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Carlo Azeglio Ciampi e la Banca d’Italia: un cammino di 47 anni

L’intervento di Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia, pronunciato a Sulmona in onore al Governatore emerito dalla Banca di Italia Carlo Azeglio Ciampi

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Foto Wikipedia.

Il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha pronunciato una preziosa ricostruzione della personalità dell’emerito presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in relazione a quanto fatto prima di entrare in politica, da Presidente del Consiglio e da Presidente della Repubblica.
Poiché Ciampi è stato uno dei padri dell’Euro e dell’Europa, al punto di meritarsi il «Premio De Gasperi – Fondatori dell’Europa» istituito dalla Provincia autonoma di Trento, riteniamo doveroso riportare qui di seguito l’intervento del governatore Visco, perché rivela una parte poco conosciuta di Ciampi, che però giustifica ampiamente i suoi successi raggiunti ricoprendo le massime cariche dello Stato.

 1. La carriera di Carlo Azeglio Ciampi in Banca d’Italia
Ciampi inizia la sua carriera in Banca d’Italia come «impiegato avventizio» nella Sede di Livorno nel luglio del 1946, a 26 anni.
Trasferito alla Filiale di Macerata nel 1951, viene inquadrato nella carriera direttiva. Nove anni dopo entra al Servizio Studi economici, a Roma, dove lavora all’Ufficio Produzione e prezzi e, successivamente, all’Ufficio Congiuntura e Contabilità nazionale.
Diventa capo del Servizio Studi nel 1970, a dieci anni dall’arrivo a Roma. Nel 1973 viene nominato Segretario generale della Banca d’Italia, posizione che ricopre per tre anni.
È Vice direttore generale nel 1976, Direttore generale nel 1978, Governatore il 7 ottobre 1979 (A. Gigliobianco, Via Nazionale, Donzelli editore, Roma 2006, p. 345 e seguenti).
Il sentiero, lungo 33 anni, che lo ha condotto ad assumere la guida della Banca attraversa praticamente tutti i settori di attività dell’Istituto.
La consultazione del fascicolo personale, conservato negli uffici dell’Amministrazione, e la lettura che lo stesso Ciampi dà della propria esperienza di lavoro nell’appassionata conversazione con Arrigo Levi (Da Livorno al Quirinale – Storia di un italiano, Il Mulino, Bologna, 2010) mettono in risalto alcuni tratti di fondo che accompagnano il suo intero percorso professionale.
 
Il primo tratto distintivo che desidero segnalare è la capacità di Ciampi di vivere come attività coinvolgenti e interessanti compiti apparentemente lontani dai suoi interessi o meramente esecutivi.
Cito un esempio. Il suo ingresso in Banca d'Italia avviene dopo aver conseguito due lauree (in Lettere e in Giurisprudenza) e il diploma alla Scuola Normale Superiore di Pisa.
Ciampi rivela che «insegnare italiano e latino al liceo era stato molto più appagante, intellettualmente più gratificante che non essere avventizio alla Filiale di Livorno della Banca d’Italia (A un giovane italiano, Rizzoli, Milano, 2012, p. 26); tuttavia gli preme sottolineare che a Livorno l’incarico di protocollare tutte le lettere in arrivo e poi di ricopiare tutte quelle in partenza […] fu utilissimo» perché gli consentiva di essere «l’unico a conoscere l’attività della filiale per intero».
Conclude osservando che «anche se ti assegnano un compito modesto, sta a te renderlo più importante» (Da Livorno al Quirinale, pp. 42-43).
 
Un secondo, potente, tratto distintivo è la capacità di svolgere una grande mole di lavoro, impegnandosi nell’imparare cose nuove, anche con l’aiuto degli altri, senza mai perdere la fiducia nei propri mezzi.
Nei primi anni al Servizio Studi, per apprendere alcune tecniche di base racconta di essersi rivolto inizialmente a un’impiegata che riteneva più esperta di lui; per impadronirsi dei concetti economici necessari all’analisi della congiuntura, racconta di aver studiato nel tempo libero; per imparare l’inglese, ricorda di aver seguito lezioni, collettive e individuali, per un tempo non breve.
E conclude: «Fu un periodo in cui veramente lavorai come un matto» (Ivi, p. 109). A quattro anni dall’arrivo al Servizio Studi, Ciampi raggiunge due importanti traguardi: comincia a rappresentare la Banca in riunioni internazionali; affronta la prova di esame per diventare dirigente e si classifica in prima posizione.
A sostenerlo nell’articolato percorso professionale hanno certamente contribuito «senso del dovere, rispetto dell’alterità, consapevolezza delle responsabilità assunte, metodo, tempo e pazienza», gli ingredienti che Ciampi annovera come la base dell’apprendimento e della conoscenza (A un giovane italiano, p. 109).
Nella conversazione con Levi, dopo aver elencato con orgoglio le esperienze fatte in Banca, conclude, senza falsa modestia: «Io credo, per la verità, di essere stato l’unico Governatore che abbia avuto una conoscenza completa della Banca» (Da Livorno al Quirinale, p. 132). 


