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Banche di territorio: riforma o autoriforma? – Di M. Bornancin

Il credito cooperativo va difeso, purché apra a nuovi scenari per rimanere dentro il mercato, ma senza rinunciare ai valori fondanti della cooperazione

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La facciata di Palazzo Koch, sede della Banca d'Italia.
 
Dopo la riforma legislativa delle Banche Popolari, che impone a quelle con un bilancio attivo superiore a otto miliardi, la trasformazione in S.p.A. è in arrivo la riforma delle BCC – Banche di Credito Cooperativo – il cui cammino è già stato tracciato a grandi linee dalla Banca d’Italia.
La Banca d’Italia ha di recente emanato le disposizioni di attuazione della riforma delle banche Popolari, determinata dal Decreto Legge 3/2015 convertito con Legge 33/2015.
Con questo passaggio la riforma delle Banche Popolari italiane è così completata in tutti i suoi aspetti ed è quindi possibile avviare le operazioni societarie necessarie per darvi attuazione.
In analogia a questa modifica delle organizzazioni bancarie è prevista per il prossimo autunno l’approvazione, da parte degli organismi competenti in materia, della riforma attraverso apposito decreto delle Banche di Credito Cooperativo.
Di conseguenza ha preso sempre più quota il dibattito sulla riforma delle banche della Cooperazione.
 
Federcasse, Casse Rurali e Artigiane stanno definendo le proprie proposte, che vanno dalla costituzione di un’unica Holding nazionale e/o da Holding di minori dimensioni finanziarie scaturite dopo la giornata di approfondimento avvenuta a Milano (vedi nostro servizio), riconosciuta come il cuore finanziario del paese, e dal prossimo momento di confronto previsto con una seconda giornata a Bologna alla fine di settembre.
Momenti questi importanti per uno studio sul da farsi, anche su un’informazione e scelta del progetto di nuovo modello del sistema bancario cooperativo.
Già a Milano sono state presentate le prime finalità di questo progetto che tende a creare un sistema di banche radicate nei territori, nei paesi, nelle comunità, una sorta di banche locali e non localistiche, autonome e competitive, organizzate in un moderno e innovativo gruppo cooperativo.
Il tema centrale della riforma è il rafforzamento patrimoniale delle Casse Rurali.
Da ciò la necessità di costruire una Holding tra più zone, (macro regioni) con un patrimonio tale da attirare nuovi capitali come ad esempio le casse venete e friulane, in alternativa a similari e ipotetiche maxi organizzazioni. a livello nazionale
Un reale contrappeso politico nel panorama degli istituti popolari anche di matrice cooperativa.
Vale la pena ricordare a proposito, che buona parte della futura riforma del credito cooperativo, passa dal Nord Est.
 
In quest’area infatti, rappresentata da tre Regioni confinanti, vi è la maggior concentrazione d’istituti (138 su un totale di 379) ed è da qui che arrivano le maggiori resistenze a un processo aggregativo radicale, che ipotizza la creazione di una sola capogruppo a livello nazionale.
Le ragioni di tali resistenze sono storiche, economiche e di specificità territoriali.
La crisi degli ultimi anni e la difficoltà a far ripartire il credito ha fatto sì che fosse rafforzata la vigilanza sugli istituti di credito.
Nell’ultima parte del 2014, la BCE ha assunto in proprio la vigilanza di 120 gruppi bancari europei, di questi 12 italiani.
Da qui anche la necessità a cascata della riforma delle popolari, per giungere a un tipo di banche più aperte al mercato, con spalle più robuste per il rilancio del credito complessivo.
Allora il vento della riforma è per forza arrivato anche alle banche della cooperazione, però in questo caso è attuata una «moral suasion»che porti con la collaborazione della Banca d’Italia ad una «autoriforma» o meglio un cambiamento dal proprio interno.
Questi aspetti e il sistema Nord Est, che fa riferimento alla Cassa Centrale Banca, ha presentato un progetto denominato «sistema federato», con una garantita autonomia delle Rurali e di BCC che vi fanno parte in base ai parametri di richiesta ossia più è virtuosa la banca più diventa autonoma.
 
Un sistema economico e finanziario, quello del Nord Est, che ha sempre fatto da traino anche per altre zone del Paese e che ha sempre rafforzato i rapporti con le piccole imprese.
Basti pensare come da un recente rapporto della CGIA di Mestre sia emerso che, tra il 2011 e il 2013, durante gli anni della stretta creditizia, le banche popolari e le casse rurali, sono state le uniche ad aumentare i prestiti alle piccole imprese.
Queste banche sono società cooperative, locali, capillarmente diffuse in tutto il territorio del nostro paese e da oltre 130 anni svolgono il ruolo di banche del territorio, assolvono una funzione specifica, quella di promuovere sviluppo e rispondere alle necessità economiche e sociali della comunità, così come indicato dall’art. 2 dello Statuto delle BCC. Ieri come oggi le BCC sono impegnate a essere così buone banche.
Una realtà quella del sistema bancario in questione, rappresentato nel 2015 a livello nazionale da 372 banche di credito cooperativo e casse rurali, 4.475 sportelli (14,5%) degli sportelli italiani, 1.219.109 soci, 37.000 dipendenti.
Nel Nord Est, il Veneto con 33 Casse 640 sportelli; il Trentino con 43 Casse e 372 sportelli, l’Alto Adige con 47 Casse e 191 sportelli, il Friuli con 15 Casse e 238 sportelli.
 
L’orientamento quindi della creazione di un unico soggetto bancario cooperativo per il Triveneto è dato, non solo per affinità economiche e sociali, ma anche per la necessità di fare rete attraverso piani condivisi di aggregazioni, realizzando così un’organizzazione idonea alle logiche del mercato attuale e futuro e incentrata su una offerta competitiva.
Una linea di rafforzamento del patrimonio e di autonomia gestionale, questo è l’obiettivo che deve permanere nei progetti di cambiamento che stanno per perfezionarsi.
È oramai risaputo che le buone imprese, anche cooperative, crescono solo se vi è una convinta identità, un sostegno alla partecipazione dei soci, una condivisione dei valori, della cultura, delle strategie del mercato.
Non si può nemmeno dimenticare che le banche seguono e non precedono le imprese e l’evoluzione del sistema economico, ma rimangono in sintonia con le veloci trasformazioni dell’economia in cui sono inserite.
Si tratta quindi di un modello da difendere, che si apre a nuovi scenari, migliorando il sistema organizzativo e di gestione, per rimanere dentro il mercato, senza rinunciare ai valori fondanti della cooperazione, ma con dinamismo, accrescendo la naturale competitività e irrobustendo la qualità dei servizi alle famiglie e alle imprese.
 
Maurizio Bornancin

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