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Cosa sta succedendo dalla Libia alla Siria/ 2 – Afghanistan

Nonostante gli accordi tra i due candidati al ballottaggio, non è ancora stato formato un governo – A cura dell'Osservatorio di Politica Internazionale

Ad ormai più di due mesi dall’insediamento di Ashraf Ghani come nuovo Presidente, il governo di unità nazionale comincia a manifestare le prime difficoltà di gestione.
L’accordo tra i due candidati al ballottaggio, Ghani e Abdullah, raggiunto per ovviare al problema nato dai risultati elettorali che non hanno visto la netta prevalenza di un vincitore (circostanza dovuta anche alle farraginosità del sistema di scrutinio), ha dato luogo a una coalizione di larghe intese che si sta dimostrando un meccanismo poco funzionale per il delicato equilibrio politico afghano.
In virtù di questa intesa, infatti, Abdullah ha assunto la carica di Chief Executive, figura nuova le cui competenze specifiche avrebbero dovuto essere definite nelle settimane successive l’accordo attraverso un’attenta ripartizione dei poteri nel processo di formazione della nuova squadra di governo.
Tuttavia, la difficoltà di trovare un’intesa proprio in merito a questa divisione di poteri si sta rivelando un pesante fardello per il completamento del nuovo esecutivo.
 
Nonostante i due leader avessero nominato una commissione bipartisan ad hoc per identificare, entro 45 giorni, i membri del nuovo gabinetto, al momento, non è ancora stato possibile raggiungere un accordo per la designazione dei nuovi Ministri.
Ad ostacolare i lavori della commissione sarebbe stata la richiesta da parte di Abdullah di spartire le cariche, politiche ed amministrative, in modo equo tra la propria squadra e quella del Presidente Ghani, così da garantire una perfetta simmetria tra le due anime della coalizione.
La scarsa propensione del gruppo di Ghani a concedere alla propria controparte nomine in posizioni chiave per la gestione dello Stato e la conseguente impossibilità nel definire una possibile rosa per i nuovi titolari dei diversi dicasteri ha portato i lavori della commissione ad un nulla di fatto.
Il mancato riassetto dell’esecutivo sta inevitabilmente rallentando la gestione delle questioni interne.
La decisione dell’attuale leadership di non confermare alcun Ministro nella nuova squadra ministeriale e l’impasse generato dall’interruzione dei lavori della commissione per la designazione del nuovo gabinetto hanno fino ad ora impedito il passaggio di consegne tra la precedente e l’attuale amministrazione.
Nonostante Ghani abbia scelto di congedare la maggior parte dei precedenti Ministri e di affidare temporaneamente la guida dei dicasteri ai rispettivi Viceministri, la mancanza di una definitiva squadra di governo non consente ancora la presa in carico da parte del GCN dei dossier più impellenti in materia di pubblica amministrazione, quali la lotta alla corruzione e la riforma dell’apparato statale, entrambi punti fondamentali nell’agenda di Ghani per dare un segnale di reale cambiamento, sia all’opinione pubblica sia alla Comunità Internazionale.
 
Una prima dimostrazione del maggior rigore con cui il governo sembrerebbe voler approcciare le politiche anticorruzione è stata la decisione del Presidente Ghani di riaprire il caso della Banca di Kabul, dichiarata in bancarotta nel 2010 a causa della sottrazione di circa 935 milioni di dollari da parte dei suoi vertici.
L’iniziativa di Ghani, infatti, ha permesso il riesame delle accuse e una nuova formulazione delle sentenze nei confronti degli attori coinvolti, tra cui anche Mahmoud Karzai, fratello dell’ex Presidente, accusato di aver contratto debiti sotto forma di prestiti per circa 22 milioni di dollari e di aver restituito poco più della somma dovuta.
Fino ad ora Mahmoud Karzai non era stato coinvolto dai provvedimenti sanzionatori ed era riuscito ad evitare la detenzione grazie ad un decreto presidenziale firmato dal fratello.
 
Se la politica interna sta ancora risentendo del passaggio di consegne tra la nuova e la vecchia amministrazione, al contrario i frequenti impegni all’estero del Presidente Ghani, in questi due mesi, sembrano aver già gettato le basi per lo sviluppo di quelli che potrebbero essere i dossier focali per Kabul in futuro.
Non appare casuale, infatti, che Ghani abbia deciso di recarsi innanzitutto in Cina, in occasione del vertice internazionale del Processo di Istanbul (meccanismo di cooperazione regionale per la stabilizzazione dell’Afghanistan), tenutosi nella capitale cinese a fine ottobre.
Il viaggio del Presidente afghano è stata occasione per stabilire un primo contatto con Pechino e per cercare di coinvolgere il governo cinese nel delicato processo di ricostruzione in Afghanistan.
La composizione stessa della delegazione di alto livello che ha accompagnato Ghani (formata dal Consigliere Nazionale per la sicurezza, Mohammad Hanif Atmar, dal Consigliere per gli Affari Finanziari, Hazrat Omar Zakhilwal, dall’attuale Ministro degli Esteri, Zarar Ahmad Usmani, e dall’attuale Ministro della Difesa, il Generale Bismillah Mohammad) ha dato un chiaro segnale di quale sia l’importanza che il nuovo governo afghano attribuisce al rafforzamento del rapporto con Pechino.
Nonostante l’appoggio politico della Cina possa rivelarsi un’utile sponda per la gestione del delicato equilibrio regionale, infatti, il potenziale economico che una buona relazione con Pechino potrebbe garantire a Kabul è sicuramente un punto di grande interesse per il nuovo governo afghano.
 
