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Il Museo della Guerra di Rovereto proroga la mostra sul Pasubio

Resterà disponibile fino al 6 gennaio 2015 la mostra «Pasubio 1915-1918»

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In occasione del Centenario della Grande Guerra, è prorogata fino al 6 gennaio 2015 la mostra «Pasubio 1915-1918» allestita dal Museo Storico Italiano della Guerra.
L’esposizione - aperta dal martedì alla domenica dalle 10 alle 18 nel Castello di Rovereto, sede del museo - è un viaggio a ritroso nel tempo, dall’oggi (contrassegnato da significativi lavori di recupero del patrimonio storico ma anche da una vasta sentieristica, in tutto 120 chilometri, che porta in quota a ridosso delle prime linee), al periodo, tra il 1915 e il 1918, quando sul massiccio al confine tra Trentino e Vicentino venne combattuta una cruenta guerra di posizione tra italiani e austro-ungarici che provocò circa 10 mila morti su una forza impiegata complessiva di poco meno di 100 mila soldati dei due eserciti.
Un bagno di sangue in una situazione che si contraddistinse per le condizioni climatiche spesso proibitive e la più lunga guerra di mine di tutto il fronte europeo.
Tanto che nel 1922 la parte sommitale del Pasubio venne proclamata dal governo «zona sacra» al pari del Monte Grappa, del Sabotino e del San Michele.
Foto, documenti, oggetti, video, memorie testimoniali mettono in luce tutto questo.   
 

 
 La guerra
Nel maggio del 1915, con l’entrata in guerra del Regno d’Italia e la creazione del fronte meridionale, il comando austro-ungarico decise l’arretramento della linea di difesa ritenendo inadeguato il sistema delle fortificazioni fin lì edificate e permettendo così all’esercito italiano di occupare il Pasubio pressoché senza colpo ferire.
Nel maggio 1916 una massiccia offensiva austro-ungarica (la cosiddetta Strafexpedition), partendo dallo Zugna e dal Pasubio, tentò di sfondare le linee difensive italiane per colpire il Regio esercito schierato sull’Isonzo. Sul Pasubio l’offensiva si esaurì in giugno e luglio in alcune battaglie durissime nella zona dei Denti,del Palon, del Cosmagnon, della Lora e sul Corno di Vallarsa, con pesanti perdite da una parte e dall’altra.
Tra gli scontri, la battaglia del 2 luglio, che ancor oggi viene ricordata ogni anno in una commemorazione al Sacrario di  Pian delle Fugazze, nel corso della quale gli austro-ungarici attaccarono il Dente italiano e cima Palon.
Tra morti, feriti e dispersi gli italiani persero 2797 uomini, gli austriaci 587. Tra il 9 e il 20 ottobre si concentrarono gli scontri più sanguinosi, quando i reparti italiani compirono ogni sforzo per occupare il Dente austriaco, presidiato dai battaglioni Kaiserjäger, vero caposaldo dell’esercito austro-ungarico risultato inespugnabile per tutta la durata della guerra.
 
Fino alla tarda primavera del ’17 sul Pasubio non vi furono più combattimenti. Gli eserciti cercarono di sopravvivere alla neve, al gelo e alle valanghe.
Nel frattempo il sottosuolo dei Denti italiano ed austriaco venne perforato in ogni direzione per realizzare gallerie destinate a deposito, ricovero per i soldati, posti di medicazione e comando, postazioni di artiglieria.
Nel sottosuolo iniziò anche la più lunga guerra di mine del fronte europeo. Complessivamente le esplosioni furono 10. La più terribile fu quella del 13 marzo 1918.
Una carica esplosiva di 50 mila chili posizionata in fondo ad una galleria lunga 270 metri fece franare la testa del Dente italiano.
Nel 1918, ultimo anno di guerra, gli italiani conquistarono il Corno Battisti (dove, nel 1916, era stato catturato l’irredentista trentino insieme a Fabio Filzi).
L’1 novembre i reggimenti Kaiserjäger ricevettero l’ordine di ritirarsi dal massiccio del Pasubio.   
 

 
 Il percorso della mostra
Come detto in precedenza, la mostra propone un percorso che dall’oggi conduce al periodo 1915-1918. Un presente contrassegnato da un turismo che, percorrendo i sentieri che arrivano in quota, coniuga cultura e montagna, ascese e visite a cimiteri, cippi, lapidi ma anche caratterizzato da una vasta opera di recupero del patrimonio storico della Grande Guerra ancora ben evidente sul massiccio (negli ultimi tre anni numerosi gli interventi: consolidamento della Strada delle 52 gallerie, ripristino della stazione di malga Busi, della teleferica e del rifugio Balasso, recupero dei camminamenti dei Denti italiano e austriaco, di cima Palon, del Cogolo Alto e della Selletta comando nonché del camminamento Ghersi, del cimitero della brigata Liguria).
Per arrivare fino alle vicende storiche che contraddistinguono la Prima guerra mondiale.
In sintesi, un viaggio a tutto tondo contraddistintosi anche, nel dopoguerra, per l’opera dei recuperanti alla ricerca di qualsiasi materiale bellico (dal legno al ferro, alle armi) da usare a fini personali o da vendere per sopravvivere alle ristrettezze alle quali erano sottoposte le popolazioni locali e, negli anni Venti, per un tentativo di sfruttamento sciistico della montagna tramontato nel secondo dopoguerra.

La mostra dà conto – attraverso foto, documenti, oggetti, video, memorie testimoniali – delle condizioni di vita dei soldati (decimati anche dalle valanghe e dalle frane), della logistica, dei mezzi di sostentamento, approvvigionamento e comunicazione, delle opere stradali realizzate e di quelle necessarie per garantire il rifornimento di energia e idrico.
Vennero predisposti infatti impianti idrici per sopperire alla mancanza d’acqua (il Pasubio è una montagna arida), realizzate linee elettriche, costruite teleferiche per portare uomini e materiali nelle varie postazioni, scavate mulattiere e strade camionabili tra cui, ad opera degli italiani, la strada delle 52 Gallerie, costruita nel 1916,  lunga 6.555 metri di cui 2.280 in galleria.
In definitiva la mostra intende mettere in evidenza i numerosi aspetti della guerra in montagna, le sue peculiarità, la considerazione ormai acquisita che il Pasubio deve gran parte della sua fama all’esser stato un campo di battaglia tra i più tormentati della Prima guerra mondiale. Zona di guerra alla quale Eugenio Montale, soldato in Vallarsa nella prima parte del conflitto, dedicò la poesia Valmorbia, in cui ricorda «le notti chiare» e «la terra ove non annotta».  
 
 

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