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Oggi al Sociale di Trento, la prima «Lezione di storia»

Simona Colarizi ha spiegato la situazione mediatica precedente l’entrata in guerra

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Oggi Simona Colarizi ha tenuto la prima delle nove «Lezioni di storia» che la casa editrice Laterza sta portando nel Paese per diffondere più conoscenza sui fatti che hanno caratterizzato il Secolo breve.
Con lei doveva esserci il collega giornalista Luigi Sardi, che però era ammalato. E nessuno ha voluto sostituirlo nel ruolo di contradditorio.
Quindi Simona Colarizi ha parlato per poco più di un’ora, spiegando le condizioni mediatiche che hanno accompagnato le vicende politiche che hanno portato alla dichiarazione di guerra, della Grande Guerra.
La studiosa ha spiegato il ruolo dei giornali e decision maker del tempo, dei politici e di coloro che riuscivano a trascinare l’opinione di massa.
Ha illustrato il Corriere della Sera di Albertini nei rapporti con i suoi collaboratori prediletti (d’Annunzio e Di Roberto) e con i politici che in qualche modo si facevano coinvolgere dai comportamenti dei comunicatori.
 
Però non ha illustrato i punti salienti degli avvenimenti che portarono l’Italia all’entrata in guerra, quando invece furono proprio condizionati dalla pubblica opinione.
Salandra aveva sottoscritto il patto di entrata in guerra il 26 aprile, con l’impegno di farlo entro un mese.
Accortosi che in parlamento non aveva una maggioranza che potesse ratificare la fatale decisione, si dimise nelle mani del Re (che peraltro l’entrata in guerra la voleva).
Re Vittorio Emanuele III convocò prima Giolitti, leader dei non interventisti, che non accettò l’incarico di formare un nuovo governo, dato che d’Annunzio stava ormai trascinando il paese.
Allora convocò l’onorevole Marcora, che gli rispose la stessa cosa. Infine rifiutò l’incarico anche Paolo Boselli.
Preso atto che il Parlamento stava diventando interventista, il re respinse le dimissioni di Salandra. Il quale andò in Parlamento è ottenne l’appoggio della Camera e del Senato.
 

 
Poiché la base portante della lezione di storia c’era l’assioma che in guerra non si doveva entrare, desideriamo aggiungere la nostra opinione.
La prima è che col senno di poi tutti avrebbero evitato l’entrata in guerra, mentre chi ha preso le decisioni allora si trovava a vivere quel momento storico.
La seconda era che nessuno poteva pensare che alla fine del conflitto si sarebbero dissolti quattro imperi. Che magari era l’unico obbiettivo della naturale evoluzione storica al tardivo crepuscolo dell’Ottocento.
Quello che allora i realisti avevano chiaro nei futuri scenari era che i vincitori avrebbero quantomeno schiacciato economicamente i paesi non entrati in guerra al loro fianco.
Ma l’intera parte legata all’economia – secondo noi materia fondante nelle ricostruzioni storiche – è stata volutamente dimenticata, secondo la scelta di una precisa scuola di ricostruzione storica.
 
Presenti in platea del Teatro Sociale circa 300 persone.
Non molte, se si pensa che tutti i palchi erano vuoti. Ma tantissime se si pensa che l’argomento non era certamente leggero e a quell’ora della domenica i più hanno altri interessi.
Noi giudichiamo estremamente importante la risposta della gente, che ha voluto venire ad ascoltare un’esperta di una parte della storia che ha generato la più grande pagina di sofferenza del Trentino.
Peccato che non abbia potuto assistere a un contradditorio, che la gente avrebbe potuto interpretare come voce propria.
La prossima lezione di storia al Sociale di Trento si terrà l’11 ottobre sul tema «Caporetto per chi perde, Caporetto per chi vince».
 
G. de Mozzi.

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