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«Premio Degasperi costruttori d'Europa» 2014 a Prodi

Il testo degli interventi di Bruno Dorigatti e Davide Gianmoena

GIORNATA DELL’AUTONOMIA 2014
 
 Intervento presidente Consiglio provinciale Bruno Dorigatti
 
Autorità, gentili Ospiti,
E’ con un sentimento di grata riconoscenza per la Vostra gradita partecipazione alle odierne cerimonie, legate all’appuntamento della “Giornata dell’Autonomia” ed al conferimento del prestigioso “Premio Alcide De Gasperi: costruttori d’Europa”, che porgo a tutti il più cordiale benvenuto, a nome dell’intera Assemblea legislativa della nostra speciale autonomia e mio personale.
L’annuale rinnovarsi della memoria di quello storico accordo fra Alcide De Gasperi e Karl Gruber, con il quale si venne a sancire il significato della particolarità politica ed amministrativa di queste terre, è generalmente un’utile occasione per sguardi di prospettiva sulla realtà trentina e sul futuro delle nostre Istituzioni. Al contempo, però, questa è anche l’occasione per riflettere insieme sul senso profondo e sull’attualità stessa di un modello, come quello autonomistico, che forse più di altri può risultare adatto ad affrontare le complessità del presente, sia esso locale come globale.
Guardare oggi i sentieri del futuro è però anche fonte di nuove ed inattese preoccupazioni. Mai come in questa fase, infatti, avvertiamo il diffondersi di un senso di crescente disagio davanti all’avanzare di un processo di erosione della nostra particolarità istituzionale e politica.
Infatti, nella consapevolezza che alla politica spetti anche il compito delle verità, anche quando queste non risultano piacevoli, va qui sottolineata l’evidenza del ritorno di una cultura amministrativa della “cosa pubblica” ispirata ad un “modernismo neocentralista”, che è esatta antitesi a quei valori del federalismo e del regionalismo che animarono sia il “patto De Gasperi – Gruber”, come la stessa edificazione dell’architettura unitaria d’Europa, della quale il Presidente Prodi è stato un protagonista di assoluto rilievo.
 
Circoscrivere, contenere, limitare ed indebolire sono verbi non coniugabili al futuro, nella grammatica dell’autonomia, la quale non può trovarsi sacrificata in nome della contrazione delle risorse pubbliche statali, senza alcun altro termine di riferimento nei tagli finanziari che non sia quello retorico della cancellazione di presunti privilegi.
Certamente la recente approvazione della cosiddetta “Clausola di salvaguardia”, nel contesto del ridisegno del Titolo V della Costituzione repubblicana, diventa strumento di tutela delle autonomie speciali, ma ciò non risolve i nodi di una cultura politica che sembra incapace di cogliere il valore generale dell’esperienza autonomistica quale risposta efficace alle domande di governo dei territori.
Ciò posto, condividiamo sinceramente l’urgenza della messa in equilibrio dei conti pubblici. E’ un dovere al quale siamo chiamati tutti, come cittadini italiani ed europei, ed è un dovere al quale nessuno vuole sottrarsi. Ma non possiamo non guardare allarmati a scelte politiche di raccolta indiscriminata di risorse, attinte in prevalenza alla maggiore virtuosità di alcuni per ripianare le scarse avvedutezze di altri: si tratta di un fittizio egualitarismo di Stato dove, anziché elevare i livelli più bassi, si tenta di diminuire quelli più alti, immaginando così di aver reso un servizio generale e non accorgendosi invece di aver scontentato tutti e di aver impoverito il Paese.
Forse però la realtà necessita d’altro.
 
