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Deserto e foresta. Essad Bey/Kurban Said al confine tra due mondi

L’incontro-dibattito organizzato dal Centro Studi sull’Azerbaigian e il Centro Studi sul Caspio si terrà mercoledì 27 maggio nella Biblioteca comunale di Trento

Essad Bey, alias Kurban Said, è stato uno scrittore cosmopolita dall’anima dilacerata, abitante del mondo, ma in fondo apolide senza patria, di casa dappertutto e in nessun luogo. Essad Bey è oggi considerato uno dei più importanti romanzieri azeri del Novecento.
Egli ha svolto tuttavia anche un’intensa attività giornalistica, in particolare presso la rivista tedesca «Die literarische Welt», a cui collaborò fino al 1933, pubblicando, inoltre, accanto ai suoi romanzi, una serie libri di argomento storico, come le biografie di Stalin, Lenin, Maometto o dello Zar Nicola II.
In Essad Bey il giornalista è sempre anche un romanziere, un artista della parola e dell’arabesco, e viceversa il romanziere è sempre anche un giornalista, un attento e acuto, anche se non sempre oggettivo, osservatore del mondo.
 
Da un confronto tra i testi letterari (romanzi o racconti) e i testi storico-politici (gli articoli o le biografie storiche), risulta uno strano connubio di realismo storiografico e mitologia romantico-orientale.
Se i romanzi come «Ali e Nino», o i vari racconti che compongono i «Dodici misteri del Caucaso» offrono al lettore un’immagine viva e ricca della cultura dei luoghi e dei popoli descritti, immagine sostenuta anche da precise e dettagliate indicazioni storiche, la sua scrittura giornalistica si arricchisce al contrario di metafore e di citazioni letterarie e poetiche.
Accanto ai personaggi realmente esistiti, Essad Bey pone alcune figure della letteratura mondiale o dei miti antichi, come Faust, Don Chisciotte, Prometeo, tanto da creare una particolarissima fusione di realtà e finzione, di poesia e verità.
Si può notare allora una vera e propria «distorsione» della storia nel mito o nella leggenda, che diventa un tratto peculiare di tutta la sua scrittura.
Egli stesso si dichiara più volte restio allo «sguardo gelido dello storico-razionalista» o ai «pesanti volumi dei dotti e degli eruditi», privilegiando, invece, l’«irrazionalità sentimentale» anche nella scrittura storica.
 
Questa contraddizione riflette l’intima dilacerazione dell’autore, quella che i romantici chiamavano la «Zerrissenheit», che è propria dell’uomo e dell’intellettuale moderno, eternamente sospeso tra due pulsioni o tendenze contrapposte, e che si manifesta in Essad Bey anche nella scelta del tedesco come lingua principale di espressione, un tedesco che per i tedeschi ha un ritmo diverso.
La sua scrittura, allora, non solo si compie all’insegna di una magica fusione tra storia e mito, tra lingua tedesca e ritmo azero, ma riesce anche a coniugare l’origine caucasica, l’educazione (e l’ironia) ebraica, l’adozione della cultura tedesca, metropolitana e tecnologica, e infine la fascinazione per la religione islamica e il mondo arabo.
Tutto ciò fa di lui una figura della contraddizione e del confine, che per molti versi ricorda quella degli scrittori romantici, di molti intellettuali ebreo-tedeschi, figure dalla doppia o molteplice identità; per altri versi si rivela come una figura tipica del periodo interbellico del primo Novecento europeo, e infine come tipico intellettuale della Repubblica di Weimar, in un periodo in cui il cosmopolitismo della cultura e dell’arte tedesca e il recupero di una certa tendenza romantica alla ricerca di valori universali-umani, sarebbero di lì a poco degenerati in un culto folcloristico e nazional-popolare.
 
Negli anni Trenta Essad Bey era uno scrittore di grande fama e notorietà. In Italia i suoi libri furono pubblicati e ristampati con grande successo di pubblico e vendite.
Produsse moltissimo. Scrisse saggi e biografie: i più volte ristampati Stalin (Treves-Treccani-Tumminelli, 1931, e nel dopoguerra, Garzanti) e Lenin (Treves, 1935, e nel dopoguerra, Garzanti), Ma anche Nicola II (Bemporad, 1936) e Maometto (Bemporad, 1935).
E poi L’Islam ieri, oggi, domani (Treves, 1937), La congiura contro il mondo. GPU (Marangoni, 1932), Giustizia rossa. I processi politici dell’URSS (Sansoni, 1938), e L'epopea del petrolio (Bemporad, 1937).
E poi ancora «Petrolio e sangue in Oriente» (Sonzogno, 1932), «Dodici misteri nel Caucaso» (Sonzogno, 1932), e il suo capolavoro, «Ali e Nino», pubblicato sotto il nome di Kurban Said. Tradotto in 33 lingue, «Ali e Nino» è stato recentemente ripubblicato con una nuova traduzione italiana (Imprimatur, 2013).
 
