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La «pelle mela» di Albert Volcan e altre sue invenzioni – Di Daniela Larentis

Recuperare gli scarti di lavorazione delle mele per creare valore

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Dal bruciatore volumetrico che utilizza solo carburanti di scarto industriale (per il quale esiste già un brevetto internazionale) a un nuovo sistema di riutilizzazione del PET, materiale usato per la produzione di bottiglie d’acqua, alla realizzazione del primo scooter, in Italia, costruito interamente con plastica riciclata (costruito con 660 bottiglie), alla prima lavastoviglie senza acqua e detersivi progettata nel 1999 (e brevettata qualche anno dopo), fino allo sviluppo di una felice intuizione, quella di recuperare gli scarti della lavorazione delle mele e delle fibre vegetali in esse contenute, processo che consente la produzione di carta, colla, ecopelle, pannelli per l’edilizia, mangime, fertilizzanti.
Stiamo parlando della genialità di Albert Volcan, un personaggio eclettico, imprenditore, inventore, progettista concreto (a proposito di quanto detto prima, egli discusse la tesi sul Bruciatore volumetrico da lui ideato presso lo Joanneumistitut di Graz) ma anche sognatore, un ricercatore ecologico, un creativo che ha il dono della lungimiranza e al quale una ventina di anni fa o poco meno la Comunità Europea assegnò per una delle sue idee il «Premio Life 1997».
Nel 1999 ricevette il prestigioso «Premio Val di Sole» settore ecologia. Gli venne conferita la targa internazionale Economia ed ambiente con la motivazione che segue.
«Albert Volcan è stato il primo ed ancora unico in Europa ad aver reso praticabile, efficiente e conveniente un impianto di riciclaggio della plastica giustificando l’uso del termine NOBILITARE in luogo del più comune RICICLARE. Ciò lo rende meritevole di un riconoscimento, di una gratitudine, di una speranza per il terzo millennio» (1999 Premio Val di Sole in Folgarida di Trento).
In occasione della Fiera delle Invenzioni, nel 2010 a Ginevra Volcan rappresentò l’Alto Adige e l’Italia, ricevendo una medaglia d’oro e un diploma dell’ufficio brevetti e marchi internazionali. Studenti di varie università hanno steso tesi di laurea sulla sua idea del recupero degli scarti delle lavorazioni delle mele.
 
Ospite, poi, di programmi televisivi di divulgazione scientifica (ricordiamo la trasmissione TV-RAI 3 I magazzini di Einstein nel 1997, titolata CRASH), Albert Volcan è un personaggio che possiamo tranquillamente definire geniale, tuttavia non si è affatto montato la testa (l’umiltà contraddistingue spesso i grandi uomini, le grandi menti): egli rimane un uomo schivo che ha a cuore particolarmente la tutela dell’ambiente.
Un uomo che sembra aver fatto sua l’affermazione del biologo statunitense Barry Commoner (uno dei fondatori della scienza ambientale), il quale affermava che «in natura nessuna sostanza organica si sintetizza se non ha già in sé il modo della propria degradazione, il riciclaggio è obbligato».
E Albert Volcan ha trovato il modo di riciclare, recuperare e riutilizzare gli scarti della lavorazione delle mele, trasformando quello che è di per sé un problema (lo smaltimento con i costi che ne derivano) in un’opportunità, una risorsa che potrebbe rivelarsi estremamente preziosa e positiva per il nostro territorio a forte vocazione agricola.
Curiosi di saperne di più, abbiamo voluto porgergli alcune domande.

Solitamente quando le arrivano le idee, c’è un momento particolare in cui si sente maggiormente creativo oppure sopraggiungono casualmente?
«Le idee mi vengono generalmente verso le quattro della mattina. Mi vengono spontaneamente, rielaborando qualcosa che ho visto, particolari che gli altri magari non notano».
 
Ci può parlare della sua felice intuizione di utilizzare le mele per l’assorbimento di idrocarburi?
«Certo. Nel giugno del 2010 il Presidente degli Stati Uniti, Obama, fece un appello al mondo intero per risolvere i problemi legati alla catastrofe ambientale che aveva colpito il Golfo del Messico.
«Iniziai a pensarci e mi venne un’idea alle quattro di mattina: presi le calze di mia moglie e le riempii con un etto e mezzo di mele essiccate provenienti da scarti industriali, immergendo il tutto in acqua, nella quale versai un litro di gasolio.
«Il giorno dopo notai con grande sorpresa che lo scarto delle mele aveva assorbito tutto il gasolio, lasciando l’acqua totalmente pulita. Seguirono tre mesi di test con la Protezione Civile di Bolzano.»
 
Per capire meglio, ci potrebbe dire, per esempio, quanti idrocarburi sarebbe in grado di assorbire, più o meno, un Kg. di mele essiccate?
«Un Kg. di mele essiccate sono in grado di assorbire circa 5 litri di idrocarburi.»
 
