati che accentuano la produttività e risparmiano acqua; sistemi integrati pianta-animale allevato; politiche e condizioni legali che incoraggiano la gestione cooperativa delle acque superficiali e di falda, inclusa l'attenzione a comprensori che includono una pluralità di aziende; opzioni multiple per il paesaggio agrario che aumentano la flessibilità e l'adattabilità dell'agricoltura, inclusa l'osservanza di canoni estetici.
 
Una problematica centrale per la sostenibilità riguarda il miglioramento dell'efficienza della produzione e uso delle derrate alimentari.
Il controllo delle proteine nelle diete è una opzione: se le 16 piante più coltivate al mondo fossero usate solo per l'alimentazione umana, la produzione mondiale di cibo aumenterebbe del 28%7; prevedere quindi il consumo di più calorie e proteine vegetali può considerarsi una priorità, così come il consumo di pesce da acquacoltura che ha una resa, per kg di mangime utilizzato, molto superiore a quelle degli animali8.
Per questo la partecipazione dei consumatori e dei cittadini al dibattito agricoltura-ambiente è necessaria per contribuire a migliorare l'accettabilità dei risultati della ricerca agronomica avanzata e delle nuove attitudini alimentari da introdurre.
 
Di certo la sostenibilità agricola dovrà essere raggiunta in questo secolo assieme alla stabilizzazione delle popolazioni mondiali e dei livelli dei consumi.
Sono stati proposti modelli anche pessimistici su come questa sostenibilità verrà realizzata.
Una parte delle incertezze potrà essere eliminata da una razionale capacità di condurre ricerca agraria.
La strada verso la sostenibilità non sarà comunque caratterizzata dal ritorno a forme di agricoltura tipiche dei tempi pre-industriali.

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