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L'ultimo capodanno in Afghanistan: si brinda al ritorno a casa

Quasi completato il rientro, i militari italiani faranno il «cenone» alla mensa con specialità italiane, cotechino e lenticchie, spumante e pandoro a mezzanotte

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Nelle foto che seguono dei nostri reportage, le inaugurazioni delle installazioni civili fatte grazie alla Provincia autonoma di Trento.
A pié di pagina, il colonnello Scaratti, allora comandante del 2° Genio guastatori alpini di Trento, che ha permesso l'installazione delle opere.

Stanotte a Herat, 3 ore e mezza prima che in Italia, i nostri soldati non in servizio festeggeranno il Capodanno nel più tradizionale (si fa per dire) dei modi.
Secondo quanto dice lo chef della nostra base Camp Arena, i militari potranno cenare dalla sera fino dopo la mezzanotte, potendo scegliere tra le varie specialità regionali che verranno messe a disposizione nella mensa.
Dubitiamo che tra le specialità regionali siano previsti anche i canederli del Trentino Alto Adige, ma certamente i ragazzi troveranno una offerta fantastica di tutto ciò che lo chef è riuscito a trovare per soddisfare i suoi specialissimi clienti.
Sappiamo che nelle mense americane gli hamburger, specialmente i cheeseburger, la faranno da padroni, facendo invidia ai nostri ragazzi. Ma sappiamo anche che gli americani invidiano la nostra pasta, ma soprattutto due piatti disponibili nel self service di stasera: il pasticcio di maccheroni e i cannelloni.
Dicono che a Kabul, dove sta la maggior parte degli americani, essi sentano già il profumo della «torta di lasagne». La pizza hanno imparato a farsela anche loro…
A mezzanotte saranno sfornati a Herat cotechino e lenticchie per tutti e, a seguire, spumante italiano e pandoro.
A loro vanno i nostri auguri per un più felice 2015.
 


Comunque sia, il 2015 sarà l’anno del cambiamento per tutta la forza ISAF, che ufficialmente conclude la missione decisa dalla NATO 13 anni fa con il nulla osta dell’ONU.
I nostri lettori sanno che per tutto il 2014 sono state rispedite a casa le attrezzature migliori, dai droni agli aerei, dai lince ai mezzi antimine più sofisticati.
Da tempo abbiamo passato le consegne alle forze afghane, che sono impegnate a mantenere l’ordine costituito.
Resteranno comunque 500 militari italiani per tutto il 2015 per addestrare e soprattutto istruire i militari e la polizia afghana. Uno sforzo notevole, dato che costerà all’Italia 160 milioni di euro. Pian piano lasceremo solo una settantina di soldati, che verosimilmente saranno di stanza a Kabul.
Non sappiamo se la situazione tornerà in mano ai talebani, ma noi abbiamo fatto il possibile. L’impossibile da fare era impedire che gli insorgenti si finanziassero con oppio e hashish. Non era facile, bisognava insegnare loro il sistema della cooperazione agricola e bancaria, la sola che - a nostro avviso - potrebbe cambiare la vita economica degli afghani. 


 
È cambiato molto da quando siamo stati noi de l’Adigetto.it in Afghanistan. Allora moriva mediamente un soldato al mese. La brigata Julia ne ha persi sette.
Dei 54 soldati italiani che hanno perso la vita in quel posto che la maggior parte neppure conosceva quando si è arruolato, 40 sono stati uccisi in azioni militari, dieci sono morti per incidenti stradali, due di infarto, uno mentre scaricava l’arma e uno di malattia.
Degli incidenti stradali, ci ha toccato particolarmente quello del lince che si è piegato di lato nel corso del guado di un fiume. Si era salvato solo il mitragliere alla ralla, gli altri erano bloccati ai sedili con le cinture di sicurezza anti esplosione.
Abbiamo assistito a combattimenti notturni con traccianti e l'attacco a un distaccamento sperduto all’interno del paese.
Ma la cosa che più ci è rimasta impressa di quel teatro operativo è il clima che si respirava allora. Capivi fin dall’inizio che se potevano ti uccidevano. Di notte non c’era una sola luce all’interno della base, solo le lanterne cieche blu. Non si usciva mai senza giubbotto antiproiettile ed elmetto. I mezzi dovevano essere blindati, obbligatorio il jammer (distorsore per congegni elettronici), non si potevano mai passare i ponticelli o le strade attraversate da tubazioni, il mitragliere aveva sempre la MG al brandeggio.
Adesso non è più così, ma sappiamo che gli afghani da soli avranno moltissime difficoltà a sostituirci senza le nostre attrezzature.

La targa messa dal col. Scaratti a ricordo dell'installazione.

Quando partirono per l’Afghanistan i ragazzi del 2° reggimento Genio alpini di Trento, la Provincia stanziò 40.000 euro da mettere a disposizione dei civili dove i nostri soldati erano impegnati. Un modo per portare il bene oltre alle armi.
Con quei soldi, grazie ai genieri di Trento, fu ricostruita una scuola femminile, distrutta dai talebani perché le donne non potessero studiare, e un acquedotto che ora serve 8.000 persone nel Gulistan, il territorio più pericoloso.
Con quello che è costata l’intera operazione della NATO potevamo ricostruire l’Afghanistan.
Adesso si è arrivati alla fine della missione e un po’ alla volta ce ne andiamo, dopo 13 anni di sofferenze.
Siamo contenti che per la maggior parte dei nostri soldati ci sia stato il biglietto di andata e ritorno, ma ci spiace immensamente per quelli che sono «andati avanti».
Speriamo che sia servito a qualcosa il nostro sacrificio. Certamente la democrazia non può essere esportata, ma forse una certa logica sul come si può vivere a questo mondo l’abbiamo esportato.
 
G. de Mozzi.
Link dei nostri reportage dall'Afghanistan.
 

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