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Una exit strategy per la Crisi Ucraina/ 4 – Di Marco Di Liddo

Quarta parte: le incertezze dell'Occidente e le opportunità (e rischi) per l'Italia

 Le incertezze del fronte occidentale
La crisi ucraina potrebbe rappresentare un punto di svolta per i rapporti tra Europa e Stati Uniti nonché per gli equilibri all’interno di NATO ed UE.
Per quanto riguarda Bruxelles, l’atteggiamento nei confronti della crisi ucraina ha tragicamente messo in evidenza alcuni dei mali storici europei, ossia la difficoltà di avere una politica estera e di sicurezza comune, conseguenza diretta di interessi nazionali spesso troppo forti e difficilmente conciliabili tra i diversi membri. Infatti, le divergenze tra il blocco russofobico (Paesi Baltici, Polonia, Regno Unito) e il blocco con consolidate partnership economiche con Mosca (Italia, Francia, Bulgaria, Ungheria). Tra le due fazioni, galleggia la Germania, Paese tradizionalmente amico del Cremlino ma che, con la crisi Ucraina, potrebbe aver ripensato alcuni schemi di politica estera.
Come evidenziato in precedenza, la politica delle sanzioni è un’arma a doppio taglio che, pur colpendo sensibilmente la Russia, rischia danneggiare anche gli interessi economici europei. I danni della restrizione del commercio, del mercato finanziario e degli investimenti in diversi settori dell’industria hanno fortemente condizionato Paesi come Italia e Francia e rischiano di destabilizzare anche il fronte interno tedesco, dove la posizione della Cancelliera Markel è messa in discussione sia dalla destra pro-business sia dalla sinistra anti-americana.
Per questa ragione, non è escludibile, per ragioni di opportunità, un lento ma graduale ammorbidimento delle posizioni anti-russe da parte di Berlino. Senza considerare i danni rappresentati dalla perdita di un mercato, quale quello russo, da 145 milioni di persone, la situazione potrebbe diventare ancora più drammatica se il Cremlino decidesse, come rappresaglia, di diminuire il flusso energetico verso l’Europa o modificare i prezzi di vendita.
Se adesso i costi della «guerra economica», pur nella loro gravità, possono essere ancora affrontati dai Paesi membri, nel prossimo futuro potrebbero raggiungere un’entità tale da diventare insostenibili.
A quel punto, si aprirebbero scenari di profonda conflittualità all’interno dell’Unione, sia tra russofobici e non-russofobici sia all’interno di ciascun Paese membro.
Infatti, il peggioramento della situazione economica dovuto al peggioramento dei rapporti commerciali potrebbe alimentare il fronte degli euro-scettici, propensi a rilanciare politiche economiche e diplomatiche nazionali contrarie alle dinamiche, agli interessi e ai progetti comunitari.
 
Queste riflessioni economiche hanno dirette conseguenze politiche, poiché potrebbero spingere alcuni Paesi europei ad esprimersi contro il processo di maggiore integrazione dell’Ucraina.
Inoltre, occorre sottolineare come, allo stato attuale, la struttura politica ed economica ucraina non solo non rispetta pienamente gli standard minimi per il processo di integrazione, ma necessita di sostanziosi aiuti finanziari per evitare il default e promuovere le riforme.
Nello stesso tempo, la crisi economica e la limitata crescita dell’Eurozona (+0,8%) potrebbero rendere difficile la somministrazione di adeguati aiuti a Kiev.
Infatti, alcuni Paesi membri potrebbero contestare a Bruxelles tale impiego di risorse a sfavore di misure volte alla stimolazione della propria economia.
Dunque, esiste il rischio che il sostegno di Bruxelles all’Ucraina sia limitato e al di sotto degli auspici, dei desideri e delle necessità della repubblica ex-sovietica.
Le controindicazioni e l’effetto boomerang delle sanzioni alla Russia permettono di comprendere come una simile decisione da parte dell’UE abbia avuto motivazioni prettamente politiche.
Infatti, pur consapevoli dei danni economici a cui potevano andare incontro e decisi ad evitare una escalation militare con Mosca, i Paesi europei hanno inteso lanciare un segnale forte alla Russia, cercando di sottolineare l’inammissibilità della strategia muscolare del Cremlino in Crimea e nel Donbass.
 