La visita ha portato alla firma di quattro accordi per l’approfondimento delle relazioni economiche bilaterali, per il rilancio dei rapporti commerciali, per l’agevolazione del rilascio dei permessi di viaggio per i dipendenti pubblici, nonché per l’intensificazione degli aiuti umanitari, con l’impegno del governo cinese di erogare circa 327 milioni di dollari entro il 2017.
L’interesse espresso da Ghani di fare della Cina un partner strategico di medio-lungo periodo per l’Afghanistan, da un lato, e i progetti cinesi di rafforzamento della propria presenza economica nell’Asia Centrale, dall’altro, sembrano destinati a determinare un avvicinamento tra Kabul e Pechino anche sulla spinosa questione della sicurezza, requisito necessario per l’effettiva realizzazione di qualsiasi attività economica in un territorio fortemente destabilizzato come quello afghano.
Un segnale indicativo della possibile convergenza tra i due paesi in materia di sicurezza sembrerebbe giungere dal fatto che l’incontro tra Ghani e l’omologo cinese, Xi Jinping, è stato l’occasione anche per discutere dei fattori di criticità legati all’insorgenza interna e al terrorismo di matrice islamica. In proposito, il Presidente afghano ha dichiarato la disponibilità del governo di Kabul afornire assistenza a Pechino per cercare di arginare la minaccia irredentista rappresentata dai gruppi radicali islamisti presenti in territori cinese, quale l’Est Turkestan Islamic Movement (ETIM), gruppo terroristico operativo nella regione occidentale dello Xinjiang che rivendica l’indipendenza di questo territorio dall’autorità cinese.
 
Nonostante la dichiarazione di Ghani sia un atto puramente formale che difficilmente potrà essere seguito da misure di attuazione concrete, la mano tesa del governo di Kabul lascia trasparire un particolare interesse del nuovo esecutivo afghano di creare una convergenza di interessi con Pechino per avere nel governo cinese un importante alleato regionale.
Da parte sua, il governo di Xi, attraverso l’Inviato Speciale cinese per l’Afghanistan presente a Kabul, Sun Yuxi, ha dichiarato la disponibilità della Cina di supportare un eventuale processo di pace tra il governo di Kabul e l’insorgenza talebana.
La dichiarazione di Pechino è giunta a sostegno dell’invito lanciato dal Presidente Ghani, lo scorso 31 ottobre, a tutte le forze politiche d’opposizione a Kabul, e in particolare ai talebani, di istituire un processo di pace di respiro nazionale.
Tuttavia, come sottolineato anche dallo stesso Presidente cinese a margine della visita, al momento la Cina non ha alcuna intenzione di impegnare direttamente le proprie Forze Armate nel vicino Afghanistan: resta quindi altamente probabile che l’aiuto di Pechino nei prossimi mesi continui ad essere declinato sotto forma di aiuti economici e di finanziamenti diretti.
 
La questione di un eventuale processo di riappacificazione tra governo e talebani è stata al centro anche della visita del Presidente Ghani in Pakistan, giunto ad Islamabad a metà novembre alla testa di una delegazione di alti funzionari afghani e di esponenti del mondo economico per rilanciare le relazioni bilaterali e per discutere con il governo pachistano i temi più caldi di interesse comune.
Nonostante siano state affrontate diverse materie in cui poter rafforzare la cooperazione tra i due paesi (in primis quella commerciale, attraverso l’impegno a raddoppiare il volume di scambi per raggiungere i 5 miliardi di dollari), il dossier sicurezza continua a ricoprire una posizione preminente nell’agenda di entrambe le amministrazioni.
Il viaggio di Ghani in Pakistan, infatti, è stata l’occasione per incontrare, per la prima volta dall’insediamento della nuova presidenza afghana, il Presidente pachistano, Manoon Hussain, il Primo Ministro, Nawaz Sharif, il Consigliere alla Sicurezza Nazionale, Sartaj Aziz, nonché il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Raheel Sharif e il Direttore del Servizio di Intelligence (ISI), Rizwan Akhtar. Da tali consultazioni è emerso, da un lato, il plauso da parte dei vertici politici pachistani per una riapertura del dialogo con la leadership talebana, dall’altro la disponibilità delle Forze Armate di Islamabad di iniziare una cooperazione con le Afghan National Armed Forces (ANAF) in materia di addestramento e di gestione dei confini.
 
