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Settant’anni dalla liberazione di Auschwitz – Di Nadia Clementi

Ne parliamo con Alfonso Masi, che ha interpretato due monologhi sulla Shoah

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Quest’anno, il 27 gennaio, ricorre il settantesimo anniversario della liberazione, da parte dell’esercito russo del campo di sterminio di Auschwitz.
Ne parliamo con Alfonso Masi che al suo attivo ha due monologhi sulla Shoah: «Tu passerai per il camino» e «Quel bambino ero io» e che abbiamo già conosciuto grazie a un’intervista che ci aveva rilasciato lo scorso aprile (vedi).

 TU PASSERAI PER IL CAMINO
 
Il quadro è del pittore Franco Ferlenga.
Ricordo della Shoah con la voce solista di Alfonso Masi

Come ha architettato il suo monologo «Tu passerai per il camino»?
«Per il titolo mi sono basato sul volume che, negli anni sessanta, ha dato inizio alle mie letture sull’Olocausto: si tratta di Tu passerai per il camino di Vincenzo Pappalettera.
All’autore, detenuto nel campo di sterminio di Mautauhsen, quell’augurio venne fatto da una SS: l’unico modo di uscire dal lager era quello di venire bruciati.
«Per i testi recitati ho scelto principalmente Se questo è un uomo di Primo Levi sia nella versione narrativa che in quella teatrale.»
 
Come ricorda Primo Levi l’entrata nel campo di sterminio dei russi liberatori?
«Dopo aver ricordato la fuga delle SS da Auschwitz e il silenzio sopraggiunto nella pianura innevata l’autore prosegue così.
Era la mattina del 27 gennaio 1945, quando si alza un primo grido: I russi! I russi! E’ l’esclamazione urlata, gridata, è il gemito, il lamento di migliaia di deportati.
I russi! I russi! E allora polacchi, francesi, russi, spagnoli, ungheresi, ebrei, zingari, fiamminghi, iugoslavi, cecoslovacchi, romeni, greci, italiani esprimono la medesima emozione: vita e libertà!!!
«Per noi sopravvissuti nel lager di sterminio questo è il significato di quel carro armato, carro armato benedetto, che si affaccia al portone del campo.»
 
Quindi la liberazione del Lager porta alla liberazione dalla schiavitù e da tutti i soprusi perpetrati dai nazisti.
«Non propriamente. Per i prigionieri la guerra è finita, ma nelle baracche la strage continua in quanto tanti prigionieri non sopravviveranno perché ridotti a larve umane.
«E neppure per Primo Levi la liberazione è totale: l’orrore del Lager non termina, ma si prolunga perché nel sonno arrivano gli incubi.
Una SS mi scuote, sogghigna, mi percuote con pugni violenti sullo stomaco.
«Risvegliandosi all’improvviso, l’incubo finisce; basta guardare fuori dalla finestra della baracca e osservare che il fumo non esce più dal camino: il forno crematorio è spento! Ma l’incubo ritorna ancora e spesso anche a distanza di anni, prolungando così gli orrori del Lager.»
 
Quali sono i momenti più significativi che l’autore ricorda?
«Senza dubbio l’arrivo ad Auschwitz di notte, dopo un viaggio in carro bestiame durato parecchi giorni; ma qui voglio lasciar parlare direttamente Primo Levi:
Spento il ritmo delle rotaie, spento ogni suono umano attendemmo che qualcosa avvenisse. La portiera fu aperta con fragore, il buio echeggiò di ordini stranieri. Alle raus, raus, raus. Gepäck mitnehmen! Alle raus! In zwei Gliedern antreten.
Poi una decina di SS penetrarono fra i prigionieri e divisero donne, uomini, bambini e malati. Continua ancora Primo Levi:
Renzo indugiò un istante di troppo a salutare Francesca, la sua fidanzata, e allora con un solo colpo in pieno viso lo stesero a terra; questo era il lavoro giornaliero delle SS. Un altro detenuto uscì dai ranghi e pregò l’SS di farlo andare alla latrina.
Ma l’ordine fu di rientrare subito nei ranghi. Dopo un po’ si sentì un gran fetore: il detenuto non aveva resistito e se l’era fatta addosso. Scoperto il trasgressore, la guardia gli ordinò di togliersi le mutande, di arrotolarle e di mettersele in bocca fra i denti. Gli ordinò inoltre di mettersi a quattro zampe e abbaiare
 

