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«La scommessa? Rimettere le persone al centro di internet»

Informatici e giuristi dell’Ateneo trentino sono al lavoro nel team interdisciplinare e internazionale che conta complessivamente sei partner

«L’Internet delle cose mette in rete miliardi di dispositivi che diventano risorse condivise oltre il controllo del proprietario.
«Noi lavoriamo invece per un Internet delle persone, un sistema che rimetta al centro della tecnologia e del mondo virtuale la partecipazione delle persone e i loro bisogni di cittadini, togliendoli dallo status di semplici acquirenti di servizi concepiti da altri a puro scopo di lucro.»
Renato Lo Cigno spiega così la scommessa del progetto «netCommons» (network infrastructure as commons il titolo completo, che in italiano può essere tradotto come «l'infrastruttura di rete come un bene comune»).
Il progetto di ricerca interdisciplinare netCommons ha ottenuto un finanziamento europeo (quasi 2,5 milioni di euro complessivamente) nell'ambito di Horizon 2020 superando la selezione come terzo miglior progetto su quasi 200 presentati nell'area CAPS (Cooperative Awareness Platforms for Sustainability) relativa allo studio dei sistemi e delle piattaforme di comunicazione che consentono di migliorare la consapevolezza e la sostenibilità dell'uso delle risorse.
 
I sei partner di netCommons sono: Università di Trento; Universitat Politècnica de Catalunya; University of Westminster; Athens University of Economics and Business Research Center; CNRS (Centre national de la recherche scientifique); Nethood (organizzazione no profit, Svizzera). A coordinare il progetto è l’Università di Trento attraverso il gruppo di ricerca ANS (Advanced Networking System group), guidato da Renato Lo Cigno, professore di reti di calcolatori al Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell'Informazione (DISI) e delegato del rettore per i servizi informatici di Ateneo.
L’Università di Trento è inoltre coinvolta nel progetto con Roberto Caso, professore di Diritto privato comparato alla Facoltà di Giurisprudenza e delegato del rettore per l'open access e le politiche contro il plagio.
Nei giorni scorsi tutti i partner del progetto H2020 netCommons si sono riuniti al DISI per l'incontro iniziale, il cosiddetto calcio di inizio dei lavori, che li vedrà in attività per 24 mesi.
 
«In un'era di globalizzazione aggressiva – osserva Lo Cigno – le reti comunitarie ricordano le Magnifiche Comunità che per centinaia di anni, grazie a semplici regole condivise, hanno consentito la gestione consapevole e sostenibile della montagna, dei boschi e in generale del bene comune nel nostro territorio.
«Noi perseguiamo una gestione consapevole e sostenibile della comunicazione. Osserviamo che i servizi di Internet sono concentrati nelle mani di pochi attori globali e anche l'infrastruttura fisica di comunicazione è dominata da poche decine di operatori a livello mondiale.
«Il progetto netCommons ha l'obiettivo di studiare la fattibilità tecnica, sociale, legale ed economica di approcci alternativi. In particolare il modello che verrà studiato e proposto è quello delle reti comunitarie (Community Networks), cioè reti locali che sfruttano tecnologie ormai affermate ed economiche come Wi-Fi e che vengono costruite e gestite da una comunità, fornendo al contempo servizi alternativi locali (come ad esempio social networks legate al territorio, servizi cloud distribuiti sulla comunità, video conferenza e video streaming di eventi locali senza usare le preziose risorse di interconnessione a Internet) e accesso a Internet come lo conosciamo oggi.»
 
Ma le reti comunitarie sono una novità?
«No, reti di questo tipo esistono ormai da molti anni in tanti Paesi, dagli USA alla Spagna, dalla Germania alla Grecia. In Italia la rete ninux (www.ninux.org) ha diverse centinaia di nodi e molti sostenitori appassionati.
«In Spagna, a Barcellona, la rete guifi (guifi.net) ha ormai oltre 30 mila nodi, serve quasi 100 mila utenti ed è supportata da una fondazione che ha la capacità e la natura giuridica per stipulare contratti commerciali con i grandi operatori di rete per ottenere servizi in modo molto vantaggioso per i propri partecipanti.
«Noi vogliamo studiare e capire come far sì che le reti comunitarie diventino semplici da usare (attualmente sono quasi sempre formate solamente da geek e smanettoni informatici), legalmente protette dalle lobby commerciali e socialmente accettate in modo da rappresentare una opportunità su cui costruire l'economia digitale del futuro.»

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