Sono infatti concetti come la solidarietà, la sussidiarietà ed il regionalismo che debbono essere oggi riscoperti, proprio partendo dalla positiva esperienza delle autonomie speciali, per disegnare orizzonti diversi alla redistribuzione delle risorse ed alle politiche di investimento, nella certezza del bisogno di riscoperta di umanesimi nuovi, di convivenze consapevoli e di responsabilità condivise dove sia l’uomo, e non più il pareggio di bilancio, il soggetto vero dell’agire politico.
In questo contesto quindi, non possiamo esimerci dall’attribuire una nuova centralità al tema del lavoro ed all’evolversi dei processi dello sviluppo economico, secondo quei principi del modello sociale partecipato, che dovrebbero plasmare lo spirito della nuova Europa.
Cento anni fa queste vallate soffrirono nella loro carne il dramma di una guerra lunga e sanguinosa, che era frutto delle forzature esasperate da un lato dei nazionalismi e dei centralismi, dall’altro dei particolarismi. Da quello scontro prese avvio un gorgo che inghiottì il vecchio ruolo egemone dell’Europa, avviando processi di declino dei quali ancor oggi avvertiamo gli effetti.
 
Sessanta anni fa poi moriva Alcide De Gasperi, e con lui cominciava a declinare anche un’idea di Pubblica Amministrazione intesa come servizio del cittadino e non come peso vessatorio; un’idea che sta alla base dell’impianto autonomistico, e che ha contribuito non poco a fare della complessità del confine e delle convivenze una ricchezza di straordinario valore.
Si tratta di due momenti che segnano la storia delle nostre terre, perché costituiscono parti importanti di un’identità che, proprio nel dispiegarsi dell’autonomia, trova il suo senso più compiuto e l’unico domani possibile. Ecco perché ad essa non potremo mai rinunciare, senza peraltro chiedere nulla che non sia il rispetto della nostra storia e delle nostre prerogative, unici strumenti che ci impegnano a contribuire, con ogni sforzo possibile, al ragionato bilancio di un Paese e di un continente del quale ci sentiamo orgogliosamente figli.
 
Un continente che, usando le parole sagge del Presidente Prodi, deve essere in grado di presentarsi al mondo con una voce sola, consolidando gli interessi comuni: solo così, oltre alla stabilità interna, l’Europa potrà garantire un’azione responsabile di fronte ai tragici teatri di guerra che ancora insanguinano il mondo, dall’Ucraina alle sponde del Mediterraneo.
 
Anche grazie a questo sguardo ampio sull’Europa e sul mondo, non possiamo più tradurre l’autonomia in un semplice decalogo di rivendicazioni materiali. Non è più il tempo per limitare lo sguardo a singole questioni, siano esse quelle dei vitalizi o quelle a “quattro zampe” del ripopolamento ursino. Sviluppare l’autonomia in relazione al futuro significa investire su un progetto esigente, dove non c’è spazio per visioni miopi, per inutili particolarismi e per strumentali contrapposizioni ideologiche. È insomma un bisogno di prospettiva larga quello che sale dalla nostra comunità come domanda di senso, un bisogno del quale tutte le forze politiche e sociali di questa terra sapranno farsi carico, incrociando i valori migliori delle culture politiche del nostro Trentino, ovvero quelle del riformismo, del popolarismo e dell’autonomismo.
E’ sulla scorta di questa irrinunciabile premessa che, nella consapevolezza della conclusione della seconda fase dell’autonomia, guardiamo all’avvio di un nuovo patto costituzionale per la terza fase dell’autonomia: un patto che dovrà essere ampiamente partecipato e condiviso, per diventare un progetto di futuro con il quale rispondere alla difficoltà del contingente e costruire una nuova utopia, attorno alla quale chiamare il Trentino ad una grande e moderna stagione della fiducia e della speranza.
Grazie!
 