Nonostante i positivi risultati ottenuti dagli incontri, appare ancora prematuro ipotizzare che le dichiarazioni emerse dalla visita possano tramutarsi in politiche concrete e, dunque, in un effettivo miglioramento delle relazioni tra i due paesi.
In particolare, sebbene entrambi i governi si siano detti favorevoli ad un nuovo processo negoziale con l’insorgenza talebana, tuttavia il quadro di sicurezza attuale in Afghanistan non lascerebbe intravedere alcuno spazio per un ipotetico riavvio dei colloqui.
Anche negli ultimi mesi, infatti, i militanti sono riusciti a portare a termine una serie di attacchi che hanno messo in seria discussione la capacità di controllo delle autorità afghane sul territorio.
Da segnalare, inoltre, l’intensificarsi dell’attività dell’insorgenza nella capitale, interessata da diversi attentati nel mese di novembre: tra questi, il lancio di razzi contro il Green Village, quartiere abitato prevalentemente da cittadini stranieri, avvenuto lo scorso 19 novembre e l’attentato, fallito, contro la parlamentare Shuriza Barakzaia, avvocato impegnata nella tutela dei diritti delle donne e della libertà di stampa.
 
Non sembra, dunque, aver avuto alcun effetto significativo sulla stabilità interna l’arresto di due alti esponenti del network Haqqani, gruppo storicamente legato ai talebani e operativo tra Afghanistan e Pakistan: Anas Haqqani, figlio del fondatore, Jalaluddin, e Qari Abdul Rasheed Omari, comandante militare responsabile per le attività nel sudest dell’Afghanistan e fratello minore di Mohammad Nabi Omari.
Quest’ultimo è un leader talebano ex detenuto di Guantanamo rilasciato nel giugno in seguito allo scambio di prigionieri accordato da Washington per ottenere la liberazione del sergente Bowe Berghdal, catturato nel 2009 nella provincia orientale afghana di Paktika.
Nonostante il National Directorate of Security (NDS) afghano abbia riportato che l’arresto sia avvenuto nella provincia orientale di Khost, fonti talebane sostengono che la cattura dei due leader del gruppo Haqqani sia avvenuta durante il loro viaggio nella Penisola Arabica verso il Qatar, dove stavano andando a trovare proprio i talebani rilasciati per lo scambio con Berghdal.
Nonostante l’arresto abbia suscitato una grande eco e sia stato accolto come un importante successo nella lotta all’insorgenza talebana, in realtà, l’arresto non ha significativamente alterato la capacità operativa del gruppo Haqqani, che continua ad essere una delle principali minacce per la sicurezza, soprattutto nelle regioni orientali: sembrerebbe essere stato orchestrato dagli Haqqani, infatti, l’attentato suicida compiuto lo scorso 23 novembre nella provincia di Paktika, nel distretto di Yahya Khel, durante la finale di un torneo sportivo, che ha causato la morte di circa cinquanta persone.
 
La precarietà delle condizioni di sicurezza e l’inefficacia della risposta da parte delle Forze afghane ai continui attacchi della militanza potrebbe essere alla base della decisione degli Stati Uniti di rivedere l’impegno dei militari statunitensi nel paese per il 2015.
Lo scorso 22 novembre, infatti, il Presidente Barack Obama ha esteso la missione delle Forze americane per il prossimo anno: secondo quanto dichiarato dalla Casa Bianca, i soldati americani potranno affiancare le Afghan National Security Forces e offrire supporto aereo in operazioni combat finalizzate a contrastare la presenza dell’insorgenza nel paese.
In un momento in cui il rapido deterioramento della sicurezza interna mette drammaticamente in luce la difficoltà con cui le autorità di Kabul ancora affrontano la minaccia talebana, la decisione dell’Amministrazione Obama sembrerebbe lasciar trasparire il timore che il disimpegno delle Forze statunitensi in Afghanistan possa gettare il paese in una pericolosa spirale di violenza, che non solo vanificherebbe dieci anni di sforzi, ma potrebbe persino tradursi in un nuovo conflitto civile.
L’impegno maggiore delle Forze di Washington potrebbe essere dedicato all’affiancamento alle Forze Speciali afghane in attività notturne di ricognizione, di informazione e di contrasto alle cellule talebane.
I raid notturni erano stati aboliti dall’ex Presidente Karzai, nel 2013, ma, nonostante il governo non abbia confermato ufficialmente, potrebbero essere ripristinati a partire dalle prossime settimane. Secondo fonti militari, infatti, nelle ultime settimane sarebbero circa 200 le Forze Speciali afghane trasferite a Kandahar per iniziare un addestramento specializzato e finalizzato all’acquisizione di tecniche spendibili in incursioni notturne.

Ce.S.I

(Prossimo: Algeria)

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