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Attenzione: in Libia prevista una «frammentazione duratura»

La Farnesina ha evacuato gli Italiani: la situazione non è estrema, ma le divisioni interne rendono instabile il Paese

Ieri abbiamo pubblicato l’annuncio del Ministero degli Esteri che ha provveduto a far rientrare gli Italiani da Tripoli.
Oggi pubblichiamo una attenta analisi della situazione on Libia con una previsione a breve e a medio termine, in modo che i nostri connazionali sappiano orientarsi e programmare con attenzione le proprie attività e i propri spostamenti.

A differenza di quanto accade in Egitto e in Tunisia, dove nel quadro delle rispettive rivoluzioni sono emerse forze con visione e capacità nazionali (i Fratelli Mussulmani e i militari in Egitto, le dirigenze di Ennahda e Nida Tunes in Tunisia), la rivoluzione del 17 febbraio 2011 in Libia ha lasciato dietro di sé una situazione di estrema frammentazione, nella quale prevalgono localismi e particolarismi di vario genere ed è invece assente una qualsivoglia tendenza a carattere nazionale.
Inoltre, mentre la fault line principale nei primi due paesi divide forze di ispirazione religiosa e secolare, in Libia questa divisione è del tutto secondaria.
Quella fondamentale separa invece un insieme di forze eterogenee che, per ragioni diverse, cercano un cambiamento radicale da un insieme altrettanto eterogeneo di forze moderate e conservatrici.
I protagonisti della frammentata scena politica libica – le città, le tribù, le milizie, le grandi famiglie, gli islamisti, e le regioni – sono poi divisi al loro interno fra rivoluzionari radicali e moderati, senza che né i primi né i secondi abbiano una proiezione nazionale unificante.
Al fondo, si adombra un esteso conflitto sociale fra ceti emergenti e ceti tradizionali, privo però di coscienza e ancor più di organizzazione politica.
Senza andare nei numerosi e intricati dettagli di questa evoluzione, è facile rendersi conto che nessuna forza interna è in grado di risolvere lo stallo esistente con la forza, né esistono motivi strategici perché intervenga a farlo una forza esterna.
Non è però prevedibile una guerra civile.
I particolarismi libici continueranno perciò, nell’impotenza dei poteri centrali, a logorarsi fra loro per un tempo assai lungo, ponendo ai partner della Libia un problema di stabilità che essi saranno costretti a gestire senza poterlo risolvere.
In tal senso sembra potersi inquadrare anche l’irruzione sul teatro libico alla metà di maggio del generale in pensione Khalifa Haftar, a capo di ingenti forze di terra e d’aviazione, e fortemente orientato contro le fazioni islamiste.
 
Questa instabilità duratura comporta problemi per molti paesi, in particolare l’Italia:
1 - La Libia è per l’Italia un partner economico molto importante per via (a) dei massicci investimenti della compagnia petrolifera nazionale ENI e degli approvvigionamenti di petrolio di qualità (a basso tenore di zolfo) e gas naturale; (b) degli investimenti finanziari potenziali del governo libico, accanto a quelli già esistenti; (c) della commissione di grandi lavori; (d) delle esportazioni commerciali; (e) in genere dei rapporti di affari delle imprese italiane di ogni dimensione.
Il Trattato di Amicizia, partenariato e cooperazione del 2008 aveva consolidato il carattere di fatto privilegiato delle relazioni italo-libiche assicurando un ampliamento della loro prospettiva.
Caduto il regime di Gheddafi, il Governo italiano si è posto come priorità il recupero di tale livello di privilegio, con un non trascurabile successo grazie ai contatti del passato e agli ottimi rapporti stabiliti col governo Zeidan.
Tuttavia, il livello di perdurante instabilità che abbiamo appena sottolineato potrebbe rendere questo obbiettivo troppo ambizioso e quindi rischioso. Inoltre, la politica italiana appare troppo legata al campo conservatore – come quella dell’insieme dell’Occidente - e corre quindi il rischio di trovare prima o poi seri limiti e incorrere in danni o costi considerevoli.
Occorre infine valutare che l’instabilità e la debolezza del governo libico a farvi fronte sono causa di gravi perdite erariali e di spinte recessive nell’economia (che molto si basa sull’erario). Se ciò dovesse continuare, potrebbe sostanzialmente diminuire l’opportunità che la Libia tradizionalmente costituisce per l’economia italiana.
 