 
 2. Il metodo di lavoro
Il metodo di lavoro è stato uno dei suoi maggiori punti di forza. Nelle sue prime Considerazioni finali, il 31 maggio del 1980, Ciampi tributa un omaggio commosso al Governatore che lo ha preceduto.
«L’azione di Baffi è stata decisiva nel dotare la Banca d’Italia del rigore di un metodo e, quindi, di uno stile: il metodo in base al quale la fondatezza di una valutazione, la correttezza di una scelta, a riprova di una soluzione, si riscontrano esclusivamente sul piano della coerenza del procedimento logico, della ricchezza delle argomentazioni e dell’attendibilità delle informazioni da cui esse sono scaturite o risultano suffragate.»
Partendo da qui, dalla necessità di fondare su solide basi informative e di analisi valutazioni e decisioni, Ciampi costruì un suo metodo di lavoro, un metodo per molti versi innovativo nel quale assumeva importanza cruciale l’organizzazione degli sforzi collettivi delle diverse aree dell’intero Istituto.
 
Sempre scrupoloso nel rispettare le competenze assegnate alle strutture organizzative, l’autonomia e la responsabilità delle persone, egli intuì infatti l’importanza dei meccanismi di coordinamento e delle professionalità trasversali, necessari per collegare le diverse e variegate funzioni della Banca.
Seppe, in tal modo, coniugare i contributi forniti dalle diverse strutture, avvalendosi di non comuni doti di sintesi, in vista dell’unitarietà del risultato da perseguire.
Anche nell’uso di strumenti tecnici di analisi quali il modello econometrico della Banca, con la sua suddivisione in blocchi (relativi a settori diversi eppure tra loro interrelati quali ad esempio domanda per consumi e investimenti, prezzi e mercato del lavoro, mercato della moneta e bilancia dei pagamenti), vide oltre che l’ausilio per la previsione e la politica economica un importante strumento organizzativo utile a far comunicare al meglio specialisti delle diverse aree.
 
Nella gestione interna della Banca verrà ricordato per aver saputo utilizzare con risultati notevoli la discussione su tutti i temi sui quali avrebbe poi esercitato con pienezza, al momento delle decisioni, la sua responsabilità individuale.
«La discussione non è mai fine a se stessa, e non è mai senza fine, deve finire, ci sono tempi da rispettare. […] Ci vuole il massimo della conoscenza. Ma poi c’è l’esigenza di smettere, di mettere la parola fine a un processo conoscitivo altrimenti senza fine, e di chiudere con la decisione, con la scelta. Bisogna mantenere la differenza tra conoscenza e atto volitivo» (Da Livorno al Quirinale, p. 137).
La capacità di combinare competenze diverse, attivare sinergie, favorire il lavoro di squadra è stata senz’altro un tratto distintivo di Ciampi durante il suo governatorato e, a leggere le testimonianze sugli anni della Presidenza della Repubblica (Paolo Peluffo, Carlo Azeglio Ciampi. L’uomo e il presidente, Rizzoli, Milano, 2007), quel tratto distintivo lo ha accompagnato anche in seguito.
 
Dodici mesi dopo la lettura delle sue prime Considerazioni finali, nell’elencare i dati caratterizzanti il primo anno di vita dell’Istituto sotto la propria guida, Ciampi menziona l’interazione accresciuta delle attività di banca centrale e di vigilanza con la ricerca economica, la revisione dei meccanismi operativi nei diversi comparti (dalla tesoreria ai mercati monetari e finanziari, alla cassa), l’avvio del progetto per il potenziamento dei sistemi elettronici, le modifiche apportate alle carriere del personale.
Si delineano con chiarezza i criteri guida che informeranno tutto il suo governatorato: l’importanza attribuita alla fusione di competenze economiche, giuridiche e tecniche, la consapevolezza del ruolo centrale dell’informatica, l’attenzione al capitale umano.
In effetti, gli anni del suo governatorato furono segnati da grandi cambiamenti, che investirono tutti i settori di attività della Banca d’Italia.
 
