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Il progetto Latte Trentino di qualità va esteso anche ai derivati

Diversamente, le aziende trentine non possono sostenere i costi di produzione

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Scatta il primo aprile la liberalizzazione della produzione di latte.
Il sistema delle «quote latte», introdotto nel 1984 a livello europeo finalizzato a limitare le eccedenze produttive per equilibrare la produzione e il consumo, andrà in pensione.
La programmazione delle quote latte secondo le quali ognuno dei paesi della Comunità europea poteva produrre un numero prestabilito di tonnellate di latte ha provocato in questi anni numerosi contrasti tra la Pubblica amministrazione e gli allevatori.
Questa liberalizzazione, da molti auspicata, potrebbe sembrare un toccasana per il mondo agricolo, ma allo stesso tempo potrebbe essere la causa della chiusura di tante aziende agricole nel tessuto montano italiano, come in Trentino, dove i costi di produzione del latte sono doppi rispetto alla Pianura padana
La Provincia di Trento, come abbiamo scritto nel precedente servizio per riportare le misure che intende adottare (vedi), si sta attivando per contribuire a un abbattimento dei costi delle analisi della materia prima, che è uno degli elementi fondamentali per la certificazione della qualità. Se si vogliono aumentare i prezzi, infatti, si devono dare spiegazioni concrete e dimostrazioni inoppugnabili.
Ma tutto ciò - pur lodevole - potrebbe essere poco efficace.
 
La concorrenza di alcuni paesi europei dell’area orientale, forti produttori, si farà sentire dal momento che i prezzi del latte proveniente dall’Est sono inferiori al prezzo italiano.
Le ragioni sono facilmente individuabili nell’economia di quei paesi, il cui reddito pro capite è inferiore a quello italiano, talora anche solo di 200 300 euro al mese.
È già in corso una diminuzione dei prezzi del latte alla stalla, un taglio che sta diventando insostenibile soprattutto in montagna.
La normativa che imponeva l’etichettatura di provenienza delle materie prime è stata modificata dall’Unione Europea lasciando solo la facoltà volontaria di inserimento da parte delle aziende della provenienza.
La conseguenza è che il consumatore finale può anche non venire a conoscenza se un prodotto italiano è stato fatto con materia prima di provenienza straniera.
 
Quali sono le soluzioni possibili, le attività o gli interventi che si possono effettuare per arginare la poca redditività delle aziende agricole?
Una di queste potrebbe essere un impegno etico della grande distribuzione trentina ad acquistare in maniera più completa prodotti caseari del territorio avendo due valenze importanti: la prima aiutare la redditività degli allevatori, la seconda salvaguardare il territorio avendo sia un basso impatto inquinante sul trasporto delle merci e sia la cura del territorio punto di forza del mondo agricolo.
Ma l’Amministrazione provinciale potrebbe anche mettere in campo il progetto «allargato» del marchio di qualità trentina. Al momento il progetto si limita alla protezione del latte fresco al consumo, prodotto secondo le precise norme del disciplinare.
Ebbene, questo sistema di garanzia va esteso anche alla post produzione.
Se vogliamo che il latte trentino mantenga le posizioni anche nelle lavorazioni successive, dobbiamo trovare un modo per garantire l’intero ciclo di produzione.
A difetto di ciò, i prodotti caseari prodotti nel territorio con latte trentino si perderanno con il resto del mercato che si serve del latte a basso prezzo.
In conclusione gli interventi sinergici del mondo politico ed economico potrebbero rivelarsi uno strumento valido per aumentare sia la redditività delle aziende agricole trentine, che quelle che trasformano il latte in prodotti di eccellenza.

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