 
Ma tutto doveva ancora iniziare: si trattava solo di un assaggio di quello che succedeva nel campo.
«Esattamente. Dopo essere stati denudati, sottoposti a doccia, rasati e vestiti con gli abiti del lager, avviene l’atto della spersonalizzazione estrema: il numero tatuato sul braccio sinistro. Sempre l’autore lo ricorda così:
Lo porteremo finché vivremo il marchio, il numero tatuato sul braccio sinistro. Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere quest’offesa: la demolizione di un uomo. Noi non siamo più uomini, ma prigionieri: Häftlinge. Condizione umana più misera non c’è, non è pensabile. Siamo arrivati sul fondo.
Nulla è più nostro, ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, i capelli, le piccole cose che anche un mendicante possiede: un fazzoletto, una vecchia lettera, la fotografia di una persona cara, cose parte di noi, quasi membra del nostro corpo. Ci hanno tolto anche il nome. Se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo perché qualcosa di noi, di noi quali eravamo, possa ancora rimanere
 
Nel suo monologo tratta anche di come si svolgeva la vita quotidiana?
«La vita di ogni giorno era compendiata in poche attività: lavorare molto, mangiare poco. Ogni giornata era scandita da parole che continuamente venivano ripetute e che tutti avevano imparato a comprendere: Abzählen! (la conta dei prigionieri ogni mattina). Achtung! Alle raus! Los Los! Verboten! Verboten! Verboten! Proibito! Proibito! Tutto proibito. Ordini che Primo Levi definisce barbarici latrati
 

 
Nel campo di sterminio vivevano uomini alle prese con la sopravvivenza in condizioni che non fatichiamo a definire disumane, ma qualche barlume di umanità era presente?
«È vero che il Lager era la fame e il cibo l’oggetto di tanti discorsi, ma Primo Levi racconta un episodio che lo fa ritornare completamente uomo.
Ormai non mi interesso ad altro che alla mia scodella quotidiana di zuppa, al mio pezzo di pane raffermo. Il pane, la zuppa: tutta la mia vita. Sono un corpo. Forse anche meno: uno stomaco affamato. Soltanto lo stomaco sente il tempo passare. Ma un giorno di primavera vi fu dentro di me come un bagliore, una luce che mi fece tornare uomo.
«L’autore, volendo insegnare ad un giovane francese la lingua italiana, gli parla della Divina commedia, in particolare di Ulisse e del suo avventuroso viaggio, il più eroico dei viaggi che mai uomo abbia osato: quello di oltrepassare le Colonne di Ercole insieme ai suoi marinai, che riesce a convincere con quelle parole, presenti in una terzina divenuta famosa:

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e conoscenza.

«Sono parole che risuonano in mezzo a quella sovrumana desolazione che è il Lager e che ricordano l’impossibilità di distruggere l’umanità che si nasconde in fondo al cuore di ciascun uomo, anche se prigioniero.»
 
Rimane da chiederle come viene realizzato il monologo: con quale scenografia, con quali musiche e con quale supporto visivo.
«Per rendere il monologo presentabile in qualsiasi spazio non teatrale ho preferito affidarmi alla teatralità delle sole parole che già sono dure, scabre ed essenziali. Conversando con gli studenti, spettatori del monologo, ho avuto la conferma che non vi è alcun bisogno di immagini.
«Per quanto riguarda la musica, una sola volta ho inserito l’intervento di un clarinettista, ma preferisco che le parole del monologo, quando mi sposto da un leggio all’altro, siano intercalate dal silenzio. In questo fu maestro Giuseppe Ungaretti che nelle poesie dell’Allegria scelse la parola intercalata di lunghi silenzi
 
Passiamo al suo secondo monologo dal titolo «Quel bambino ero io». Qual è il significato del titolo?
«Il titolo prende lo spunto dalla fotografia del bambino di Varsavia con le mani alzate davanti ad un soldato che gli punta contro il fucile. Quel bambino è sopravvissuto ed ha un nome: si chiama Tvsi Nussbaum: ha lavorato come medico negli Stati Uniti, ora è in pensione ed è nonno di due nipotini.
«In un’intervista televisiva ricorda che la foto venne scattata il 13 luglio 1943 a Varsavia quando aveva otto anni; per lui quel bambino rappresenta il milione e mezzo di bambini ebrei che furono massacrati dai nazisti e il suo desiderio è quello di essere circondato da un milione e mezzo di bambini.
«Partendo da quella intervista il monologo rappresenta Tvsi Nussbaum che ricorda la sua vicenda e poi evoca le vicende dolorose di tanti bambini che hanno vissuto la Shoah. Mi sono immedesimato in quell’anziano, in ciò favorito anche da un particolare: la fotografia venne scattata il 13 luglio 1943, il giorno della mia nascita.»

 Quel bambino ero io
 Foto scattata nel ghetto di Varsavia.

