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«Afterimage, rappresentazioni del conflitto»

Alla Galleria Civica di Trento la mostra sulla guerra, una presenza costante nella storia dell’umanità - Durerà fino al 1 febbraio 2015

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«Afterimage, rappresentazioni del conflitto» è il progetto vincitore di CXC Call for Curators, il bando nazionale per curatori under 35 indetto dal Mart lo scorso autunno.
L’interessantissima mostra, presentata dalle curatrici Valeria Mancinelli, Chiara Nuzzi e Stefania Rispoli, un percorso espositivo che rimarrà aperto al pubblico fino al 1 febbraio 2015, è stata inaugurata alla Galleria Civica di Trento (via Belenzani, 44) sabato 25 ottobre 2014, alla presenza di Margherita de Pilati, responsabile della Galleria Civica, di Cristiana Collu, direttore del Mart, e Andrea Robol, assessore alla cultura del comune di Trento.
Esso si snoda fra fotografie, installazioni e video e si inserisce in Mart/Grande guerra 2014, l’esaustivo programma culturale ideato dal Mart in occasione del Centenario della Prima guerra mondiale che si sviluppa a Trento e a Rovereto, in Museo e a Casa Depero.
Afterimage (il termine anglosassone afterimage descrive quell’illusione ottica per cui un’immagine continua a rimanere impressa nella mente anche dopo che la visione della stessa è cessata) abbraccia un ampio arco temporale che va dagli anni Cinquanta ai giorni nostri ed espone le potenzialità della rappresentazione pubblica delle immagini e la persistenza che queste hanno nella costruzione collettiva della realtà.
 

 
Una prima considerazione: viviamo in un mondo e in un’epoca in cui è virtualmente possibile seguire quanto accade intorno a noi in tempo reale(radio, televisione, internet ecc.).
La mostra si interroga su quale sia il ruolo assunto dalle immagini nella percezione collettiva di una condizione di pace o di guerra, cercando di fornire gli strumenti critici per analizzare e comprendere una realtà sempre più complessa, immagini che coinvolgono emotivamente chi non è sul campo di battaglia, ma che rendono in qualche modo complice lo spettatore che osserva la scena, magari seduto comodamente sul divano di casa, guardando un telegiornale, seguendo un servizio alla televisione o semplicemente navigando su internet, e che non lasciano a ogni modo mai indifferenti.
La guerra, una condizione costante nella storia dell’umanità, è stata affrontata da molti pensatori che hanno cercato di spiegarla.
Se essa sia un’inevitabile espressione dell’aggressività innata dell’uomo o se le cause che la generano siano invece politiche, sociali o culturali (non ha mai una sola causa, ma molte: dalle divisioni religiose ai contrasti economici e via di questo passo), poco importa. Stando innanzi alle immagini che la testimoniano si capisce quanto la pace sia un valore da perseguire, non dimenticando purtroppo, però, che molte delle conquisti civili di cui beneficiamo sono state ottenute proprio attraverso il conflitto armato. 


 
La seconda considerazione è che, sebbene tutti affermino di preferire la pace alla guerra, quest’ultima sia ancora fra noi, magari non proprio qui, ma a due passi da qui, comunque molto più vicina di quanto ognuno di noi sia disposto ad ammettere.
In Europa dopo le due ultime guerre mondiali, la guerra è tornata nell’ultimo decennio del Novecento, spazzando via ogni illusione.
In Africa, in Asia, in Medio Oriente e in altre zone del mondo è costantemente presente.
Ma la guerra non significa solo scontro armato, ma anche violenze di ogni tipo, poiché scatena una crudeltà che nemmeno gli animali più feroci possiedono, si trasforma in una macchina impazzita che sfugge al controllo di chi la conduce.
Quello che sta accadendo ora nel mondo sta cambiando radicalmente la prospettiva, la guerra sta diventando ora sempre più distruttiva, molto più di quanto un tempo si potesse solo immaginare, tuttavia essa non si esorcizza solo girandosi dall’altra parte, ma occorre studiare la realtà che ci circonda anche nei suoi aspetti più scomodi e terrificanti e questa mostra, certamente, offre proprio la possibilità di fermarsi a riflettere. 
 