La linea dura di Bruxelles, anche in assenza di un coinvolgimento militare, ha avuto lo scopo di ridimensionare l’aggressività russa evidenziando l’importanza dei rapporti commerciali e il reciproco svantaggio derivante dalla loro compromissione.
Inoltre, non bisogna sottovalutare la dimensione simbolica e propagandistica del conflitto, visto che l’UE, in un momento di crisi di legittimità e appeal, non avrebbe potuto rinunciare al progetto ucraino sotto i colpi dell’unilateralismo russo.
Tuttavia, nella conduzione delle trattative con Mosca, Bruxelles si è forse dimostrata, in alcuni momenti, eccessivamente influenzata dalle posizioni anti-russe dei Paesi Baltici e della Polonia, i quali spesso usufruiscono del sostegno «esterno» di Washington per l’implementazione dei propri obbiettivi di politica estera.
Di conseguenza, la prossima sfida per Bruxelles potrebbe essere quella di armonizzare e sintetizzare le istanze, oggi divergenti, del blocco russo-fobico e del blocco «russofilo», trovando un equilibrio che rassicuri il primo, preoccupato dalla pressione economica esercitabile dal Cremlino, senza pregiudicare gli interessi di tutti i membri dell’Unione.
In questo senso, è chiaro come gli scenari «Conflitto Congelato» e «Guerriglia» costringano l’UE a proseguire ed inasprire la linea dura nei confronti del Cremlino, esacerbando i danni e le tensioni politiche derivanti dalle sanzioni.
Lo scenario «Secessione» spianerebbe la strada al dossier di integrazione dell’Ucraina in Europa, ma la probabile risposta russa non farebbe altro che posporre le criticità precedentemente evidenziate senza risolverle definitivamente.
 
Appare evidente, dunque, che un ripensamento strategico dei rapporti con Mosca possa essere possibile soltanto recidendo o riducendo al minimo i legami economico-politici oggi in vigore.
Questo vuol dire sostanzialmente differenziare l’approvvigionamento energetico, cercare nuovi mercati per l’esportazione, individuare nuovi capitali da attrarre in Europa e aumentare le spese per la Difesa in risposta al probabile incremento dell’assertività russa.
Alcuni di questi cambiamenti, quale quello energetico, sono rischiosi e necessitano molti anni per la realizzazione.
Infatti, bisogna trovare fornitori affidabili quanto la Russia, che offrano condizioni economiche complessive come la Russia e che siano stabili politicamente come la Russia.
Inoltre, bisogna costruire nuove infrastrutture per diversificare le forniture. In sintesi, emanciparsi dalla Russia necessita tempo ed investimenti.
Tale strada è percorribile, ma nel lungo periodo, fattore che impone a UE e Paesi europei singolarmente intesi di dover essere disposti al compromesso con Mosca almeno nel breve-medio periodo.
Per quanto riguarda i capitali stranieri, ci sono Cina, Paesi Arabi e India che dispongono di grande liquidità, ma che potrebbero condizionare le scelte di politica estera europea in Asia e nel Medio Oriente tramite profonde azioni di lobbying e influenza.
Infine, per quanto riguarda l’incremento delle spese alla Difesa, l’attuale congiuntura economica europea impone una razionalizzazione della spesa per la Difesa.
Pensare ad investimenti massicci per far fronte ad uno scenario da Guerra Fredda appare difficile e politicamente poco sostenibile.
 
