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«La guerra che verrà/ non è la prima» – Inaugurata la mostra

La cerimonia al MART di Rovereto, alla presenza del Ministro Dario Franceschini e delle autorità trentine

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La direttrice del MART, Cristiana Collu.
 
Presso il MART, il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, venerdì 3 ottobre 2014 è stata presentata in anteprima la mostra «La guerra che verrà non è la prima. Grande guerra 1914-2014» che rimarrà aperta al pubblico dal 4 ottobre 2014 fino al 20 settembre 2015.
Realizzata con il Patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Struttura di missione per gli anniversari di interesse nazionale), in collaborazione con importanti istituzioni culturali nazionali, costituisce la colonna portante del grande progetto Mart/Grande guerra 1914-2014 che si sviluppa nelle tre sedi del Museo e si completa con un programma collaterale di eventi, incontri, convegni, appuntamenti.
 
La mostra, un progetto diretto da Cristiana Collu, direttore del museo, a cura di Nicoletta Boschiero, Saretto Cincinelli, Gustavo Corni, Gabi Scardi, Camillo Zadra, in collaborazione con esperti di storia e arte contemporanea, è stata introdotta dalla giornalista Maria Concetta Mattei, membro del Consiglio di amministrazione del MART, la quale ha dato il benvenuto al folto pubblico in sala, ponendo alcune domande alle personalità presenti.
Andrea Miorandi, sindaco di Rovereto, ha ricordato come la Città della Quercia sia stata fronte di guerra e si è augurato che questa straordinaria mostra sia non solo un’opportunità per costruire cultura, ma possa essere anche spunto per una riflessione profonda.
Ilaria Vescovi, presidente del MART, ha salutato calorosamente e ringraziato le autorità presenti: l’on. Dario Franceschini, ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Tiziano Mellarini, assessore alla cultura, cooperazione, sport e protezione civile e Ugo Rossi, presidente della Provincia autonoma di Trento.
Ha poi sottolineato quanto sia stato importante e coraggioso questo lavoro durato due anni. Un lavoro eccellente, che ancora una volta conferma la grande qualità che questo museo ha espresso e continua a esprimere non solo in Trentino, ma in tutto il panorama nazionale e internazionale.
«Siamo un polo culturale che cerca di creare eccellenza, non solo sul nostro territorio, ma nel mondo» rimarca Ilaria Vescovi, invitando ad assaporare una mostra che regala emozione.
 
Maria Concetta Mattei si è rivolta quindi a Ugo Rossi ricordandogli quanto questo museo sia motivo di orgoglio, una splendida realtà mondiale che contiene tanti spunti non solo artistici.
E il Presidente, sicuro che la mostra sarà un grande successo, ha ringraziato per la sua presenza l’on. Dario Franceschini, ricordando al ministro quanto la popolazione del Trentino viva la celebrazione del centenario come un fatto importante, anche rispetto alla storia di oggi.
Ha sottolineato inoltre quanto l’assessore Mellarini sia impegnato nel garantire che questo centenario diventi uno strumento di riaffermazione di valori importanti, come quello della pace, rammentando il ruolo assunto negli anni dalla città di Rovereto, ambasciatrice della pace nel mondo.
Ha poi continuato, dicendo che l’inaugurazione della mostra assume proprio questo particolare significato, facendo presente che, naturalmente, non basta l’assenza di guerra perché ci sia pace, ma serve un grande impegno quotidiano nella coesione sociale, nell’attenzione a chi resta indietro, non dimenticando che - come il Trentino cerca sempre di fare - se pur piccoli siamo all’interno di un mondo globale.
Ha ricordato inoltre quanto per noi trentini la Grande guerra abbia un significato ancora più forte; qui l’unione di due culture diverse ha nel tempo determinato, infatti, un’identità particolare.
Rossi ha menzionato poi al ministro una proposta già espressa, rinnovando la disponibilità a ospitare a Rovereto, per esempio, un evento di chiusura del centenario. Un modo, questo, per far sì che queste celebrazioni possano venir utilizzate per guardare al futuro, rappresentando un messaggio di pace e fratellanza, non di divisione.


Paolo Ventura, reggimento che va sotto terra.
 
Cristiana Collu ha ringraziato, emozionata, le persone che hanno collaborato a questo progetto e che si sono spese per affrontare un tema articolato come questo, preoccupandosi di restituire comunque sempre la verità.
«La guerra mette in luce che in ognuno di noi si annida una malvagità che può venire in superficie, – afferma. – Quello che dobbiamo governare quindi è il limite che invece la guerra oltrepassa.»

Nicoletta Boschiero ha raccontato come mai sono stati scelti per questa mostra i colori rosa e verde: questi colori, volutamente sbiaditi dai toni tenui, ricordano il verde delle divise militari e il rosso del sangue versato, simboli della guerra.
«Questa distorsione percettiva è quella che noi abbiamo un secolo dopo – ha detto, – il museo si fa carico di rimettere a fuoco i colori originali.»
 