 I bambini e la Shoah - Monologo di e con Alfonso Masi

I recital proposti e abilmente recitati dall’artista Alfonso Masi rappresentano un omaggio doveroso e commosso a quelle che sono state le vittime più indifese della Shoah, protagoniste della più vergognosa vicenda della storia umana che strappò alla vita decine di migliaia di giovanissime vite.
Per non dimenticare, mai.

Calendario recite del monologo: Tu passerai per il camino.
Di e con Alfonso Masi.
lunedì 26 gennaio 2015 ore 17.30 al Café de la Paix, Passaggio Osele, Trento
martedì 27 gennaio 2015 ore 8.15 Liceo Scientifico Da Vinci Trento
mercoledì 28 gennaio 2015 ore 9.00 Biblioteca di Aldeno per Scuola Media
giovedì 29 gennaio 2015 ore 9.30 Biblioteca di Albiano per Scuola Media
mercoledì 4 febbraio 2015 ore 10.00 Biblioteca di Cavalese per studenti delle Scuole Superiori.

Le incredibili atrocità messe in atto durante la Seconda Guerra Mondiale dai fascisti e dai nazisti verso il popolo ebraico, ma anche nei confronti di zingari, omosessuali, oppositori politici ed handicappati, infatti non si sono limitate solo allo sfruttamento e all'annientamento degli adulti, ma anche all'uccisione di migliaia di bambini innocenti.
Lo sterminio degli ebrei, e di tutte le minoranze politiche, etniche e sociali coinvolte nell’olocausto, oggi può sembrare incredibile soprattutto agli occhi dei più giovani che non hanno testimonianze dirette di quanto successo. In molti casi si è arrivati anche a teorizzare l’inesistenza dei lagher e con un azione di revisionismo storico, spesso strumentale e politicizzato, in molti ancora oggi negano, o minimizzano, la portata degli eventi della seconda guerra mondiale.
Si tratta di estremizzazioni pericolose che sottolineano un’allarmante ignoranza e mistificazione storica; un richiamo alla memoria che questo 27 gennaio deve essere accolto con ancora maggiore forza per non dimenticare che appena 70 anni fa donne, uomini e bambini di un intero popolo sono stati perseguitati, torturati e uccisi in quella che oggi è la civile e pacifica Europa.
Tutto è tragicamente vero e se non bastassero le testimonianze, i documenti e le terribili immagini a ricordarci quanto è successo, basta girare il mappamondo di pochi gradi per accorgersi che ancora oggi succedono cose di questo genere, se non peggiori, in Africa, in Asia centrale, in Sud America e anche molto più vicino a casa nostra come in Siria, in Armenia e in Georgia. La mente umana cerca in tutti i modi di allontanare da sé eventi e situazioni così traumatizzanti; è un meccanismo di difesa comprensibile e ovvio, il nostro intelletto ci spinge a pensare che chi ha compiuto queste azioni, le migliaia di gerarchi fascisti e nazisti, i kapò all’interno dei campi, gli alti dirigenti del partito nazionalsocialista e giù dalla catena di comando fino all’ultimo secondino, fossero tutti in preda ad un delirio, avessero offuscato la propria ragione con promesse di gloria, di superiorità e purezza che li ha portati alla pazzia.
Sarebbe troppo facile liquidare lo sterminio come l’azione partorita da poche menti in preda alla follia e poi attuata da migliaia di uomini e donne contagiati da questo seme malato. Gli alti ranghi del partito nazista e fascista erano occupati da persone istruite e di normale intelligenza che sapevano quello che stavano facendo: lo sapeva Hitler e chi stava al suo fianco, lo sapeva Mussolini e il re d'Italia che firmarono le leggi razziali per perseguitare gli ebrei italiani. Lo sapevano tutti coloro che obbedirono a quelle leggi sbagliate e crudeli, un immenso mare grigio di persone che hanno solo obbedito agli ordini
 
Il GIORNO DELLA MEMORIA che viene celebrato ogni 27 gennaio, serve proprio a non dimenticare le sofferenze di allora, per saper scegliere di evitare nuove sofferenze oggi, ad altri popoli e ad altre persone in qualsiasi parte del mondo. Ma la strada verso la giustizia e la pace è ancora lunga: basta guardare a quante guerre e persecuzioni sono ancora in atto in ogni continente del mondo.
Disse Primo Levi a proposito di Anna Frank: «Una singola Anne Frank detta più commozione delle miriadi che soffrirono come lei, la cui immagine è rimasta nell’ombra. Forse è necessario che sia così; se dovessimo e potessimo soffrire le sofferenze di tutti, non potremmo vivere».
 
Nadia Clementi - n.clementi@ladigetto.it
Alfonso Masi - alfonsomasi@libero.it

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