Nell’esercizio della politica monetaria, realizzò con il Ministro del Tesoro Andreatta quello che fu chiamato il «divorzio» fra il Tesoro e la Banca, rendendo questa completamente autonoma nelle decisioni di acquisto di titoli del debito pubblico. Nel campo della vigilanza, fu il promotore di una radicale riforma della normativa e del mercato, che nel tempo portò alla privatizzazione delle banche, alla nuova legge bancaria e all’apertura del mercato alla concorrenza.
Venne costruito praticamente dal nulla il sistema dei pagamenti, quell’insieme di piattaforme tecnologiche che permettono di realizzare pagamenti attraverso assegni, bonifici e altri strumenti e rendono quindi possibili gli scambi commerciali. Per quest’ultimo aspetto si giovò del fondamentale apporto di uno dei suoi più stretti collaboratori, Tommaso Padoa-Schioppa.
Furono anche anni molto difficili. Basti pensare che, appena nominato, Ciampi si trovò a dover affrontare la crisi del Banco Ambrosiano, il dissesto bancario più importante del dopoguerra, di cui ancora oggi si parla per le implicazioni di varia natura (finanziarie, politiche, malavitose) che presentava.
Nell’estate del 1992 fronteggiò una violenta crisi valutaria, che in poco tempo aveva causato la perdita di oltre il 20 per cento del valore della nostra moneta di allora, la lira.
La crisi dello Sme (il sistema monetario europeo che, all’epoca, legava le valute dei paesi partecipanti a un meccanismo di cambio predeterminato) fu uno dei momenti più difficili nel processo di costruzione della moneta unica.
In quel contesto, Ciampi si prodigò nel sollecitare un impegno collettivo dei partner europei per accelerare l’unione monetaria, comprendendo, nell’incompiutezza insita nei processi di funzionamento dello Sme, un grave elemento di vulnerabilità.
 
Mi piace ricordare anche la sua sensibilità per le persone. A maggio del 1983, per esprimere il convincimento della centralità della professionalità per assicurare l’efficacia dell’azione della Banca, scrive nelle Considerazioni finali.
«Se viene coltivata e arricchita, la professionalità, unita alla cura esclusiva dell’interesse generale, permette e impone di dire le verità ingrate al cui rispetto è legato il bene di una moneta stabile.»
In quella stessa occasione Ciampi dà conto sia dell’avvio del programma di ricerche sulla storia della Banca sia della nascita di una nuova pubblicazione, il Bollettino economico; in questa iniziativa simultanea su due piani apparentemente distanti – l’analisi storica e quella congiunturale – si manifesta con pienezza la scelta di una persona formatasi a quella che Ciampi, citando Calogero, definisce «la scuola dell’uomo» che, spiega, non è erudizione ma «gusto, amore per la ricerca, per la ricostruzione e per l’interpretazione del passato, quale presupposto per meglio decidere ed operare nel presente, per proiettarsi nel futuro» (Intervento in occasione del conferimento del Campano d’oro, a Pisa il 15 giugno 1980). 


 
 3. Il senso delle istituzioni
Ciampi si qualifica come persona caratterizzata da un profondo senso delle istituzioni. È nei lunghi anni trascorsi all’interno della Banca d’Italia che trova consolidamento questo tratto distintivo della sua personalità.
Alla domanda di Levi «In che senso l’esperienza di Governatore può considerarsi una buona preparazione per il mestiere di Capo dello Stato?»
Ciampi risponde: «Servire la Banca d’Italia vuol dire servire, imparare a servire una grande istituzione. Quindi l’istituzione viene prima della persona. Secondo, ti insegna ad avere valori precisi, ti insegna a non accettare compromessi, ti insegna a tenere fermo il punto di fronte a chiunque prema. Ti insegna a non dipendere da nessuno, da nessun potere politico esterno» (Da Livorno al Quirinale, p. 118).
 
A chiarire il senso dell’autonomia della banca centrale e a rafforzare i momenti istituzionali nei quali essa dà conto del proprio operato Ciampi ha dedicato un impegno costante.
Nel suo pensiero, tuttavia, assenza di condizionamenti, distinzione dalla politica non significano disinteresse, distanza dalla politica.
È però singolare che uno strenuo difensore dell’autonomia della Banca centrale dalla politica abbia finito – sia pure in un contesto irripetibile – per mettere a disposizione della politica – nel suo significato più alto – la propria professionalità. Anche questo è un tratto del suo essere «al servizio» del Paese.
 
La passione civile di Ciampi, che emerge con tutta evidenza negli anni della guerra, della resistenza e, di nuovo, alla massima potenza, nel ricoprire la carica di Presidente della Repubblica, traspare nell’azione che ha svolto con riferimento al disegno di unificazione europea.
È sua opinione, mantenuta e rafforzata nel tempo, che, nel cammino fatto dall’economia italiana per partecipare a pieno titolo agli sviluppi dell’Unione economica e monetaria, tutte le volte che è stato posto davanti a scelte difficili, il Paese ha scelto la strada che porta in Europa, non quella, apparentemente più facile, che ce ne allontana.
 