Due innamorati. Nino, georgiana e cristiana, una principessa, e Ali azerbaigiano e musulmano, discendente da una nobile famiglia.
Una vicenda che si dipana sullo sfondo di un impero russo oramai al tramonto. Ali la chiede in moglie, la salva da un rapimento e la porta lontano.
La guerra segna, con il loro amore, anche la nascita di un mondo nuovo, diverso, in cui dal grande conflitto mondiale alla rivoluzione bolscevica, vive il sogno di indipendenza dell’Azerbaigian moderno.
L’appassionata vicenda amorosa dei due giovani è al centro della narrazione. Ma non si tratta di una Love Story caucasica.
L’autore conduce il lettore attraverso un affascinante viaggio a Baku, Tbilisi, il Karabakh, Teheran e le montagne del Dagestan.
Una narrazione a 360 gradi: amore e passione; guerra e rivoluzione; onore e disgrazia; montagne e deserti; la Baku cosmopolita e le strade di Tbilisi; l’Islam, il Cristianesimo e la nuove fede monoteistica Baha’i; l’Europa e l’Oriente. E non poteva mancare il grande combattente del Caucaso, l’Imam Shamil.
 
Un grande affresco, ricco di dettagli. Il Daghestan diventa una sorta di rifugio per Ali, dove trascorre le giornate più belle della sua vita.
Il ritmo della vita di Tbilisi, la vita dell’aristocrazia georgiana, i suoi valori, credenze, tradizioni e caratteri sono cesellati.
E poi il Karabakh, luogo bellissimo dove armeni e azerbaigiani in quell’epoca vivevano insieme in pace.
E poi ancora le descrizioni della Persia musulmana e quelle della cosmopolita Baku: l’estrazione del petrolio ha trasformato la città in un ponte fra Europa e Asia, dove le culture si rimescolavano e la convivenza er ala norma
Aveva scritto nel 1931, in uno dei numerosi articoli pubblicati sulla sua vita: «I numerosi popoli a cui ho fatto visita, i numerosi eventi a cui ho assistito, mi hanno trasformato in un perfetto cosmopolita: ma l’Oriente era dentro di lui. E in questa narrazione ritroviamo l’anima del Caucaso.»
 
L’autore di questo libro è straordinario quanto la storia che narra.
Nato Lev Nussimbaum nel 1905 (ma ci sono alcune incertezze sul reale luogo di nascita) in una famiglia benestante di ebrei che aveva investito nei pozzi petroliferi di Baku. La presa del potere da parte dei bolscevichi costringe la famiglia a lasciare Baku.
Segue un lungo viaggio attraverso Turkestan, Persia e Caucaso. Poi Costantinopoli e infine l’Europa. A Berlino, dove studia, il futuro scrittore si converte all’Islam e assume il nome di Essad Bey, intraprendendo una brillante carriera di giornalista e scrittore.
Con l’ascesa al potere di Hitler abbandona la Germania per gli Stati Uniti e un burrascoso matrimonio. Con il divorzio ritorna in Europa, in Austria, che dovrà lasciare dopo l’Aschluss per la Svizzera, Tripoli e poi l’Italia.
A Roma entra in rapporto con Giovanni Gentile e coltiva il progetto di scrivere una biografia di Benito Mussolini per la sua casa editrice, la Sansoni.
Non se ne farà nulla perché viene sottoposto a controlli di polizia, a Positano, dove si è trasferito e dove morirà il 27 agosto 1942, non ancora trentasettenne.
L’ultimo periodo della sua vita sarà segnato da penosi stenti e di grandi sofferenze, per un morbo che aveva colpito il suo sangue e progressivamente mandava in cancrena gli arti.
Quest’ultimo periodo di vita è documentato in Romolo Ercolino, «Essad Bey. Scrittore azerbaigiano a Positano» (Nicola Longobardi editore, 2013). A Positano scrisse anche un ultimo romanzo, ancora inedito, e avrebbe dovuto essere pubblicato sotto il nome Kurban Said: «Der Mann, der Nichts von der Liebe verstand».
Alla sua straordinaria vicenda è dedicato un affasciante e dotto lavoro di Tom Reiss, «L’orientalista» (Garzanti, 2006).

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