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Un viaggio nel jazz con Mark Baldwin Harris

Oggi al rifugio Potzmauer in val di Cembra per i Suoni delle Dolomiti

Per I suoni delle Dolomiti il pianista che ha collaborato con i grandi nomi della musica italiana, si è cimentato in un vero e proprio viaggio nella storia del jazz e dei suoi musicisti più amati, da Hancock a Monk passando per Armstrong e Jarrett.
Il tutto arricchito da improvvisazioni e sperimentazioni
Musicisti come Mark Baldwin Harris sono un dono per chi ama la musica perché nascono e collaborano – a volte nell'ombra – con intere generazioni di grandi musicisti, diventando così non solo nomi molto rispettati dell'ambiente, ma anche veri e propri scrigni che quando si aprono regalano tesori a chi li ascolta.
Così è stato quest'oggi al rifugio Potzmauer in val di Cembra dove il musicista del Connecticut si è esibito in quasi due ore di concerto come solista al pianoforte. Solista sì, ma certo non solo perché evocati dalla sua musica e dalle sue improvvisazioni si sono materializzati alcuni dei nomi più importanti del jazz e non solo, dagli anni Venti a oggi.
 
Tant'è che se non fosse stato per le cicale, il verde dell'erba, il sole e tutto quello che è la natura ai Suoni delle Dolomiti – perché il concerto era parte del calendario del festival trentino di musica in quota, – uno avrebbe potuto chiudere gli occhi per immaginarsi in qualche jazz club notturno di New York, Parigi o...
Certo gli autori sono stati evocati, hanno risposto alla chiamata scendendo tra gli abeti, ma Harris ha condito il tutto con un bel po' di improvvisazione.
«Improvvisare –  ha spiegato – è come andare a pesca. Qualcosa porti sempre a casa se sei bravo, ma la sensazione più bella è quando arriva la sorpresa, il pesce grande, l'emozione.
«Certo uno può starsene a casa e andare sul sicuro con le cose surgelate... però non si sorprenderà mai.»
 
E così, pescando nella memoria, è tornato fino ai primi lavori dell'inizio anni Settanta, per ritrovare un brano dal vago sentore di bossanova che si è consumato in un verso di greggi e mucche  al quale è stato lo stesso Harris a prestare l a propria voce.
In ricordo di De André è poi arrivata l'intro di «Se ti tagliassero a pezzetti» dalla quale il pianista si è poi lanciato nel jazz di Herbie Hancock e quindi nel brano malinconico e struggente di «In a silent way».
A segnare l'evoluzione del live act le divertenti spiegazioni – quasi note di un diario – condite da una risata esplosiva e coinvolgente.
Quasi a sintetizzare il mix di bravura, profondità e ironia che ha segnato l'esibizione e alle quali il pubblico non è certo rimasto estraneo, Harris ha costruito un medley con vari estratti da Keith Jarret interotto più volte dal pubblico con colpi di tosse e suonerie di cellulari.
 
Il tutto voluto e organizzato dal musicista che ha dato via via il la alle interruzioni per ironizzare sulla necessità del silenzio assoluto da parte del pubblico durante le esibizioni musicali.
Il viaggio di Harris è proseguito tra i musicisti che hanno fatto la storia del jazz e quindi dopo Hancock è stato il turno di Thelonious Monk con «Ugly Beautry», o di «Memories of you» che è sfumata nelle note di Charles Mingus.
Dopo la suite composta in età giovanile e intitolata «Sway» è stato il turno di Louis Armstrong, dell'introspettiva «Cheers for Edwuard» e della chiusura costruita su un ritmo di valzer lento sospeso tra dolcezza e malinconia.

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