 
 
Il ministro Dario Franceschini ha definito la mostra «straordinaria, che ricorda in maniera molto efficace il dramma di quegli anni».
«L’esposizione si allontana dalla semplice riflessione sulla storia e offre uno sguardo più complesso sull’attualità del conflitto, ancora oggi al centro del dibattito contemporaneo, attraverso lo sviluppo di contributi complementari fra loro.
«La Prima guerra mondiale, di cui ricorre il Centenario, tra gli eventi più drammatici e significativi della storia, rappresenta dunque il punto di partenza di un’indagine più ampia che attraversa il XX secolo e arriva ai conflitti dei nostri giorni. Una guerra che ha cambiato per sempre anche le sorti del Trentino e modificato i confini europei.»
 
Il ministro ha fatto capire che questa regione è divenuta il punto chiave della commemorazione della Grande guerra sostanzialmente per due motivi.
Innanzitutto perché qui la guerra è scoppiata un anno prima e poi tutte le grandi battaglie, compresa Caporetto, si sono svolte in territori oggi al di là del confine.
Inoltre il Trentino ha ricostruito un po’ tutte le grandi fortificazioni austriache. Fatte allora per arrestare il nemico, non per combatterlo, va ricordato. Solo la folle voglia di gloria ha spinto i generali a combattere in un territorio dove il fronte non avrebbe mai subito modifiche significative.
 


Una riflessione sul conflitto scoppiato cento anni fa che è costato la vita a 15 milioni di uomini, troppi esseri umani per poter essere dimenticato.
Una guerra ancora fortemente presente nella memoria collettiva del Trentino.
L’Austria in quel lontano 28 luglio 2014 dichiarò guerra alla Serbia e dopo pochi giorni, in seguito a un folle concatenarsi di meccanismi inarrestabili, seguì l’ordine di mobilitazione generale.
Furono nove i reggimenti partiti dal Tirolo, soldati di lingua italiana e tedesca, mandati sul fronte serbo e russo. Il Trentino faceva parte allora dell’Impero austro-ungarico e da questa regione partirono per il fronte orientale ben sessantamila soldati (su una popolazione di quattrocentomila persone circa), diretti nelle regioni della Galizia e dei Carpazi per combattere i russi. E senza sapere né dove fosse la Galizia e perché vi si combattesse una guerra…
Questi uomini dovettero abbandonare le proprie case, i propri affetti.
Molti di loro furono fatti prigionieri.
Ne morirono ben undicimila quattrocento.
I reduci vennero volutamente dimenticati dall’Italia, che fece fatica a capire che non eravamo stati nemici.
 
Nel 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria e molti trentini dovettero lasciare la propria terra, in un’evacuazione di massa coatta.
Anche questa è storia, una storia triste che noi tutti vorremmo poter dimenticare, o meglio, dovremmo ricordare affinché nulla di simile possa più ripetersi.
E qui si inserisce a perfezione la celebre poesia di Bertolt Brecht che dà il titolo alla mostra: «La guerra che verrà non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente».
Il Museo costruisce una narrazione sul tema di Brech, dalla quale scaturisce un intenso viaggio che affonda le sue radici nelle guerre di un secolo, ritrovandosi nella più tragica storia recente.
 

 
Il percorso espositivo lascia emergere l’evento come risultato di una composizione in cui l’arte si confronta con la storia, la politica e l’antropologia.
Ricorrendo a una sorta di complesso montaggio tematico e temporale, l’esposizione evita di seguire un preciso filo cronologico, dimostrando - tramite inediti accostamenti e cortocircuiti semantici - come tutte le guerre siano uguali e, allo stesso tempo, come ogni guerra sia diversa.
L’intento non è quello di inventariare i conflitti di ieri e di oggi, né quello di misconoscere le irriducibili differenze storiche, ma la volontà di mantenere aperta la ricerca e la riflessione in un luogo in cui ricordare non significhi ridurre un evento a qualcosa di pietrificato, archiviato e definitivamente sigillato in se stesso ma, all’opposto, riveli interpretazioni e riletture capaci di esprimerne tutta la complessità.
 
L’arte entra in contatto con la quotidianità, i capolavori delle avanguardie dialogano con la propaganda, la grammatica espositiva completa e rinnova il valore di documenti, reportage, testimonianze.
Installazioni, disegni, incisioni, fotografie, dipinti, manifesti, cartoline, corrispondenze, diari condividono gli oltre tremila metri quadrati del piano superiore del Mart e si misurano con sperimentazioni artistiche più recenti, installazioni sonore, narrazioni cinematografiche: documentari originali, video e film.
Esposti anche numerosi reperti bellici impiegati nella Prima guerra mondiale, il cui ritrovamento è il capitolo più recente di una vicenda ancora attuale, nella quale ogni oggetto racconta la propria storia.
Il progetto allestitivo, realizzato dal designer catalano Martí Guixé, traduce le due anime della mostra, storica e contemporanea, costruendo un palinsesto che tiene insieme follia, disordine ritmo, luce e speranza.
Alle espressioni della contemporaneità è affidato il compito di amalgamare e scandire il percorso e i tempi della visita. Ne scaturisce una visione trasversale che tiene conto dei punti di vista della storia, dell’arte e del pensiero contemporaneo che contestualizza il passato.
Un racconto sulla guerra e della guerra.
 

