Home | Rubriche | Letteratura di genere | Storie di donne, letteratura di genere/ 28 – Di Luciana Grillo

Storie di donne, letteratura di genere/ 28 – Di Luciana Grillo

«La grande festa» Dacia Maraini (intervistata a L’Aquila e a Trentino book Festival)

image

Titolo: La grande festa
Autrice: Maraini Dacia
 
Editore: Rizzoli 2011
Collana: Scala italiani
 
Pagine: 222 Rilegato
Prezzo di copertina: € 16

C’era una volta una ragazza uscita ferita da una guerra odiosa e brutale.
Una ragazza che ha conosciuto la fame fino al punto di delirare dietro un pezzo di pane muffito.
Quella ragazza è scampata alla guerra, al campo di concentramento, non si sa per quale miracolo del caso.
Ha conosciuto le penurie del dopoguerra: le scarpe risolate cento volte, i cappotti rivoltati, le mani piene di geloni per il freddo di stanze mai riscaldate, i libri letti di nascosto sotto le coperte, alla luce di una pila.
Quella ragazza che si dimenticava persino come si chiamava tanto era sprofondata dentro un romanzo, aveva deciso che anche lei, appena possibile, avrebbe scritto un libro perché nei libri sta il sale del mondo e lei era ghiotta di quel sale; le importava poco dello zucchero e del miele.
Quella ragazza, a 17 anni, ha cominciato a scrivere un romanzo asciutto e ruvido...
(Quella ragazza) era troppo timida e impacciata per rivolgersi alle persone.
Nel trovarsi faccia a faccia con qualcuno, arrossiva e impallidiva penosamente...
Solo la scrittura poteva sostituire in qualche modo la parola muta, la parola sepolta in bocca come un morticino imbalsamato. Solo la scrittura le avrebbe dato un poco di pace ...

Quanto sopra l'autoritratto di Dacia Maraini, la scrittrice italiana più tradotta al mondo che parla, in questa premessa alla ripubblicazione del suo primo romanzo La vacanza, a cuore aperto, del dolore, della guerra, di un’infanzia violata, ma anche del suo amore smisurato per la lettura, della sua straordinaria fiducia nella scrittura.
E poi realmente ha scritto tanto, cimentandosi in vari generi, passando dal romanzo tout court ai racconti alle pièces teatrali, rappresentate in tutto il mondo.
«Non sono portata alla nostalgia.
«Ma scrutare il passato, sì, mi piace, anche quello che va oltre la mia nascita: nella giovinezza per me solo sognata dei miei genitori o dei miei nonni, nei tempi mirabolanti dei miei antenati...»
D’altra parte, si tratta di antenati speciali, di cui parla ne «La grande festa»:
ci presenta, infatti, in modo assolutamente semplice e colloquiale, direi amichevole, il nonno paterno Antonio, burbero, fondatore della Biennale di Venezia, gentiluomo affascinante e colto, capace di scrivere e disegnare, ma solitario e sarcastico.
Tanto in contrasto col figlio, soprattutto dopo la morte della moglie, che Fosco se ne andò il più lontano possibile….
 
La nonna paterna per metà polacca e per metà inglese, donna moderna e trasgressiva, scrittrice di talento, è morta mentre Dacia, con genitori e sorelle, era ancora a Tokio, quindi Dacia ne scrive con interesse, ma «per sentito dire».
Poi appare suo padre Fosco «giovane, bello, biondo e robusto, sapiente come un antico filosofo greco... come non amarlo?»
Sicuramente, Fosco è stato per Dacia non soltanto un buon padre, ma anche un maestro e un esempio, per vastità di orizzonti e ampiezza di cultura.
Ecco, in seguito, i nonni materni: «Enrico, un uomo savio, gentile d’animo, colto... desiderava la pace, era vegetariano...si dedicava personalmente a coltivare le vigne di Casteldaccia secondo i principi biodinamici, lavorava assieme agli operai nell’azienda vinicola Il Corvo, preferiva il cavallo all’automobile, trattava da amici e uguali i servitori, era un fervente lettore di Virgilio, Voltaire, Pascal, Diderot, Beccaria e Sonia, bellissima bruna dagli occhi grandi e scintillanti, venuta dal Cile a studiare canto alla Scala di Milano... sebbene avesse una voce soave e potente, a Sonia Ortuzar non era stato permesso di cantare in pubblico.
«Una signorina di buona famiglia non poteva salire sul palcoscenico senza essere considerata una prostituta.»
 