In base a queste considerazioni, lo scenario «Federalizzazione», se implementato con le adeguate garanzie, potrebbe soddisfare anche le necessità europee, dimostrando il sostegno all’integrità territoriale ucraina e, nello stesso tempo, al diritto di autodeterminazione dei popoli.
Quest’ultimo, in particolare, è un dossier sensibile in un momento storico come quello attuale. L’Europa può contribuire in modo significativo al percorso di valorizzazione dei poteri locali in Ucraina, restando contemporaneamente coerente con i propri principi e le proprie prassi e metodologie politiche.
Basti pensare a come i membri UE hanno affrontato in passato il dossier del separatismo basco, delle autonomie in Italia e della federalizzazione tedesca e come, adesso, si confrontano con l’indipendentismo scozzese e quello catalano.
La pacificazione ucraina su un modello federale condiviso permetterebbe la de-escalation del conflitto, la fine delle sanzioni e, dunque, la ripresa economica, senza necessariamente chiudere le porte all’integrazione europea di Kiev. Anzi, questa potrebbe essere un’occasione per valutare nuovi modelli di partnership confacenti le specifiche necessità dei singoli candidati.
Infine, una pacificazione dell’Ucraina avvenuta grazie ad un attivo e unitario ruolo dell’UE potrebbe essere la prima, vera occasione in cui Bruxelles si dimostra coesa e compatta nell’affrontare una criticità di politica estera.
La risoluzione della crisi ucraina, dunque, rappresenta un’opportunità per avviare una conduzione internazionale europea originale e maggiormente indipendente dalle sollecitazioni o dalle necessità strategiche degli Stati Uniti.
Infatti, per quanto convintamente alleati, Bruxelles e Washington possono, talvolta, avere visioni, bisogni, obbiettivi e strategie diverse nell’arena internazionale.
 
Bisogna sempre ricordare come l’attuale situazione di instabilità in Ucraina, oltre ad essere conseguenza di una rivolta interna contro la cleptocrazia delle classi dirigenti, è stata ampiamente sospinta da Washington per propri obbiettivi di politica estera.
Euromaidan, in questo senso, rappresenta la continuazione di un’opera di influenza iniziata sin dal 1991 e che aveva avuto un suo, primo exploit con la Rivoluzione Arancione del 2004.
Inoltre, pare ormai assodato che sul territorio ucraino, sin dai primi giorni della crisi e fino all’escalation della guerra nel Donbass, sono presenti società di sicurezza e consiglieri militari alle dipendenze di Washington.
La strategia di Washington appare abbastanza chiara nel proprio obbiettivo di impantanare la Russia in un conflitto per metà interno (se si considera la prossimità geografica, culturale e politica di quella porzione di spazio post-sovietico) e per metà internazionale.
Lo scopo è quello di ridurre sempre più l’influenza del Cremlino nella sua tradizionale sfera d’influenza. L’opera di ridimensionamento della potenza russa riguarda anche il raffreddamento delle relazioni tra Mosca e Bruxelles, nel tentativo di scongiurare la nascita o il rafforzamento di partnership eurasiatiche.
quella centralità negli affari europei erosasi gradualmente negli ultimi 10 anni. Tra gli obbiettivi di lungo periodo di Washington ci sono quello di massimizzare le criticità sistemiche della Russia e, nello stesso tempo, provare a sostituirsi ad essa quale maggiore provider energetico per l’Europa.
Tuttavia, la presunta ricchezza costituita dallo shale gas ha moltissime criticità e rischia di presentare pericolosi inconvenienti.
 
Nell’implementare la strategia di ridimensionamento dell’influenza e della potenza russa in Europa, anche Washington ha utilizzato l’arma delle sanzioni, consapevole di essere meno esposta all’effetto boomerang rispetto all’Europa, (il commercio tra Stati Uniti e Russia è pari ad 1\10 di quello tra Europa e Russia) e, soprattutto, non dovendo gestire le problematiche politiche e “territoriali” della crisi.
Non bisogna dimenticare la dimensione propagandistica del confronto tra Stati Uniti e Russia. In un momento nel quale, per ragioni diverse, la popolarità e la legittimità di Washington sono in grave difficoltà, lo scontro con Mosca potrebbe essere un tentativo di frenare la diffusione dell’anti-americanismo globale e della perdita di consenso tra nuovi e vecchi partner.
Infine, una menzione particolare merita la NATO che, al pari dell’UE, appare divisa tra nuovi e vecchi membri. Infatti, anche l’Alleanza Atlantica ha visto crescenti contrasti tra la «vecchia guardia», che non si sente minacciata dalla Russia e che ha trovato un certo equilibrio di relazioni con il Cremlino, e le «nuove leve», quei Paesi dell’Europa Orientale russofobiche fino al limite dell’isteria.
Per i primi, la NATO potrebbe continuare ad avere un approccio conservatore, mantenendo gli attuali compiti e Stati, mentre per i secondi urge un atteggiamento più incisivo nei confronti di Mosca ed un nuovo round di allargamento, presumibilmente includendo Georgia e Ucraina.
 