2- Gli approvvigionamenti energetici sono stati interrotti varie volte nel corso del 2013, sia nella parte orientale del paese (petrolio) sia in quella occidentale (gas) a causa del blocco dei terminali da parte di fazioni diverse. Questa situazione, difficilmente destinata a chiudersi presto, pone un problema di sicurezza energetica.
Accanto ad essa si pone poi un problema di sicurezza di cittadini e beni italiani sia presso gli impianti energetici sia presso le ditte e gli operatori economici in genere.
Mentre il costo di tale insicurezza è destinato a ricadere in gran parte sul settore privato nel caso di grandi imprese, il carattere anche minuto delle relazioni italiane d’affari in Libia è destinato ad impegnare le istituzioni e le risorse pubbliche.
Dal punto di vista energetico, si potrebbe arrivare a un blocco più o meno parziale delle operazioni a causa di un aumento dell’instabilità attuale e/o delle divisioni territoriali nel paese. Ciò, pur non arrecando danni drammatici e irreparabili alla sicurezza energetica del paese (e dell’Italia), costituirebbe un costo comunque elevato, specialmente se dovesse verificarsi all’improvviso. 
 
La libia non è un paese di emigranti ma di passaggo.
La Libia non è un paese di emigranti ma è uno dei principali passaggi dell’emigrazione (motivata sia politicamente sia economicamente) dal Sahel e dall’Africa a sud del Sahara. Questi flussi, insieme ad altri minori, sono quelli che alimentano l’immigrazione irregolare e di quanti cercano rifugio politico arrivando nel sud d’Italia.
Il Trattato del 2008 aveva posto le premesse per una solida esternalizzazione delle politiche italiane di contenimento e limitazione delle immigrazioni da sud. La rivoluzione e gli eventi successivi, mettendo capo a un governo centrale debole come quello che siede attualmente a Tripoli, ha messo in questione non tanto la buona volontà del governo libico a collaborare quanto la sua capacità.
Il Governo italiano, parallelamente ad altri governi europei e agli Usa, ha iniziato programmi di rafforzamento delle forze di sicurezza della Libia per il controllo delle frontiere meridionali e marittime.
Tuttavia, la perdurante instabilità del paese, riflessa nella debolezza del governo, è destinata a diminuire l’efficacia, se non frustrare, gli sforzi di un’efficace esternalizzazione da parte del governo italiano con costi la cui entità è difficile prevedere.

Conclusioni. 
Dato questo scenario, le forze politiche e le istituzioni italiane potrebbero riflettere sulle seguenti possibili azioni:
1. Affiancare le azioni di rafforzamento del governo libico, specialmente nel settore della sicurezza (partecipazione alla costituzione di una «General Purpose Force» militare e di sicurezza; cessione di materiale per il controllo delle frontiere, etc.) con azioni bilaterali e di appoggio a quelle internazionali – a cominciare dall’UNSMIL, United Nations Support Mission in Libya – per il dialogo politico fra le forze politiche in campo;
2. Discriminare l’applicazione dei meccanismi del Trattato del 2008
riconsiderandone la convenienza, come per esempio l’opportunità di finanziare la costruzione dell’autostrada litoranea (un primo cantiere in Cirenaica è attualmente aperto) che pesa sulla spesa dello Stato italiano in un quadro politico profondamente cambiato che probabilmente non motiva più tale finanziamento;
3. Incentivare un accurato contingency planning per i rifornimenti energetici a breve e soprattutto un accresciuto sforzo nel medio termine per accrescere le potenzialità di diversificazione negli approvvigionamenti;
4. Rafforzare la sicurezza delle imprese e dei cittadini e incentivare le necessarie misure da parte delle grandi imprese in loco. 

R.A. (Ce.S.I.) 

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