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Presentato a Milano un nuovo modello di Credito Cooperativo

Si va verso la più significativa riforma del credito del Paese che vede da una parte il «patrimonio strutturato» e dall’altra la «democrazia patrimoniale localizzata»

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Nell’Italia delle riforme, il presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva preparato un decreto legge destinato a dare un nuovo volto al sistema nazionale del credito.
Il decreto, steso con la fretta tipica del nostro giovane presidente, è stato fermato sulla strada che da Palazzo Chigi porta a Montecitorio, probabilmente perché tagliava un po’ troppo le curve.
Certo però il contenuto ha attivato le attenzioni di tutto il mondo del credito cooperativo, che dalla prima ipotesi di decreto pareva dover essere conglobato senza troppe distinzioni da quello bancario tradizionale.
Poiché il rischio era quello di snaturare completamente i principi che hanno fatto sorgere la cooperazione, le casse rurali delle Tre Venezie, che si trovano accomunate da una medesima Società per Azioni che si chiama Cassa Centrale Banca, hanno preparato le contromosse.
 

 
L’obbiettivo che si sono posti i vertici è ambizioso quanto semplice: allargarsi aprendo spazi a tutte le Casse rurali interessate non solo a rimanere tali, ma anche a rilanciarsi nel mercato italiano ed europeo.
Il raccordo tra i principi del patrimonio e profitto con quelli del movimento cooperativo è stato trovato con la formula della «democrazia patrimoniale autonomistica», termine coniato peraltro da noi ma che sta a spiegare qualcosa che può sembrare un ossimoro ma che in realtà è l’uovo di Colombo.
L’autonomia va lasciata alle singole casse rurali in maniera direttamente proporzionale al proprio successo imprenditoriale. Ovvero, più l’istituto di credito va bene e più verrà lasciato operare in piena autonomia.
Laddove sorgeranno invece aree problematiche, l’organizzazione dovrà intervenire e accompagnare le proprie socie o associate affinché ritrovino la strada giusta.
In questa maniera vengono rispettati sia i principi del profitto che della piena autonomia. Il pregio di tutto ciò è che la nuova dimensione collettiva del credito cooperativo può diventare tranquillamente il contraltare a quello delle banche di capitale, ma senza snaturare le fondamenta di ogni realtà finanziaria.
 

 
Tutto questo è stato presentato nel corso di una conferenza stampa organizzata significativamente in una delle sale della Borsa di Milano, alla quale hanno partecipato i giornalisti nazionali ma anche i vertici di molte casse rurali, non solo delle Tre Venezie.
«L’obbiettivo è evolvere un sistema di banche radicate nelle proprie comunità – ha sintetizzato il presidente di Cassa Centrale Banca Giorgio Fracalossi, – in un sistema di banche locali autonome e competitive, organizzate in un moderno gruppo bancario cooperativo.»
«Per un nuovo modello di gruppo bancario – ha aggiunto il vicepresidente vicario Carlo Antiga, – è necessario rispettare l’autonomia delle singole banche e offrire un’alternativa all’adesione obbligatoria a una holding.»
«Le Banche di Credito Cooperativo-Casse Rurali, forti della loro identità storico-culturale, sono un valore straordinario per l’Italia intera, – ha precisato il direttore di CCB Mario Sartori. – Ma devono potenziare il ruolo di banche di territorio come motore economico e sociale a favore delle famiglie e delle piccole aziende.»
La proposta è stata accolta con un applauso spontaneo dai presenti.
 


Ora però si dovrà procedere con metodologie che dimostrino l’agilità del mondo cooperativo che non può essere secondo a quello di capitale.
Si comincerà con i consigli di amministrazione delle BCC-CR affinché approvino la proposta e preparino il terreno alle assemblee che a loro volta dovranno dare la propria adesione in tempi molto stretti.
Tempi che possono essere quantificati con riferimento all’attività di governo.
Se Renzi vara un nuovo decreto legge e poi lo passa alla discussione parlamentare (che lo deve convertire in legge entro due mesi), si presuppone che i tempi portino alla fine del corrente anno.
Il credito cooperativo dovrà quindi giocare d’anticipo e far sì che il Parlamento si trovi a dibattere la questione con in mano i documenti che dimostrino che le realtà di credito sono due, quelle facenti capo all’ICCREA e alla CCB.
La nuova capitalizzazione del progetto cooperativo vedrà come obbiettivo una quota variabile degli 800 milioni al miliardo a seconda della risposta delle casse rurale coinvolte.
Da parte opposta, il patrimonio è già di circa 1,5 miliardi di euro.
 

 
A ben vedere, tutto questo sembra un attento e pianificato gioco delle parti.
Renzi lancia un sasso nello stagno e poi nasconde il dito. Subito il mondo cooperativo reagisce e Renzi può trovarsi a ragionare su uno scenario più completo e articolato che ben rappresenterà quella fase di riforma dell’intero comparto del credito che si era posto.
Immaginiamo che il mondo bancario di capitale reagirà immediatamente, collaborando così alla volontà del Premier.
Se così fosse, i benefici andrebbero comunque a favore dell’intero Paese. 
 
G. de Mozzi

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