 INTERVENTO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DELLE AUTONOMIE LOCALI
 PARIDE GIANMOENA
 
A nome mio personale e del Consiglio delle autonomie locali che ho l’onore di
presiedere, desidero portare un caloroso saluto a tutte le Autorità civili e militari; un particolare saluto rivolgo al Presidente della Provincia Ugo Rossi ed al Presidente del Consiglio provinciale Bruno Dorigatti.
Un caloroso benvenuto infine in Trentino da parte degli Amministratori del nostro territorio al Presidente Romano Prodi, che con la sua presenza onora questa occasione di incontro.
La sua partecipazione alle celebrazioni odierne ed il ruolo assunto dal Presidente Prodi al massimo vertice delle istituzioni europee mi permette di provare a leggere il tema dell’autonomia in una chiave transnazionale.
E’ sotto gli occhi di tutti noi come molti ambiti del nostro vivere quotidiano siano fortemente orientati, quando non condizionati, dall’azione dell’Europa, sempre più protagonista non solo nello scenario finanziario, ma anche in quello economico e sociale.
Anche oggi quindi, discutendo di autonomia, non possiamo non considerare quale sia la visione europea di questo tema, quali ne siano i parametri di riferimento per valutare se quanto abbiamo fatto, stiamo facendo e ancor più faremo in futuro risulti coerente con il più ampio quadro continentale.
La carta Europea dell’autonomia locale rappresenta il documento fondamentale per comprendere il concetto europeo di autonomia. Essa contiene molti principi importanti, ma per ragioni di brevità mi limiterò a riportarne due, il primo riferito al concetto di autonomia locale ed il secondo al tema delle risorse finanziarie delle collettività locali, che possono essere sintetizzati nella definizione di autonomia responsabile: Per autonomia locale, s'intende il diritto e la capacità effettiva, per le collettività locali, di regolamentare ed amministrare nell'ambito della legge, sotto la loro responsabilità, e a favore delle popolazioni, una parte importante di affari pubblici.
 
«Le collettività locali hanno diritto, nell'ambito della politica economica nazionale, a risorse proprie sufficienti, di cui possano disporre liberamente nell'esercizio delle loro competenze.
«Una parte almeno delle risorse finanziarie delle collettività locali deve provenire da tasse e imposte locali.»
In questi articoli sono condensate le principali parole chiave che costituiscono l’essenza dell’Autonomia.
Innanzitutto diritto ad amministrare una parte importante di affari pubblici con assunzione delle relative responsabilità: diritto e dovere quali lati di una stessa medaglia, che non possono essere separati a seconda delle contingenze e delle convenienze.
 
Un’autonomia vera è quindi un’autonomia che:
•può decidere, viene cioè messa nella condizione di farlo;
•che effettivamente decide e non accampa scuse per non prendere le decisioni che le competono;
•che è responsabile di quanto decide e ne accetta fino in fondo le conseguenze.
 
È facile comprendere come se anche uno solo di questi elementi viene meno, il meccanismo virtuoso dell’autonomia si inceppa. Se infatti:
•non si attribuiscono poteri veri, ma ci si limita a trasferimenti «di facciata»;
•non si prendono decisioni, che vengono procastinate sine die;
•non si attribuiscono - a chi di dovere - le conseguenze delle decisioni assunte, ma si individuano sempre dei meccanismi “mitigatori” che tendono a dissolvere, più che a individuare, le responsabilità connesse alle decisioni assunte; non si riusciranno mai a cogliere i vantaggi connessi a processi di rafforzamento dell’autonomia a livello territoriale
 .
In secondo luogo la Carta europea parla di autonomia finanziaria, che deve fondarsi tanto su trasferimenti da altri livelli istituzionali quanto su entrate proprie: se in generale all’autonomia devono essere assicurate le risorse necessarie per poter gestire le funzioni attribuite, dall’altro è fondamentale che venga rafforzato il collegamento tra capacità di chiedere direttamente tasse e tributi ai propri cittadini e capacità di spendere quanto incassato. Quanto più viene allungata questa catena, tanto più si rischia una diluizione delle responsabilità, che sfumano su una pluralità di livelli istituzionali e di soggetti.
Autonomia responsabile significa quindi anche poter – e dover – rispondere nei confronti dei cittadini in maniera diretta della pressione fiscale e tributaria che viene decisa e dell’utilizzo delle relative risorse: per questo ridurre il carico fiscale deciso dagli organi centrali e proporzionalmente incrementare la capacità di disporre di entrate proprie per i singoli territori rappresenta una delle strategie determinanti, sulla quale si dovrebbe puntare con convinzione, per stimolare comportamenti virtuosi.
Terza riflessione stimolata dalla Carta riguarda la sovrapposizione, e quindi il rapporto, tra i possibili – direi auspicabili - diversi livelli di autonomia che possono coesistere su un medesimo territorio, nella logica che potremmo descrivere come “autonomia delle autonomie”.
 