 
Questo l’elenco degli artisti in mostra: Bisan Abu-Eisheh, Mohamed Bourouissa, Stefano Cagol, Mircea Cantor, Anetta Mona Chis¸a & Lucia Tká ová, Leone Contini, Marco Dalbosco, Camilla de Maffei, Democracia, Harun Farocki, Massimo Grimaldi, Adelita Husni-Bey, Lamia Joreige, Kennardphillipps, Thomas Kilpper, Aung Ko, Nikki Luna, Francesco Mattuzzi, Pietro Mele, Aditya Novali, Ahmet Ö üt, Fabrizio Perghem, Martha Rosler, Pietro Ruffo, Giorgio Salomon, Cindy Sherman, Abigail Sidebotham, Eyal Sivan, Hito Steyerl, ZimmerFrei.
 
Ha attirato l’attenzione del folto pubblico presente l’opera di Pietro Ruffo (foto qui sopra), Asian Spring, 2013, che raffigura un globo realizzato su più livelli, sul quale sono riportati gli slogan utilizzati durante la Primavera araba, maioliche dai colori vivaci e una sorta di «spilli» che simbolicamente rappresentano la rete internet, la quale ha avuto un ruolo importante nelle rivolte arabe.
Fra le varie opere esposte ha colpito la nostra attenzione quella di Francesco Mattuzzi, Future Archaeology, Base militare di Oush Grab, Betlemme, Palestina, 2010, due fotografie che ritraggono un sito smilitarizzato e occupato dai cittadini, i quali arrivando nelle strutture fotografate hanno avuto modo di riappropriarsi dello sguardo dell’oppressore, osservando la città dallo stesso punto di vista.
Non poteva passare inosservata la gigantografia di un artista sardo, il quale ha «trafugato» da internet un’immagine che ritrae un’esercitazione militare, realizzandola poi su grande scala e contemporaneamente collocandola abusivamente a Sassari all’interno di uno spazio pubblicitario, questo per sensibilizzare l’opinione pubblica sul fenomeno della militarizzazione del territorio sardo. 
 

 
L’interrogativo che nasce spontaneo posando gli occhi sulle installazioni, osservando le toccanti fotografie e gli emotivamente coinvolgenti video proposti (alcuni molto forti, come il documentario «The specialist» di Eyal Sivan, il processo Eichmann, ispirato al celebrre testo di Hannah Arendt La banalità del male) è se la guerra, innegabilmente un cancro da estirpare, sia o no un male necessario, talvolta, per difendere il proprio territorio allontanando gli usurpatori, ottenere la libertà, la difesa dei più deboli, ecc. o se la pace debba essere difesa costi quel che costi e se poi sia giusto combattere la guerra per difendere i diritti di persone che vivono molto lontano da noi, sostituendoci a quelle stesse persone che potrebbero anche non desiderare il nostro aiuto (alle volte dietro agli ideali si nascondono interessi molto meno nobili) o se, al contrario, sia assolutamente giusto farlo.
Domandarsi questo complica notevolmente l’idea che ci si fa della guerra, tuttavia seguendo i telegiornali, navigando in internet ecc. ci si rende conto più o meno consapevolmente che cercare vie alternative ai conflitti armati è diventata una necessità oggi più di ieri, considerata anche la prospettiva di una possibile guerra nucleare e non solo.
Basta soffermarsi su una qualsiasi delle foto proposte, come per esempio quella che ritrae una casa distrutta, The invisible montain - Sarajevo di Camilla de Maffei, indugiare sui filmati, come quello di Harun Farocki e Andrei Ujicǎ, Videograms of a Revolution, che narra i cinque giorni che hanno portato alla deposizione ed esecuzione del dittatore rumeno Ceausescu assieme alla moglie, meditare sul significato profondo di ogni opera in mostra, per capirlo.
 
Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it
 

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