In questo senso, il summit in Galles del 5 settembre scorso ha rappresentato una sintesi tra le due correnti. Infatti, l’Alleanza ha effettuato una forte condanna del comportamento russo in Ucraina ed ha disposto il rafforzamento della frontiera orientale tramite la creazione di una forza di allerta rapidissima di 3-4.000 uomini.
Tuttavia, quest’ultima disposizione ha un valore simbolico più che militare e rappresenta una «riassicurazione» per i membri baltici e per la Polonia.
Ben più importante è stata la decisione, presa a margine del summit ma non in ambito NATO, di inviare armi ed equipaggiamento alle FA ucraine. Comuqnue, anche in questo caso, è apparsa la volontà atlantica di non rimanere sorda alla richiesta di aiuto da parte di Kiev ma, al contempo, non impegnarsi eccessivamente dal punto di vista politico-strategico.
In sintesi, la NATO non intende scatenare una guerra contro la Russia per l’Ucraina e viceversa, il Cremlino non intende andare alla scontro con il suo vecchio nemico strategico.
Il summit gallese, dunque, ha rappresentato una sorta di ricerca di credibilità in Europa anche se, purtroppo, non risolve i dilemmi e la crisi d’identità di un’Alleanza che, nonostante sia ancora molto popolare, con la caduta dell’URSS e l’affiorare di nuove minacce alla sicurezza globale ha perso la sua ragion d’essere, senza essere ancora riuscita a re-inventarsi e a dotarsi di un valido nuovo concetto strategico al passo con i tempi.
Quindi, riesumare lo spettro dell’aggressività russa appare una soluzione temporanea e di ripiego, quasi un’espediente retorico e d una ricerca di senso in modelli e dinamiche politiche superati dal tempo. 
 

 
 Opportunità e rischi per L’Italia
Il caso ha voluto che nella fase più delicata della crisi in Ucraina all’Italia spettasse la Presidenza di turno dell’Unione Europea. A questa responsabilità internazionale così particolare, si affianca il risultato delle ultime elezioni europee, che ha visto la netta affermazione in Italia di un partito di comprovato europeismo. Tale esito ha assunto ancor più significato nel contesto di una tornata elettorale che ha visto la crescita di formazioni euroscettiche in tutto il continente.
Questa contingenza hanno messo in condizione il nostro Paese, fortemente europeista e contemporaneamente in ottimi rapporti con la Russia, di guidare un’Unione Europea divisa sulla crisi ucraina, dandogli la possibilità di mediare tra interessi e priorità apparentemente confliggenti.
Per quanto riguarda la dimensione europea, l’Italia potrebbe fungere da ago della bilancia tra il blocco che vuole una distensione con la Russia ed il blocco che intende continuare con la massima durezza. In questo senso, la nomina del Ministro degli Affari Esteri Federica Mogherini ad Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza dell’Unione ha rappresentato un segno di fiducia europea verso la capacità italiana di mediazione.
Come avvenuto in sede NATO, Bruxelles e l’Italia dovrebbero promuovere una strategia volta a rassicurare i membri orientali, pur cercando di mitigare le loro preoccupazioni e la loro retorica anti-russa.
 
Nello stesso tempo, occorre valutare con estrema cautela, prudenza e gradualità il meccanismo di integrazione dell’Ucraina, poiché, le condizioni economiche e politiche che caratterizzano il Paese oggi rappresenterebbero un peso per l’Unione, anziché un’opportunità.
Inoltre, l’Europa deve confrontarsi con una leadership, quale quella di Kiev, ambiguamente legata all’universo ultra-nazionalista e neo-nazista.
Senza una netta presa di posizione ed un distanziamento del governo dalle formazioni e dalle milizie estremiste di destra, diventerebbe politicamente sempre più difficile la difesa e il sostegno dell’attuale establishment ucraino.
 