Poi Dacia ci presenta la mamma, Topazia Alliata, «colta, pittrice orgogliosa e intraprendente, dalle mani forti e dai pensieri tenaci» che – scrive Dacia – «per me rappresentava l’eternità».
Ma in questo libro, sicuramente affascinante, incontriamo tante altre persone, tutte importanti nella vita di Dacia Maraini e nel panorama culturale italiano, da Alberto Moravia, indimenticabile autore degli Indifferenti (e di tanti altri romanzi) a Maria Callas, insieme diva e donna fragile, da Pier Paolo Pasolini a Yuki, sorella amata e come predestinata alla morte prematura.
 
Infine incontriamo Giuseppe, l’ultimo compagno di Dacia, che musicava genialmente liriche di Leopardi, Montale, Merini... tutte persone scomparse.
L’autrice le ricorda con tenerezza, rievoca momenti particolari, ce li presenta nella loro immediatezza, nella loro fragilità.
Spesso è da una foto ritrovata quasi per caso che scaturiscono sensazioni ed emozioni.
Dacia non si limita a ricordare chi non c’è più, insieme all’argomento «morte» affronta temi forti come i rapporti familiari – e racconta il difficile rapporto tra suo padre e suo nonno e quello fra sorelle, lei un poco brusca, come si conviene a una sorella maggiore.
Ricorda poi l’esperienza vissuta all’ospedale di salute mentale di Imola, negli anni in cui il professor Basaglia cominciava a proporre luoghi di accoglienza che non fossero prigioni, parla di reincarnazione, ricorda miti come Alcesti:
«…solo le storie sono capaci di colmare gli squarci del dolore.
«Solo le storie ci aiutano a sopravvivere ai nostri morti» e rievoca fiabe, ad esempio: «Cappuccetto rosso/Pinocchio/Alice nel Paese delle meraviglie», descrive i cimiteri americani, riprende i pensieri di altri grandi, come Thornton Wilder:
«Spesso i vivi recidono quel legame per paura di essere contagiati dalla morte come da una terribile malattia.»
 
Dacia considera la morte un momento di santità, di bellezza ineffabile e di comunione estrema con coloro che continuano a vivere; stigmatizza l’atteggiamento della nostra società che, forse perché teme la morte, non vuole neanche parlarne; per la Maraini si tratta di un passaggio laico verso un mondo altro, un «giardino dei pensieri lontani, un giardino soffice, fitto di alberi ombrosi, un luogo delicato e accogliente in cui i nostri morti, fatti leggeri e savi, camminano agili, riflettendo...forse sarà la voce della poesia a tenere in movimento le menti».
 
La grande festa, però, non è solo un libro dedicato ai morti; al contrario, Dacia racconta la sua vita anche attraverso gli amori, tocca il tema dell’omosessualità, punta il dito sulla morte di Pasolini, ancora in parte non chiarita, parla della maternità (anche negata), della religione, della malattia, dell’eutanasia, della cremazione, della vecchiaia, allude alla «stupidità della famiglia moderna che non è capace di valorizzare la vecchiaia, preferendo considerarla un vuoto a perdere».
Alla fine fa un riferimento alle «coppie di fatto» ancora discriminate e ricorda con sofferenza cosa le fu detto quando morì prematuramente il suo compagno Giuseppe: «Lei non è della famiglia».
E sempre, pagina dopo pagina, affiorano l’amore dell’autrice per la musica, per il teatro, per il cinema, per l’ambiente e l’indignazione per l’abusivismo edilizio che ha coperto con brutti palazzi di cemento la vallata degli ulivi della sua Sicilia...
Né dimentica, la Maraini, il collegio aristocratico di Firenze dove ha trascorso parte della sua giovinezza e il comunismo incontrato leggendo Marx ed Engels, o gli animali che le hanno fatto compagnia, da Regina a Cirillo.
 
Ne La grande festa c’è anche un riferimento all’attentato alle Torri gemelle, quindi a questa attualità rabbiosa che viviamo: ma lei coglie l’occasione per parlare di martiri e di una fede diversa, che non è sacrificio e sofferenza, ma gioia di vivere.
E in un continuo andare tra passato e presente, Dacia Maraini non rinuncia alla grande cultura classica, sia attualizzando a suo modo il mito e citando Orfeo, la cui «lira riprenderà a suonare scendendo dal cielo stellato», sia riaffermando una straordinaria fiducia nella scrittura, a cui sembra attribuire lo stesso valore che il Foscolo dava alla poesia, «eternatrice di grandi valori».
E a proposito di scrittura, sicuramente vanno sottolineati la chiarezza espositiva, l’uso di una lingua sempre controllata, la capacità di far camminare il lettore agilmente, in un vero giardino di pensieri lontani che, di pagina in pagina, ciascuno elabora e finisce col fare propri.
 
Luciana Grillo
(Precedenti)

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande