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Il Libano sotto minaccia dello Stato Islamico – Di A. Caivano

Il Libano ha un governo a base multi-confessionale in cui l’equilibrio attraversa un momento di profonda instabilità istituzionale

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Il rafforzamento dei gruppi armati jihadisti che operano sul confine tra Siria e Libano, primo fra tutti l’organizzazione qaedista Jabhat al-Nusra, e la recente avanzata dell’autoproclamatosi Stato Islamico (IS), ad oggi costituisce la minaccia più grande alla stabilità di un’area storicamente turbolenta come il Medio Oriente, creando un importante fattore di rischio per Beirut.
La crescita delle tensioni nelle aree del nord e dell’est del Libano [il contingente militare italiano opera nel Libano meridionale – NdR], dove l’afflusso di profughi dalla Siria ha aumentato esponenzialmente il pericolo di infiltrazioni jihadiste nel Paese, sembra oggi produrre gravi incognite per il governo libanese.
Ad esempio, a cavallo tra luglio e agosto, nella città di Arsal, situata al confine nord-orientale con la Siria, sono esplosi scontri tra l’Esercito libanese e un fronte jihadista composto da militanti di Jabhat al-Nusra, IS e altri gruppi armati attivi nell’area.
Successivamente, a ottobre, nella cittadina settentrionale di Tripoli, dove la compresenza di quartieri sunniti e sciiti alawiti contribuisce ad inasprire le conflittuali dinamiche interne, sono esplosi scontri tra militanti sunniti e soldati libanesi che hanno portato il governo di Beirut a decidere di incrementare il numero di militari presenti nella città, con lo scopo di arginare un’offensiva che, con l’inverno alle porte, potrebbe addirittura crescere d’intensità.
 
Nello specifico, a Tripoli, i ripetuti episodi di violenza che vedono protagonisti, ormai da decenni, i sunniti del quartiere Bab al-Tebbaneh e gli alawiti residenti nel rione Jabal Mohsen offrono un quadro significativo delle profonde divisioni di carattere etnico, sociale e religioso che si estendono a livello nazionale e contraddistinguono la frammentata realtà libanese.
L’instabile situazione interna in Libano, i cui equilibri si fondano sul difficile compromesso tra le diverse componenti sociali ed etnico-religiose, risente delle inevitabili ripercussioni del conflitto civile siriano. La guerra che da ormai tre anni vede opposte le forze leali al Presidente Bashar al-Assad e i gruppi ribelli ha registrato, infatti, il coinvolgimento crescente delle maggiori forze partitiche libanesi che, con la Dichiarazione di Baabda del 2012, avevano stabilito la priorità nazionale di mantenere il Paese fuori dal conflitto siriano.
La rottura del «patto di non-intervento» da parte di Hezbollah, le cui milizie sono attive a sostegno delle Forze filo-Assad in territorio siriano, ha provocato l’inasprimento delle tensioni settarie in Libano.
L’ambizione di sfruttare un contesto profondamente instabile per radicare la propria presenza nel Paese ed espandere il proprio raggio d’azione sta spingendo le maggiori organizzazioni jihadiste attive in Siria, tra cui Jabhat al-Nusra e IS, a introdursi in territorio libanese.
I contrasti presenti tra i principali gruppi radicali, che nella scorsa estate hanno combattuto tra di loro per il controllo della città e della provincia di Deir el-Zor, in Siria orientale, vengono accantonati sul fronte libanese, dove la necessità di effettuare proselitismo presso le comunità sunnite del Paese e il bisogno di attaccare un nemico comune come Hezbollah spingono i gruppi a unire gli sforzi per ottenere una maggiore efficacia nelle proprie azioni.
La consapevolezza del rischio che la propaganda jihadista possa far breccia all’interno della popolazione sunnita sta provocando un aumento delle tensioni nel cuore della società libanese.
 
Il Libano, caratterizzato da un sistema di governo a base multi-confessionale in cui l’equilibrio tra le varie etnie è garantito dalla ripartizione delle cariche politiche di maggior prestigio, vive infatti un momento di profonda instabilità istituzionale, testimoniato da elezioni presidenziali che vengono ormai posticipate da più di un anno.
Le divisioni all’interno del Paese potrebbero inficiare, infatti, la capacità da parte del Libano di opporre un fronte unico e compatto all’avanzata delle milizie jihadiste.
Le notizie riguardanti i casi di alcuni soldati libanesi che, in disaccordo con le operazioni militari, hanno abbandonato l’Esercito per entrare a far parte della militanza armata jihadista in Siria e in Libano stanno creando preoccupazione presso le autorità di Beirut.
Il rischio è che tali comportamenti, al momento di carattere episodico, possano nelle prossime settimane moltiplicarsi, dando nuova linfa alla crociata ideologica dell’ISIS che mira all’edificazione di un califfato islamico di matrice sunnita che si estenda anche in Libano.
La marginalizzazione politica delle comunità sunnite e l’impoverimento generalizzato che sembra affliggere alcuni dei principali centri del nord libanese, dove i tassi di povertà e disoccupazione sono, infatti, tra i più alti nel Paese, sembrano acuire il clima di tensione, aumentando la possibilità delle organizzazioni jihadiste di effettuare proselitismo presso quei cittadini in cerca di riscatto sociale.
Nella parte nord-orientale del Paese, la massiccia presenza di profughi siriani, ormai oltre la soglia del milione di persone, ovvero poco meno di un terzo dell’intera popolazione libanese, costituisce una vera e propria emergenza nazionale.
Nella fertile Valle del Beqaa, la concentrazione di profughi siriani di fede sunnita, viene percepita come una minaccia dalle numerose famiglie sciite e cristiano maronite che popolano l’area.
Sebbene appaia difficile assistere al ripetersi degli esodi di massa che hanno coinvolto i cristiani in Iraq e Siria – non fosse altro per il diverso peso politico e sociale che essi hanno in Libano dove costituiscono circa un terzo della popolazione – il timore è che i potenti mezzi di reclutamento di al-Nusra, dell’IS e delle altre organizzazioni radicali attive oltre confine possano favorire la radicalizzazione dei rifugiati siriani di confessione sunnita giunti in Libano, anche alla luce del clima di crescente tensione e insofferenza presente nel Paese.
 
Resta da comprendere quale potrà essere la reazione della comunità internazionale nel caso in cui l’offensiva dell’IS, supportata dagli altri gruppi fondamentalisti di matrice sunnita, riesca a riportare successi anche nelle estremità del Libano al confine con la Siria.
I recenti finanziamenti da parte di Arabia Saudita e Francia confermano l’interesse da parte di due dei principali partner commerciali di Beirut per la stabilità del Paese: nella scorsa settimana, potrebbe essersi sbloccata una lunga impasse nelle trattative tra Parigi e Riyadh per la concessione di equipaggiamenti militari all’Esercito libanese per un totale di 3 miliardi di dollari statunitensi.
Accanto ai finanziamenti sauditi e francesi, va poi considerato l’impegno americano in termini di aiuti militari, figlio dell’attenzione peculiare che Washington riserva verso un Paese considerato un punto di riferimento per gli equilibri regionali.
In merito agli scenari futuri, la situazione che si prospetta nella zone a confine tra Siria e Libano resta di profonda incertezza. Il rischio è che i combattenti delle milizie jihadiste attive nelle aree montuose a cavallo tra i due Paesi possano ampliare il raggio della propria azione e, sotto la spinta delle nuove reclute che ogni giorno si uniscono alle loro schiere, rompere le resistenze libanesi.
Diviso sulla base delle già citate tensioni settarie interne, l’Esercito avrà crescenti difficoltà nel tenere sotto controllo le aree dove gli scontri tra le comunità sunnite e sciite sembrano aumentare di intensità. Lo stallo politico del Paese, ancora privo di un Presidente dallo scorso maggio per via dei ritardi delle forze partitiche nell’individuare un accordo sul successore di Michel Suleiman, contribuisce all’immobilismo delle istituzioni nazionali di fronte all’aggravamento della minaccia interna.
Questi fattori sembrano oggi congiungersi per peggiorare la situazione della sicurezza in un Paese chiave per i già precari equilibri dello scacchiere mediorientale, il cui collasso costituirebbe un ulteriore ostacolo al consolidamento della stabilità regionale.
 
Alessandro Caivano
(CeS.I.)

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