Per quanto riguarda la dimensione prettamente nazionale, l’Italia, in quanto interlocutore privilegiato di Mosca, potrebbe spingere affinché la Russia ammorbidisca alcune sue posizioni ed accetti una significativa de-escalation militare.
La de-escalation rappresenta l’unica condizione che permetterebbe la riduzione delle sanzioni. Infatti, non bisogna mai dimenticare che la guerra economica tra Bruxelles e Mosca ha fortemente colpito i nostri interessi nazionali, causando una terribile contrazione delle esportazioni ed una perdita stimata, nel peggiore dei casi, di 2,4 miliardi di euro per il biennio 2014-2015.
In generale, l’intercambio commerciale italo-russo è stato nel 2013 di circa 40 miliardi di euro. A questa contrazione bisognerebbe aggiungere gli eventuali costi, non ancora calcolati, di una riduzione del flusso o di un innalzamento del costo di petrolio e gas russi, dai quali l’Italia dipende per circa il 45% del proprio fabbisogno (30% gas, 15% petrolio).
Appare evidente che questi numeri non possono essere neppure paragonati a quelli dell’interscambio italo-ucraino (3,7 miliardi di euro) .
La necessità di trovare una soluzione pacifica e rapida alla crisi ucraina deriva anche dalla altre problematiche che interessano oggi la politica estera del nostro Paese, a cominciare dalla situazione nel Maghreb e nel Mediterraneo nonché dalla proliferazione del terrorismo jihadista in Medio Oriente.
Oggettivamente, si tratta di dossier che, al momento, costituiscono una minaccia maggiore per la sicurezza nazionale.
Ad esempio, basti pensare al caso libico. Lo scoppio della crisi seguito alla destituzione di Gheddafi e l’anarchia che oggi caratterizza la Libia sono alla base della riduzione del flusso di petrolio verso il mercato italiano e, di conseguenza, dell’aumento della domanda di petrolio russo, con tutte le esternalità politiche evidenziate in precedenza.
Quindi, la pacificazione di Tripoli permetterebbe una ripresa dei regolari rapporti commerciali e del regolare approvvigionamento di petrolio e permetterebbe un alleggerimento della dipendenza dalla Russia. 
 

 
 Conclusioni e raccomandazioni
L’analisi della crisi ucraina e le possibili implicazioni future sia a livello nazionale che a livello internazionale hanno messo in evidenza come lo scenario «Federalizzazione» potrebbe rappresentare un’adeguata mediazione tra le istanze dell’attuale governo di Kiev, i separatisti ed i rispettivi sostenitori internazionali.
Le caratteristiche geopolitiche, culturali ed economiche del Paese lo rendono un «valico di frontiera» tra il mondo europeo e il mondo russo, con tutte le criticità e le opportunità che ne derivano.
Quindi, se la crisi ha messo in evidenza gli aspetti negativi di questa dimensione confinaria dell’Ucraina, il piano di pace, di ricostruzione e di integrazione sociale potrebbe esaltarne gli aspetti positivi.
In definitiva, la strategia del ponte euro-russo, costantemente ricercata sia dalle oligarchie che dalla classe dirigente ucraina ma mai realmente cristallizzata in un modello standardizzato di lungo periodo, potrebbe essere la risposta ad oltre 10 mesi di tensioni.
Per la realizzazione di tale progetto, è necessario tanto il contributo degli attori nazionali, nazionalisti e filorussi, quanto il compromesso tra UE, Russia e Stati Uniti.
Tuttavia, essendo la crisi ucraina una crisi prettamente europea, se Bruxelles vuole dimostrare la volontà di una ritrovata maturità politica, potrebbe porsi al centro del negoziato con Mosca, riducendo al minimo l’influenza statunitense.
Se il futuro di Kiev sarà deciso da un confronto politico tra Washington e il Cremlino, con l’UE a fare da semplice spettatore, l’intero movimento europeista dovrà necessariamente dubitare di alcune sue certezze. Le sanzioni, pur nel tentativo di porre un freno all’assertività russa, possono creare vicendevoli danni ad entrambi i blocchi e, soprattutto, all’Ucraina.
Inoltre, queste rischiano di polarizzare il confronto tra UE\Stati Uniti da una parte e Russia\Cina dall’altro. Sinceramente, appare difficile immaginare, in un mondo economicamente globalizzato, meccanismi di segregazione politica internazionale.
Inoltre, al di là delle retorica occidentale, la Russia non è isolata a livello internazionale e, anzi, ha cercato di ammortizzare il peggioramento dei rapporti con l’Ovest rafforzando i legami con Cina, Africa e Paesi BRICS. Non è un caso che, lo scorso luglio, sia nata la New Development Bank (NDB), l’istituto di credito internazionale dei BRICS, avente lo scopo di emancipare i Paesi membri dai vincoli finanziari e politici della World Bank e del FMI.
In questo senso, qualora le sanzioni finanziarie occidentali mettano in difficoltà Mosca, non è da escludere che la NDB possa offrire un canale alternativo di finanziamento.
Inoltre, non bisogna dimenticare che il Cremlino potrebbe rispondere a nuove sanzioni con altrettante rappresaglie, quali il blocco dell’export europeo di autoveicoli e capi d’abbigliamento, la fornitura di sistem8i d’arma complessi a Stati nemici dell’Occidente, la cessazione della cooperazione in materia di contro-terrorismo ed intelligence.
 
