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Il fumo saliva lento… – Di Alistar Rech

Brevi considerazioni di un giovane studente del Liceo artistico Vittoria reduce dal Treno della Memoria ad Auschwitz

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È un percorso difficile, impegnativo, alle volte estenuante, ma certamente molto emozionante e per certi versi soddisfacente.
Fare promemoria non vuol dire solo compiere un viaggio, non vuol dire solo accorgersi di quanto male è capace l’uomo.
Fare promemoria in un posto come Auschwitz-Birkenau vuol dire scoprirsi, spogliarsi di fronte alle paure di quasi 1,5 milioni di persone, alle loro emozioni, alle loro speranze.
Si cerca, in qualche modo, di guardare da più vicino il punto più basso raggiunto dall’Umanità nel ’900, attraverso la Storia e i racconti di Uomini comuni, perché non sempre dobbiamo guardare gli eventi passati attraverso gli occhi dei vincitori o dei vinti; e la Shoah lo dimostra, dimostra il fatto che ciò che è accaduto è passato attraverso tutte quelle persone, quelle vite normali, delle quali altri uomini si sono presi gioco.
Lo dimostra una donna (Elisabetta), figlia di una ex detenuta, venuta per la prima volta nella sua vita a visitare i campi di sterminio insieme ai ragazzi di Promemoria Auschwitz.
La mamma di Elisabetta riporta sul braccio un numero, cifre indelebili che ha voluto coprire; ma mai il destino avrebbe fatto lavoro migliore: la data di nascita di Elisabetta corrisponde a quelle cifre maledette.
 

 
Entrare e passare per i binari di Birkenau vuol dire anche fare i conti con questo, con queste coincidenze terribili e meravigliose allo stesso tempo.
Elisabetta è una donna forte, capace di affrontare la morte e la realtà che nessuno avrebbe mai voluto vedere; nessun uomo avrebbe mai voluto portarsi il peso enorme di un genocidio, di milioni di morti.
Ed è facile sentirsi tristi, vergognarsi ed aver paura che tutto ciò accada di nuovo.
Il progetto Promemoria Auschwitz è nato e vive nel cuore di chiunque sia tanto sensibile da porsi delle domande e tanto umile da ammettere di non saperne dare una risposta.
I giorni trascorsi nella città di Cracovia, con più di seicento ragazzi e ragazze, hanno rivelato in sé una forza ed una volontà di far memoria che in poche altre organizzazioni come Deina si vedono, ed il nostro compito è quello accendere lampadine, piccole luci che illuminano la via della verità, che fanno luce sui grandi perché che ci portiamo quando osserviamo con gli occhi lucidi quei binari, quel filo spinato, e la scritta «arbeit macht frei».

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