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Una mela al giorno toglie il medico di torno – Di Daniela Larentis

C’è nelle favole dove abbondano gli incantesimi, è il frutto del peccato originale ed è conosciuto anche in Giappone, teatro di un’amara storia d’amore che molto insegna

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Che gran frutto la mela! Compare in molte mitologie e nell’immaginario comune è associata al peccato originale (nella Bibbia come ben tutti sanno fu mangiata da Adamo ed Eva), spesso presente nelle favole come quella di Biancaneve e i sette nani dei fratelli Grimm, tanto per citare un esempio noto a tutti.
Nell’antica Grecia il lanciarla pare equivalesse più o meno a una dichiarazione d’amore.
Una mela d’oro destinata alla più bella fra le invitate sembra inoltre fosse stata gettata per vendetta dalla spietata dea Eris durante il banchetto nuziale di Peleo e Teti, causando una lite furibonda fra le dee Afrodite, Hera e Atena, che volevano accaparrarsi la mela e l’ambito titolo, tanto che il frutto fu chiamato «il pomo della discordia» (a proposito, per volere di Zeus fu Paride a decidere e alla fine scelse Afrodite, con le note conseguenze).
 
Il detto «una mela al giorno toglie il medico di torno» è tanto celebre quanto veritiero, le mele fanno davvero bene alla salute, ma come ben tutti sanno non sono tutte uguali.
Fra le varietà (alcune molto note come la Golden Delicious, la Red Delicious, la Granny Smith, la Gala, la Morgenduft, solo per ricordarne alcune) ce n’è una, un incrocio fra altre due varietà, creata in Giappone più di ottanta anni fa o giù di lì, la Fuji, ora largamente diffusa anche sul nostro mercato.
Si tratta di una mela dolcissima e croccante, tonda e soda, il cui colore colpisce l’attenzione per quella sfumatura gialla striata di rosso (tendente all’arancio), un vero incanto per occhi e palato.
Vien da dire che non ce ne sia una uguale all’altra, un po’ come il tè.
Quello del tè è un rito quotidiano per alcuni irrinunciabile. Di tè ne esistono un infinito numero di varietà (pensiamo al tè nero, al tè verde e al tè bianco), le piantagioni sono distribuite un po’ in tutto il mondo (Cina, India, Giappone sono solo tre banalissimi esempi delle zone di provenienza), tanto che il consumo di questo prodotto è ampiamente diffuso e apprezzato un po’ ovunque.
 
C’è quindi tè e tè, dipende molto non solo dalle miscele dei vari tipi, ma anche da altri fattori, da cui derivano gusto e caratteristiche organolettiche. Il tè può essere particolarmente amaro, ma anche vivace e colorato, fragrante, corroborante e pungente, rotondo e aromatico e via di questo passo.
Molti sanno che oltre ad avere un gradevole sapore possiede molte proprietà, per esempio pare sia efficace contro le carie, contenendo fluoro e tannino, è un ottimo antiossidante e contiene sia calcio che potassio e magnesio.
Inutile dilungarsi nell’elencarne i benefici, ampliamente conosciuti peraltro. Il tè cosiddetto bianco, una delle qualità più pregiate e rare, poiché prodotto con i germogli e le prime tenere foglioline della famosa pianta, pare venga prodotto soprattutto in Cina.
Per quanto riguarda il tè verde, poi, sebbene non si sappia con assoluta certezza se sia originario dell’India o della Cina, si è largamente diffuso in Giappone, il quale per antonomasia è considerato il paese di questa varietà di tè.
Da tempo alcuni ricercatori hanno individuato i suoi effetti benefici, sembra per esempio che abbia un’azione anticancerogena, del resto per molto tempo questa bevanda dal gusto così piacevole è stata considerata alla stregua di un rimedio curativo.
 
Citando il Giappone, viene in mente che ci sono delle isole giapponesi chiamate «Ryukyu» (formano l’arcipelago che separa l’Oceano Pacifico dal Mar Cinese Orientale), probabilmente teatro di una famosa storia popolare intitolata «Urashima e la tartaruga» (chi la volesse leggere interamente la può trovare narrata da Neil Philip in un libro intitolato «Fiabe da tutto il mondo» – ed. San Paolo).
Il racconto parla di un pescatore, Urashima, il quale avendo catturato una tartaruga decide di liberarla dietro sua richiesta: la testuggine gli promette riconoscenza, prima di sparire nelle profondità del mare.
Molto tempo dopo, uscito in barca a pesca, Urashima viene sorpreso da un violento temporale e la sua barca si capovolge.
Lui non sa nuotare, ma viene tratto in salvo proprio dalla tartaruga, la quale altro non è che la dama della principessa Otohime, il cui regno è nel mare.
 
Una volta arrivati a corte, il pescatore alla vista della principessa se ne innamora follemente, ricambiato, e decide di accettare l’offerta di rimanere a vivere là, ottenendo in cambio l’opportunità di vivere per sempre negli abissi marini.
Dopo alcuni anni, però, Urashima avverte la nostalgia di casa, soprattutto sente il bisogno di rivedere sua madre, con la quale viveva prima di compiere quella scelta importante.
Implora la principessa di lasciarlo partire e lei lo avvisa dicendogli che se fosse andato via non sarebbe più tornato, ma il pescatore ha troppo voglia di riabbracciare sua madre e di ritornare al villaggio, quindi parte.
Otohime gli consegna un cofanetto, raccomandandogli di averne cura e di non aprirla, dicendogli anche che se lo avesse fatto la tartaruga sarebbe venuta a prenderlo per ricondurlo da lei».
Quando arriva al paese, però, tutto è cambiato. Incontrando un vecchio gli chiede notizie di un certo Urashima e lui gli risponde che era un pescatore vissuto trecento anni prima, sparito negli abissi e mai più tornato.
Quando poi gli domanda informazioni su sua madre l’anziano gli svela che la donna era morta poco dopo la sparizione del figlio.
Urashima si dispera, cercando di convincere il vecchio di essere lui quel pescatore e di esser stato via solo tre anni, così gli mostra il cofanetto, dimenticandosi della raccomandazione della principessa.
Poi lo apre; gli anni lo assalgono, la sua pelle inizia così a invecchiare all’improvviso, sbriciolandosi a poco a poco, e lui si trasforma in un mucchietto di polvere.
 
Morale della favola? E chi lo sa…  Ad ogni modo, il racconto pare suggerire che sia meglio non allontanarsi troppo dagli affetti più cari, pena il rimpianto (o la distruzione finale).
Soprattutto sembra voler insegnare a diffidare dalle principesse come Otohime, perché non è sempre oro quello che luccica, questo è un concetto trito e ritrito anche nel mondo reale, non solo nelle fiabe.
Esse incantano da sempre grandi e piccini per le emozioni che sanno comunicare e affascinano anche per gli incantesimi che svelano, forse perché siamo un po’ tutti in attesa di qualche prodigio anche nella quotidianità, dove tutto può succedere, in fondo, basta solo sperare.
 
Daniela Larentis
d.larentis@ladigetto.it

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