In definitiva, per risolvere la crisi ucraina occorrerebbe un approccio condiviso da parte di UE e Russia, in modo da trasformare il Paese da terreno di battaglia a terreno di cooperazione tra i due mondi.
Una rinnovata intesa tra Europa, Stati Uniti e Russia sarebbe funzionale ad affrontare il nemico comune costituito dall’estremismo islamico e dal terrorismo jihadista.
Inoltre, una eventuale intesa sull’Ucraina potrebbe condurre ad inaspettati sviluppi su dossier quali la Siria e il nucleare iraniano.
Per queste ragioni, è possibile immaginare alcune ipotetiche iniziative per favorire il processo di pace, la ricostruzione del Paese e il riassestamento dei rapporti tra UE e Russia. 
 
Per quanto riguarda lo specifico della crisi:
1) Prosecuzione del cessate-il-fuoco secondo le condizioni dell’accordo di Minsk del 5 settembre 2014
2) Istituzione di una zona de-militarizzata di 10 km lungo il fronte in base alle situazione sul campo del 5 settembre 2014. Tale zona-de-militarizzata potrebbe essere sorvegliata da personale OSCE o da una forza di peacekeeping delle Nazioni Unite con partecipazione di personale europeo e russo. Un simile contingente potrebbe altresì controllare il confine russo-ucraino.
Nel caso di centri urbani contesi tra governo e separatisti, immediata evacuazione di ogni forza militare e controllo degli stessi da parte di OSCE o Nazioni Unite o altra forza autorizzata da risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU (CdS).
3) Scambio o restituzione di tutti i prigionieri di guerra.
4) Autorizzazione al passaggio di convogli umanitari provenienti dall’estero previo controllo della Croce Rossa o di altri organizzazioni internazionali riconosciute dalle parti.
5) Immediata interruzione di supporto logistico, addestrativo e di unità ai separatisti da parte di Paesi terzi. Nel caso della Russia, misure volte a scoraggiare o addirittura impedire l’afflusso di volontari nelle regioni ribelli.
6) Interruzione nell’invio di materiale militare, anche se non letale, e di addestratori militari al governo ucraino da parte di Paesi terzi. Adozione di misure volte a limitare od impedire l’’afflusso di volontari stranieri al fianco delle FA ucraine.
7) Interruzione delle esercitazioni militari russe al confine ucraino e rientro o sensibile riduzione (entro e non oltre 5.000 uomini) delle unità ivi schierate. Interruzione nell’afflusso di armi e personale militare in Crimea. Limitazione del contingente russo a 5000 uomini.
Nel caso del rispetto di queste condizioni, è possibile pensare ad una sospensione del pacchetto sanzionatorio nei confronti della Russia approvato dall’UE ed entrato in vigore lo scorso 12 settembre.
Come segno di buona volontà Mosca potrebbe prorogare i termini per il pagamento dei debiti sul gas e garantire all’Ucraina un approvvigionamento minimo per evitare emergenze diffuse e disagi alla popolazione civile con l’avvicinarsi dei mesi freddi.
 
