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Operazione «OPUS» - Scoperta maxi truffa internazionale

La Guardia di Finanza di Bolzano ha posto agli arresti domiciliari un alto prelato di origini argentine: la sola evasione fiscale sarebbe di 30 milioni

I militari della Guardia di Finanza del Comando Provinciale di Bolzano hanno eseguito l’ordinanza cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di un alto prelato in pensione di origini argentine, Monsignor P. B., residente alle Isole Canarie, il quale ha tra l’altro operato presso vari livelli del Tribunale Ecclesiastico alla Santa Sede in Vaticano e quale Secondo Cappellano Militare presso la Scuola di Telecomunicazioni delle Forze Armate gestita dalla Marina Militare a Chiavari (GE).
Sono in corso le operazioni di ricerca internazionale dell’affarista in campo immobiliare e finanziario di origini francesi, C. V., stretto collaboratore del Monsignore, colpito da ordinanza di custodia cautelare in carcere e mandato di cattura internazionale in quanto irreperibile.
Inoltre, sono stati effettuati sequestri di svariati immobili, documentazione e conti correnti bancari nonché effettuate perquisizioni in varie località in Italia e rogatorie internazionali in numerosi Paesi Europei.
 
Le indagini dell’operazione denominata «OPUS», condotte dalle Fiamme Gialle altoatesine, su direzione della Procura della Repubblica di Bolzano, hanno fatto constatare come l’uomo di Chiesa e l’affarista fossero stati promotori e organizzatori di un’associazione a delinquere, attiva sul territorio nazionale ed estero, finalizzata alla commissione di svariati e ripetuti reati di truffa, riciclaggio e tributari, coinvolgendo persone e società collocate in Francia, Belgio, Svizzera, Lussemburgo, Stati Uniti e Italia.
Oltre ai due, della associazione facevano parte altre nove persone che a vario titolo collaboravano all’attività illecita, segnalate all’Autorità Giudiziaria, mentre i truffati sono quasi trecento, prevalentemente residenti all’estero, per lo più in età avanzata, i quali, con la speranza di affidare i propri risparmi a persone esperte nei settori immobiliare e finanziario nonché animati dalla volontà di contribuire e aiutare la Fondazione umanitaria «KEPHA», capitanata dal prelato, versavano i propri soldi al sacerdote, che millantando inesistenti accreditamenti e collegamenti in Vaticano, ne carpiva la buona fede raccogliendo e facendo poi svanire complessivamente circa 30 milioni di euro, attraverso un articolato meccanismo di riciclaggio tra persone, società estere e italiane.
 
Le indagini sono scaturite da una denuncia di una ex collaboratrice del prelato, già suora, che si vedeva recapitare presso la propria abitazione in Alto Adige documenti bancari e non, riferiti ad un trust e una società di capitali, entrambi denominati Opus che, evidenziavano movimentazioni di denaro per centinaia di migliaia di euro e delle quali non sapeva darsi una spiegazione ma che erano in ogni caso a lei riconducibili almeno cartolarmente.
La religiosa infatti, aveva poi raccontato ai militari della Guardia di Finanza che, spinta dalla fiducia che riponeva nell’ecclesiastico, quando viveva con lui a Roma, aveva firmato alcuni contratti costitutivi, divenendo, tra l’altro, rappresentante legale della OPUS nella sede in Alto Adige, rimanendo così coinvolta nel procedimento fallimentare della società Kepha Invest in Belgio.
La Fondazione Kepha si è vista recapitare richieste di escussione delle garanzie prestate per milioni di milioni di euro quando il Monsignore si era palesato come incapiente rispetto alle richieste degli investitori privati che a partire dal 2014 non si vedevano più corrispondere gli interessi sul capitale (inizialmente regolari, come è tipico nell’ormai noto meccanismo c.d. Schema Ponzi) né tantomeno restituire quanto investito.
 
L’attività d’indagine ha comportato per i militari della Guardia di Finanza l’esecuzione di perquisizioni, sequestri, analisi di conti, intercettazioni telematiche nonché il coordinamento con i Paesi Esteri interessati per tramite di Eurojust all’Aja, il tutto allo scopo di ricostruire il complesso modus operandi truffaldino posto in essere dalla Fondazione KEPHA in Italia, della KEPHA INVEST in Belgio nonché la condotta di ripulitura del denaro successiva svolta per mezzo di tante altre società e che ha trovato attuazione anche in Italia.
Le somme complessivamente sottratte agli investitori oggetto della truffa, oggetto della condotta riciclatoria e del reato di evasione fiscale sono state quantificate in circa 30 milioni di euro (che è il dato che emerge dal bilancio della società debitrice in Belgio) e il sequestro preventivo in forma per equivalente è stato disposto dall’Autorità Giudiziaria.
In esecuzione di tanto, i Finanzieri hanno messo i sigilli per sequestro a Villa Vittoria, una lussuosa e antica dimora risalente nelle mura al 1465, a Piombino (LI), di proprietà della Fondazione Kepha del valore di circa 8 milioni di euro, utilizzata personalmente da Mons. B.
 
Oltre alla villa, sempre di proprietà della Fondazione, è stato sequestrato un grande sito archeologico in Sicilia nel Centro Archeologico Museale di Triscina di Selinunte (TP), del valore di circa 850.000 euro; di proprietà della I. SRL, società avente sede in Lussemburgo ma riferibile all’indagato latitante V., è stato sequestrato un immobile in Poggio Catino (RI) del valore di 530.000,00 euro e altri immobili e terreni a Poppi (AR) per il valore di 670.000,00 euro.
Nel mandato di arresto europeo è stato richiesto espressamente il sequestro anche di una villa considerevole in Corsica.
È stato sottoposto a sequestro, indine, anche il sito web della Fondazione Kepha ONLUS all’indirizzo www.kepha.eu.
L’indagine della Guardia di Finanza punta quindi ad accertare i veri responsabili della sparizione del denaro affidato, soltanto per un equivoco, a chi in quel momento sembrava rappresentare un’istituzione come il Vaticano ma che in realtà ha alimentato soltanto i conti personali delle persone che ad oggi sono nel mirino della Procura della Repubblica di Bolzano.

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