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Per non dimenticare… Mostra nella Giornata della Memoria

«Tra normalità e orrore: Artisti plastici ebrei di Oradea e il dramma dell’Olocausto»: 66 quadri esposto dal 27 gennaio al 1° marzo a Palazzo Calepini

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Una delle opere di Leon Alex (particolare).
 
La Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, in collaborazione con il Consolato Onorario della Romania per il Trentino Alto Adige e il Museo «Ţarii Crişurilor» di Oradea (Romania), organizza la mostra dal titolo «Tra normalità e orrore: Artisti plastici ebrei di Oradea e il dramma dell’Olocausto» dal 27 gennaio al 01 marzo 2015 presso Palazzo Calepini (Via Garibaldi 33 – Trento).
Si tratta di una collezione di 66 quadri esposti in Italia per la prima volta.
La mostra rimane aperta dal lunedì al venerdì con orario 15-20; il sabato e la domenica con orario 10-18. Al mattino è possibile prenotare una visita guidata per le scuole.
Una descrizione della mostra è fruibile, all’interno della stessa, grazie ai «tag» che, inquadrati con il telefonino, rimandano a un file audio di approfondimento.
L’inaugurazione della mostra è prevista il prossimo 27/01/2015 ad ore 10.00. Saranno presenti: il dott. Michele Iori, Presidente della Fondazione Caritro, il dott. Maurizio Passerotti, Console Onorario della Romania per il Trentino Alto Adige, il prof. Aurel Chiriac, Direttore del Museo «Ţarii Crişurilor» di Oradea (Romania), il dott. Alessandro Andreatta, Sindaco di Trento. Ha assicurato la propria presenza anche S.E. dott. George Gabriel Bologan, Console Generale di Romania in Italia.
 
Commenta così il Direttore del Museo di Oradea prof. Aurel Chiriac.
«Organizziamo questa mostra con le opere dei pittori ebrei reperibili nella collezione del Museo Ţarii Crişurilor di Oradea in un momento storico e in un clima sociale dove la normalità acquista significati sempre più imprecisi ed opachi, mentre l’orrore acquista significati sempre più perfidi ed inaspettati, che non avremmo neppure potuto immaginare pochi decenni fa.
«Alla fine, ogni mostra d’arte, come la nostra, propone spesso al visitatore percorsi secondari, che si nascondono dietro alle opere esposte: uno può essere quello biografico, un altro quello delle finalità morali o sociali oppure quello del recupero dell'artista.
«Questa mostra vuole parlare di orrore all’interno della normalità, delle grandi vertigini della storia, della luce e delle tenebre nei destini individuali e collettivi, quando le degenerazioni ideologiche, sociali o religiose hanno il potere di metterti nella categoria "di chi non deve esistere".
«Vuole dimostrare che anche la storia dell’arte ha le sue fosse comuni, che non possono mai essere dimenticate. Soprattutto in questi tempi, quando ci accorgiamo che l’orrore ci circonda da tutte le parti, oggi anche con la variante del terrorismo internazionale. Proprio adesso, quando niente sembra più sicuro e normale o quando anche noi, in qualunque parte del mondo ci troviamo, viviamo l'angoscia di finire in quella tragica categoria "di chi non deve esistere".
«Quando anche l’idea stessa di normalità sembra essere stata abolita. Sopravviviamo a delle catastrofi che sembrano preparare la grande apocalisse. Noi però, riunendo queste opere in mostra, vogliamo testimoniare la nostra voglia di continuare a credere nella normalità, nell’ordine naturale della vita umana, nell’arte e nel suo potere di sopravvivere agli inferni della storia.
«E nella convinzione che possiamo mantenere inalterato il nostro essere interiore, non ancora segnato da tutti gli orrori che ci circondano. Che l’arte non è solo un modo per esprimere se stessi, ma è anche una variante di sopravvivenza.»
 