Per quanto riguarda il processo di re-integrazione dei separatisti e ricostruzione dell’Ucraina:
1) Rinuncia alle pretese separatiste e riconoscimento dell’integrità territoriale ucraina da parte dei ribelli del Donbass.
2) Istituzione di una Commissione d’indagine sui crimini di guerra e le atrocità commessi sia dalle milizie ribelli che dall’Esercito Ucraino ai danni della popolazione civile.
3) Modifica della Costituzione ucraina in senso federalista, con ampi poteri in termini amministrativi, finanziari, economici e culturali garantiti alle entità federate. Possibile pensare anche ad una Rada reimpostata su più incisive basi federali.
4) Introduzione di riforme volte a migliorare il rispetto e la tutela dei diritti civili e politici della popolazione.
5) Introduzione di una legge contro l’estremismo politico, con particolare enfasi su propaganda e proselitismo neo-fascista, neo-nazista e stalinista.
6) Conferma dello status di “non-allineamento” internazionale del Paese ed estraneità ad eventuali blocchi militari. Possibilità di discutere la neutralità permanente.
7) Rinuncia a qualsiasi progetto di costruzione di armi nucleari da parte del governo ucraino. 
 
Per quanto riguarda il ruolo di Ue e Russia:
1) Formazione di una commissione congiunta Ucraina-Russia con la mediazione dell’UE riguardante lo status della Crimea. Una delle strategie possibili potrebbe essere quella di riconoscere il risultato del referendum oppure organizzarne un altro monitorato da osservatori ucraini, russi e dell’OSCE. In caso di conferma dell’annessione della Crimea alla Russia, il Cremlino potrebbe concedere una forma di indennizzo a Kiev, consistente nell’abbassamento del prezzo del gas e nel pagamento di una riparazione per la perdita delle basi navali e degli introiti derivanti dall’affitto delle infrastrutture di Sebastopoli.
2) Individuazione di una formula ad hoc che concili l’area di libero scambio europeo e l’area di libero scambio all’interno dell’Unione Eurasiatica. Infatti, se i precari equilibri economici ucraini e la contemporanea spinta verso Russia ed Europa sono tra le cause più marcate del conflitto, Mosca e Bruxelles potrebbero sperimentare una tipologia di accordo che massimizzi i vantaggi di Kiev e minimizzi i danni alla sua economia. Ad esempio, si potrebbe individuare una paniere di beni e servizi esclusi dai protocolli o sottoposti a speciali norme doganali.
3) Creazione per un piano di smilitarizzazione del Mar d’Azov
4) Costituzione di un progetto di sfruttamento congiunto delle risorse ittiche e idrocarburiche del Mar d’Azov.
5) Contribuzione europea e russa alla ricostruzione del Donbass tramite prestiti agevolati ed aiuti umanitari. 
 
Infine, per quanto riguarda l’Italia:
1) Promozione della mediazione tra Ucraina e Russia sia come Paese presidente di turno dell’UE sia individualmente.
2) Promozione di un piano di riconciliazione nazionale ucraina e ripristino dei rapporti euro-russi sulla base dei punti precedenti.
3) Adozione di una strategia volta ad alleggerire le sanzioni alla Russia, previo il rispetto di determinate condizioni ostative, e scongiurare i danni all’economia nazionale derivanti dalla contrazione dell’export.
4) Legare i buoni uffici diplomatici con Russia ed Ucraina ad una ri-negoziazione dei trattati commerciali con entrambi i Paesi. In particolare, con Mosca, sviluppo di una complesso di accordi volti alla riduzione del prezzo del gas, riduzione dei dazi sui prodotti italiani, creazione di meccanismi burocratici volti a favorire il business climate ed i reciproci investimenti.
5) Implementazione di una efficiente strategia nazionale di differenziazione delle forniture energetiche e di esportazione verso i mercati emergenti allo scopo di ridurre il peso della Russia negli affari economici italiani 
 
Marco Di Liddo (Ce.S.I)
Fine - (Precedente)

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