 
L’allestimento è realizzato senza soluzione di continuità, affinché il visitatore scelga autonomamente da quale ingresso cominciare il proprio percorso e come costruirlo, affrontando la mostra e il suo tema in totale libertà.
Ciò risulta indispensabile in un’esposizione tanto complessa, che emoziona, turba, disturba ma allo stesso tempo concilia e mette l’essere umano in contatto con una delle sue componenti più viscerali e oscure.
«La guerra che verrà non è la prima» è una mostra vertiginosa nella quale si sviluppano sottotesti tematici, focus narrativi e affondi mirati, una trama di linguaggi tra i quali spicca a più riprese, filo rosso tra i fili che la mostra intreccia, il Futurismo.
L’esposizione presenta alcuni capolavori storici provenienti dalle collezioni del Mart fra i quali opere di Giacomo Balla, Anselmo Bucci, Fortunato Depero e Gino Severini.
Una lunga serie di prestigiosi prestiti nazionali e internazionali provenienti da collezioni pubbliche e private e gallerie completa il progetto.
Numerose, inoltre, le opere di artisti che hanno vissuto il dramma della Grande guerra, la lista comprende, oltre ai già citati maestri dell’avanguardia italiana, Max Beckmann, Marc Chagall, Albin Egger-Lienz, Adolf Helmberger, Osvaldo Licini, Arturo Martini, Pietro Morando, Mario Sironi ed è integrata dai lavori di registi dell’epoca come Filippo Butera, Segundo de Chomón, Abel Gance.
Tra gli artisti impegnati direttamente nel conflitto, un approfondimento è dedicato al fotografo cecoslovacco Josef Sudek.
La guerra è raccontata non solo come esperienza vissuta in prima persona, ma anche come pensiero ricorrente nella ricerca di molti artisti tra cui Lida Abdul, Enrico Baj, Yael Bartana, Alberto Burri, Alighiero Boetti, Pascal Convert, Gohar Dashti, Berlinde De Bruyckere, Paola De Pietri, Harun Farocki, Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, Alfredo Jaar, William Kentridge, Mateo Maté, Adi Nes, ORLAN, Sophie Ristelhueber, Thomas Ruff, Anri Sala, Artur Zmijewski.
Vengono inoltre presentate le migliori produzioni di alcuni artisti inediti al pubblico italiano come la serie completa delle 15 xilografie di Sandow Birk che misurano oltre due metri e mezzo l’una.



Birk narra la guerra in Iraq rifacendosi alle 18 xilografie del ciclo Les Grandes Misères de la guerre di Jacques Callot (1633) alle quali si ispirò anche Francisco Goya per la realizzazione dei famosi Desastres de la guerra (1810-1815) sulla Guerra d’indipendenza spagnola.
La celebre installazione In Flanders Fields di Berlinde De Bruyckere viene presentata per la prima volta accanto alle fotografie storiche che l’hanno ispirata, provenienti dell’archivio fotografico del In Flanders Fields Museum di Ypres (Belgio), nel quale l’artista ha trascorso un periodo di residenza.
Vi si trovano l’intera serie «House beautiful: bringing the war home» di Martha Rosler, una tra le più note riflessioni sul rapporto fra guerra e media e l’«Atlantic Wall» di Magdalena Jetelová, installazione fotografica sui bunker della Seconda guerra mondiale, ispirata ai testi del filosofo francese Paul Virilio e l’installazione Picnic o il buon soldato di Fabio Mauri con la quale l’artista aveva creato una sorta di natura morta utilizzando reperti originali e di uso comune del periodo bellico.
Paolo Ventura, artista in residenza al Mart già ospite della Casa d’Arte Futurista Depero nel 2013, ha realizzato un progetto context specific dal titolo «Un reggimento che va sottoterra».
Infine, è straordinariamente esposto, per la prima volta dopo il recente restauro, Guerra-festa di Fortunato Depero, proveniente dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. 
 
In occasione della mostra al Mart sono stati restaurati preziosi documenti d’archivio, opere, manifesti e reperti della Prima guerra mondiale provenienti dal Museo dell’aeronautica Gianni Caproni di Trento, dal Museo Civico del Risorgimento di Bologna, dalla Soprintendenza per i beni architettonici e archeologici della Provincia Autonoma di Trento e dalla Soprintendenza per i beni storici, artistici e etnoantropologici per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso – Collezione Salce.
 
Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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