Sei degli artisti plastici ebrei le cui opere si trovano nella mostra, morirono durante l’Olocausto: Ernő Tibor, David Jándi, Jószef Klein, Ernest Grűnbaum, Barát Móric e Leon Alex. Molti di loro nacquero oppure studiarono arte ad Oradea, come Ernő Tibor, Leon Alex, Barát Móric, Ernest Grűnbaum. Furono inghiottiti senza aver avuto alcuna colpa, molti di loro nella piena creazione artistica, a causa di un odio che in quei tempi ossessionava l’Europa.
Taluni artisti, che riuscirono a non essere assorbiti in questa grande marea di odio ideologico e religioso, continuarono a lavorare in Romania dopo la fine della seconda guerra mondiale, come per esempio alcuni dei più importanti pittori romeni del Novecento, Iosif Iser e M.H. Maxy. O come un altro protagonista importante dell’arte europea presente nella mostra, Victor Brauner, ebreo originario di Piatra Neamţ, che lasciò la Romania nel 1930 per stabilirsi a Parigi, dove morì nel 1966.
 
Le opere in mostra presentano – benché in maniera non esaustiva – questo percorso: dalla normalità interbellica all’orrore e poi al ritorno alla vita normale attraverso l’arte, dopo che le cose sembrarono stabilizzarsi.
È difficile parlare di arte quando una terribile malattia della storia, come l’Olocausto, deve diventare il punto centrale, definitivo, del discorso.
Perché sono difficili da capire i momenti in cui la voglia di morire si manifesta con un cinismo che consuma proprio l’essenza dell’essere umano. Guardando i loro lavori di grafica o di pittura, non si può evitare di pensare al modo in cui morirono Jószef Klein o Ernest Grűnbaum.
Le opere di quest’ultimo trasmettono una tranquillità – sia per argomento che per l'uso del colore – che non faceva affatto presagire tutte le atrocità che sarebbero seguite, e anzi, trasmettono buon umore e nostalgia. I suoi paesaggi sono macchie di colore che parlano da sole dell’eternità non aggressiva della natura, i suoi lavori con personaggi, totalmente rotti dalle tendenze artistiche dell’epoca, sembrano frammenti di storie raccontate accanto al fuoco.
Quello di Ernest Grünbaum è un mondo ordinato, già sistemato, e lo sguardo del pittore è tranquillamente ironico e dove anche le sue soluzioni plastiche sono sottili, geometricamente potenziate. Questa sua sensibilità nasce dalla chiarezza del mondo che lo circonda. E non immagina per niente l’alluvione storica devastante che seguirà.
 
Però nella mostra sono rappresentati anche artisti che hanno intuito, nella calma che li circondava, il male invisibile, la cancrena sempre più estesa – anche se ben nascosta per un po’ – della società e della normalità.
Da questo punto di vista le creazioni di Alex Leon sono le più potenti per il loro messaggio, se si fa riferimento alla Coppia (due giovani tristi, con volti allungati segnati dalla sofferenza), oppure alla più diretta e abrasiva composizione – sia per il titolo che per la linea del disegno – L’incubo della guerra.
Di un visionarismo quasi irreale è un’altra opera grafica di Leon Alex, La Gabbia. Una straordinaria intuizione dei campi di concentramento e del proprio destino di essere ebreo: cinque uomini con caratteristiche semitiche, nudi, scheletrici, con le ossa che sporgono dalla pelle, con i piedi fangosi (come vedremo nei filmati d’archivio, girati molto più tardi, dopo la liberazione dei prigionieri dai campi di concentramento), esclusi dalla società (seduti sui rami di un albero) guardano una gabbia che ovviamente li attende.
È forse questa l’opera di Leon Alex con maggiore impatto emotivo. Ci sono anche altri lavori che esprimono il dolore e la paura, l’assurdità e l’umiliazione umana, ma nessuno ha questo effetto di valorizzare in pieno la pre-visione artistica.
 
Come anticipato, coloro che sopravvissero all’Olocausto continuarono a lavorare così come avevano fatto prima degli anni di terrore.
E molti di loro (Victor Brauner, Iosif Iser) conservarono lo stile, il tema, la visione artistica precedente. Infatti, questo sarebbe stato l’unico modo possibile per recuperare e ridefinire la normalità nel campo sociale, artistico e umano.
L'appetito della storia per l’orrore è eterno e solo occasionalmente è in stato di apparente rinuncia. Questa è la morale della mostra. Alcuni artisti avevano intuito già prima dell’Olocausto il terremoto ideologico e morale che avrebbe portato agli stermini di massa. Perciò dobbiamo essere molto attenti ai lavori degli artisti contemporanei: essi potrebbero prevedere cose che pure i nostri incubi odierni rifiutano...
 

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