Di che cosa si è occupato nella sua vita lavorativa e quando è nata l’idea di recuperare gli scarti della lavorazione delle mele?
«Sono stato in IVECO fino al ’78. Ero responsabile della Fonderia. Ho iniziato a girare il mondo, sono andato in Europa, in Canada, in Russia dove mi occupavo attivamente dell’installazione e manutenzione di Forni di Fusione, nonché al montaggio di Gruppi Elettrogeni (nella Guinea Equatoriale).
«Sono poi andato nel 1986 in Cina con la Olivetti per l’assemblaggio del primo computer presso la società Nantian.
«Alla fine degli anni Ottanta ho realizzato alcuni impianti a letto fluido in collaborazione con la società belga Dinamec. L’idea di recuperare gli scarti della lavorazione delle mele è nata nel 2000, nel cimitero di Bronzolo. A ridosso del cimitero c’era un produttore di succhi di frutta.
«A quei tempi, ora non più, l’odore era piuttosto pungente. Mi venne la curiosità di chiedere un piccolo quantitativo di prodotto di scarto e lo feci essiccare, dopodiché andai alle cartiere Favini a condurre dei test e da quella intuizione nacque la carta mela. Poi, sempre dalle mele, ho sviluppato in collaborazione con la Henkel tedesca una colla ecologica dalla resistenza ottimale, priva di prodotti chimici dannosi per l’ambiente.
«È nata poi la pellemela, la quale può essere utilizzata per realizzare borse, scarpe, pelletteria in genere, anche nell’arredamento. Si tratta di un prodotto esclusivamente vegetale e biodegradabile disponibile in varie colorazioni.
«È inoltre in fase di studio (sempre protetta da brevetto) la produzione di pannelli per l’edilizia.»
 
Come ha vissuto gli anni successivi alle sue rivoluzionarie intuizioni, per esempio la creazione di una lavastoviglie funzionante senza bisogno di acqua?
«Sono stati anni difficili. Pur essendo in grado di offrire delle soluzioni che gioverebbero all’ambiente e alle persone che ne potrebbero beneficiare, nessuno inizialmente ti crede.
«Faccio un esempio: quando ideai la lavastoviglie senza acqua all’epoca non mi ascoltarono, ora, a distanza di molti anni, consapevoli di quanto l’acqua rappresenti una risorsa e sia preziosa soprattutto in luoghi del mondo dove scarseggia, sono le multinazionali che mi stanno cercando.»
 
Lei ha ricevuto numerose proposte commerciali perfino dalla Cina e non solo. Qui in Italia e in particolar modo in Trentino, la patria della mela, come è stato accolto il suo progetto, ne è stata capita la potenzialità o ha incontrato indifferenza?
«Ho speso molti soldi di tasca mia, non ho mai ricevuto nessuna sovvenzione. Non è stata ancora recepita la potenzialità di questa scoperta. Eppure è evidente che il progetto, se sviluppato, potrebbe non solo creare nuovi posti di lavoro ma anche giovare all’immagine del nostro territorio.»
 

 
L’idea di offrire non solo le mele, eccellenti frutti della nostra terra, ma anche i prodotti ottenuti con i loro scarti di lavorazione, manufatti «made in Trentino Alto Adige» di cui andare orgogliosi, sembrerebbe proprio una scelta strategica, un modo intelligente di valorizzare il territorio e le sue risorse, creando fra il resto, come ci è stato fatto presente, nuovo lavoro.
E proprio Volcan sottolinea l’importanza di compiere delle scelte ecologiche, operando nel pieno rispetto dell’ambiente.
«Le imprese responsabili dei residui di lavorazione – aggiunge, – non sono in grado, sempre, di valutare una diversa utilizzazione dei residui stessi.»
 
Noi troviamo semplicemente straordinario il fatto che quello che di per sé costituisce un rifiuto, qualcosa da dare in pasto tutt’al più al bestiame (un rifiuto che con il calore può sviluppare, come ci viene spiegato da Volcan, una particolare tossina potenzialmente pericolosa, l’aflatossina, che si forma a una determinata temperatura, in presenza di zuccheri e di umidità), possa rinascere a nuova vita.
«Per realizzare la pellemela – ci racconta il suo ideatore, – serve solo un semplice macchinario non inquinante, solo una semplice macchina utilizzata nei pastifici industriali.»
 
Un materiale che è diventato anche opera d’arte: in occasione di TecnoNart, la mostra evento inaugurata la settimana scorsa a Sanzeno, Trento, in cui tecnologia natura e arte sono perfettamente coniugate e integrate fra loro nel rispetto dell’ambiente, è stata presentata un’opera realizzata dall’artista BuCa, la Bucabag, che vede l’impiego proprio della pellemela, un esempio di come l’arte possa abbracciare il concetto di natura.
Il progetto sviluppato da Albert Volcan potrebbe offrire molte possibilità, soprattutto qui da noi, in tutto il Trentino Alto Adige, dove con un po’ di volontà si potrebbe facilmente trasformare una geniale idea in opportunità, prima che, naturalmente, stufo di essere ignorato, Volcan decida improvvisamente di rivolgere la sua attenzione altrove, offrendo la sua ricerca oltreconfine.
 
Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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