La necessità di definire una relazione equilibrata tra i diversi livelli istituzionali emerge con chiara evidenza anche nella nostra realtà: se infatti la Provincia pretende, da parte dello Stato, il giusto rispetto delle proprie prerogative e della propria autonomia ci si deve attendere che la dialettica istituzionale interna al nostro territorio venga costruita sulla base di analoghi principi, per fare in modo che il “sistema delle autonomie” della nostra Regione possa confrontarsi con lo Stato, forte della propria adeguatezza, gestendo in maniera diretta una parte importante, sempre più importante, di “affari pubblici” di questa terra.
Dentro il sistema autonomistico regionale si dovrà di volta in volta definire quale sia il livello “giusto” al quale affidare la gestione delle decisioni, nel rispetto certo del principio di sussidiarietà, ma anche di quello di adeguatezza, principio ancor più rilevante in un contesto di contrazione delle risorse e di crisi economica quale quello attuale.
Non abbiamo difficoltà a riconoscere pertanto che molte scelte debbano essere effettuate su ambiti sovra-comunali, una parte su scala provinciale, forse alcune addirittura su un livello regionale.
 
Dobbiamo accettare il fatto che non è più possibile per la pubblica amministrazione gestire funzioni, servizi, compiti e attività su dimensioni non ottimali dal punto di vista economico finanziario. I vari strumenti ipotizzati in Trentino per affrontare tale necessità - fusioni, convenzioni tra comuni, Comunità di valle - costituiscono oggi, ancor più che in passato, una necessità per contenere i costi della pubblica amministrazione, mantenendo invariati qualità e quantità dei servizi resi ai cittadini.
Solo in questo modo il Trentino potrà confermare il proprio modello di sviluppo che ha permesso, in questi anni, di mantenere una presenza viva delle comunità in tutti gli angoli della nostra provincia, in una condizione di ottimale equilibrio e mutua utilità tra territori di montagna e fondovalle.
Quello che risulta irrinunciabile è comunque che le decisioni più pregnanti assunte dalla Provincia e, in misura minore, dalla Regione, sottratte alla capacità decisionale dei singoli Comuni per una comprensibile e condivisibile questione di adeguatezza, siano prese previo confronto con il Consiglio delle autonomie locali, organismo di rappresentanza istituzionale, autonoma e unitaria degli enti locali del Trentino.
La concertazione sulle grandi scelte è quindi l’aspetto fondamentale che deve caratterizzare l’impianto autonomistico della nostra realtà, per poter disegnare insieme – Regione, Provincia e Comuni - il futuro della nostra terra. In chiusura del mio intervento desidero richiamare un’ultima caratteristica che la Carta europea dell’autonomia sottolinea, con riferimento al diritto di amministrare affari pubblici importanti:
«Tale diritto è esercitato da Consigli e Assemblee costituiti da membri eletti a suffragio … universale, … Detta disposizione non pregiudica il ricorso alle Assemblee di cittadini, al referendum, o ad ogni altra forma di
partecipazione diretta dei cittadini….»
 
Questa dizione costituisce una sintesi perfetta del rapporto che deve correre tra democrazia rappresentativa (o elettiva) e democrazia partecipativa, che spesso vengono viste in concorrenza tra loro, quasi in contrapposizione, ma che in realtà possono benissimo convivere, traendo l’una linfa vitale dall’altra. Risulta però fondamentale che nella costruzione dei modelli istituzionali queste due componenti vengano mantenute in giusto equilibrio, senza forzature che possano incrinare da un lato la capacità delle istituzioni di prendere le decisioni, assumendosene la responsabilità, dall’altro dei cittadini di incidere sulla vita amministrativa, portando il proprio contributo nel perseguire nel migliore dei modi l’interesse collettivo.
I principi che ho cercato di riassumere potranno, dovranno costituire la guida per la riscrittura della legge di riforma istituzionale attualmente in discussione; essa dovrà comunque partire dal principio che, come indicato nelle linee guida per i Comuni del Cantone svizzero di Lucerna, “non esiste IL modello organizzativo giusto ma esiste solo l’organizzazione situazionalmente giusta”.
A noi, a tutti noi, la responsabilità di disegnare insieme quella migliore per il futuro del nostro Trentino.

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