Nel chiudere le Considerazioni finali del maggio 1988, Ciampi commentava i progressi compiuti nell’edificare una «Comunità autentica, solidale, polo di riferimento, con gli Stati Uniti e il Giappone, dell’economia mondiale» osservando: «Le grandi dispute su piccole questioni sembrano essersi placate: è ora dischiuso il pur arduo percorso verso il completamento dell’unione economica, che prepara e richiederà l’unione politica. L’agenda è impegnativa […] Ma, per la civiltà di cui siamo parte, è l’unica via per non smarrire il filo spezzato in due guerre mondiali, riannodato da chi seppe intuire l’Europa comunitaria».
 
Questo pensiero tradisce lo sforzo compiuto da Ciampi, così attento alla distinzione tra le responsabilità della banca centrale e quelle proprie della politica, per non intaccare la dimensione «tecnica» del proprio argomentare anche quando parla della integrazione monetaria europea come strumento che impedirà l’esplodere di una nuova guerra.
Emerge dall’insegnamento di Ciampi, nell’intero suo percorso di tecnico e di politico, una concezione profonda del valore morale intrinseco delle istituzioni che le pone nella condizione di essere doverosamente servite con impegno e abnegazione, nella ferma convinzione che, nel perimetro delle stesse, debba essere ricondotto ogni momento decisionale di rispettiva competenza.
 
Gli insegnamenti di Ciampi, reinterpretati, ispirano tuttora il nostro operato alla guida della Banca d’Italia; applicarli con una estensione meccanica non produrrebbe oggi gli stessi, straordinari, risultati ottenuti tra gli anni Ottanta e Novanta del ’900.
Il grado di specializzazione raggiunto nelle discipline economiche e la rapida obsolescenza delle conoscenze in tutti i campi del sapere, l’assunzione di nuovi compiti, fortemente accresciutisi negli ultimi anni, concorrono a definire un ambiente di lavoro diverso rispetto alla Banca di Ciampi e portano a rivedere le strategie per favorire l’interdisciplinarità e lo sviluppo di una cultura comune.
Ma l’essenza del messaggio e dell’esempio di Ciampi conserva, potente, la sua validità.
 
Come osserva Gianni Nardozzi, dobbiamo a Ciampi qualcosa che va oltre l’economia, pur essendo per essa essenziale: una incrollabile fiducia nelle possibilità di questo Paese e della sua gente (G.Nardozzi, «Il governatorato di Carlo Azeglio Ciampi (1979-1993), in Governare la moneta – La Banca d’Italia da Einaudi a Ciampi», Biblioteca della Nuova Antologia, Edizioni Polistampa, Firenze 2004, pp. 167-168). E ricordiamo quanto tenesse a richiamare un’espressione significativa di un altro suo predecessore, Donato Menichella: «sta in noi».
È questa sua fiducia che lo ispirò ad accettare, con fatica (e posso testimoniarlo direttamente), di servire il Paese al di fuori della Banca per contribuire al superamento della difficile situazione in cui versava la nostra economia nella primavera del 1993.
E fu un contributo determinante, nel quadro di un’esperienza di vita e professionale unica, pur nella consapevolezza – per usare le parole di Curzio Giannini, brillante economista della Banca prematuramente scomparso – che «la legittimazione delle banche centrali […] viene dalla competenza, dalla moderazione, dall’orientamento al medio-lungo periodo, dal rifiuto di assumere compiti esulanti dai propri ruoli primari» (Curzio Giannini, L’età delle banche centrali, Il Mulino, Bologna, 2004, pp. 460-461).
 
Mi piace chiudere queste mie considerazioni con una citazione tratta ancora da Curzio Giannini, nella premessa al suo libro: «Il debito più grande non è nei confronti di una persona, bensì di una istituzione, la Banca d’Italia. Può sembrare un vieto antropomorfismo attribuire un ruolo cosciente a un’istituzione. Ma chiunque abbia vissuto l’atmosfera intellettuale della Banca d’Italia negli anni ottanta e novanta (degli anni antecedenti semplicemente non posso testimoniare) non avrà difficoltà a convenire con l’antropologa Mary Douglas che ‘le istituzioni pensano.» (L’età delle banche centrali, Il Mulino, Bologna, 2004, pp. 460-461).
A sua volta questa istituzione, la Banca d’Italia, deve molto a Carlo Azeglio Ciampi, che in essa per 47 anni ha così bene operato e che al suo prestigio ha così tanto contribuito, in Italia, in Europa e nel mondo.

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