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La mostra sulla Shoah dei disabili fa tappa a Sociologia di Trento

L’esposizione apre il 3 marzo alle 17 con proiezione di «Mea Culpa» e dibattito

Sarà il Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Trento (Via Verdi, 26) ad ospitare da giovedì 3 a lunedì 14 marzo «Perché non accada mai più RICORDIAMO», la mostra documentaria che riporta alla luce una pagina dolorosa e spesso poco conosciuta della nostra storia: l’atroce progetto di eutanasia nazista compiuto a danno di circa trecentomila disabili e malati mentali.
Il progetto, noto come Aktion T4, fu una sorta di mostruosa prova generale della Shoah.
L'iniziativa è di Anffas Trentino Onlus che quest'anno, in occasione delle iniziative per i cinquant'anni di fondazione, ha voluto rendere itinerante in tutte le valli trentine l'esposizione sul progetto Aktion T4.
Realizzato in nome della purezza della razza e del risparmio di risorse economiche, ebbe inizio prima dei campi di concentramento e terminò addirittura dopo la liberazione.
Nelle motivazioni che portarono prima alla sterilizzazione forzata, poi direttamente all’uccisione dei disabili, si trova l’assurda giustificazione a tale aberrazione: il Governo di Hitler poté infatti concepire un simile piano perché le sue idee poggiavano su basi scientifiche, politiche e culturali diffuse all’epoca in Paesi civilissimi. Partendo da questi angoscianti fatti storici, la mostra che intendiamo presentare permette di interrogarsi sui temi dell’eugenetica, della scienza, dell’etica e delle politiche del potere ma vuole essere soprattutto un monito per non dimenticare, perché la linea di demarcazione che ha portato a queste derive ha, ancora oggi giorno, un profilo quanto mai labile.
 
Che senso ha, dopo quasi settant’anni, tornare ancora a quel male assoluto che fu lo sterminio nazista per narrare la vicenda terribile dell’uccisione dei disabili e dei malati mentali? Perché tornare su cose che fanno stare tanto male?
Si potrebbe essere tentati di condividere la cinica dichiarazione del dott. Georg Renno (medico nazista responsabile delle uccisioni avvenute nel castello di Hartheim, rimasto impunito) in un’intervista rilasciata ad un’emittente austriaca nel 1988: «È passato molto tempo… un giorno bisognerà pur farci una croce sopra.»
Troppo comodo! Si deve conoscere, anche se fare memoria può essere difficile e doloroso.
È necessario, non tanto per raccontare altre uccisioni, perché, di fronte ai dieci milioni di morti nei campi di sterminio, 300 mila in più aggiungono ben poco, quanto piuttosto per la diversa connotazione dei due stermini e per le domande inquietanti che l’eutanasia dei disabili pone per il presente e per il futuro.
Le uccisioni, gli esperimenti, le sofferenze inflitte ai malati mentali non furono opera delle SS e di fanatici nazisti, ma furono opera di illustri psichiatri che avevano portato la psichiatria tedesca ai vertici mondiali prodigandosi per migliorare le condizioni dei manicomi e dei malati e fu opera di medici di famiglia, di direttori di ospedali, di infermieri che si trasformarono in aguzzini dei loro pazienti.
 
Nelle motivazioni culturali, scientifiche e politiche che portarono prima alla sterilizzazione, poi all’uccisione dei disabili forse si può trovare la risposta alla domanda che da 70 anni tutto il mondo si pone: «Come hanno potuto concepire qualcosa di tanto mostruoso? Come ha potuto una nazione civile come la Germania, in pieno secolo ventesimo, precipitare in una tale barbarie?.»
Il governo di Hitler poté attuare l’orrore dei suoi stermini perché le sue idee poggiavano su basi scientifiche, culturali e politiche diffuse all’epoca in molti altri Paesi civilissimi.
Partendo da esse il nazismo, facilitato dalla disastrosa situazione economica derivata dalla crisi del ’29, attuò una mostruosa manipolazione delle coscienze attraverso l’elaborazione di programmi didattici per tutte le scuole di ogni ordine e grado e organizzò una propaganda capillare fatta di film proiettati nelle 5.300 sale cinematografiche di Stato, di manifesti che tappezzavano ogni strada, di mostre e di opuscoli distribuiti ovunque.
Approfondendo questi aspetti dello sterminio dei disabili ci si rende conto che idee scientifiche distorte e strumenti della comunicazione in mano al potere possono portare a qualsiasi aberrazione, specie se si accompagnano a periodi di grave crisi economica.
Nello sterminio dei disabili due episodi coinvolgono l'Italia. Il primo riguarda la deportazione di pazienti ebrei ricoverati negli ospedali psichiatrici di San Servolo e San Clemente a Venezia.
 
Il secondo riguarda l'ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana.
Nel lungo e prezioso lavoro di ricerca condotta dal prof. Michael Von Cranach negli archivi dell'ospedale psichiatrico di Kaufbeuren, sono state ritrovate delle lettere che erano state gelosamente custodite da un dipendente fino alla sua morte.
Esse costituiscono un'agghiacciante testimonianza di esperimenti medici fatti su alcuni bambini che facevano parte di un gruppo di 400 pazienti italiani di madrelingua tedesca che, per un accordo tra i due governi, dall'ospedale psichiatrico di Pergine furono mandati in Germania dove morirono nei centri di uccisione del programma di eutanasia.
Alcuni finirono nell'ospedale psichiatrico di Kaufbeuren dove era direttore il dott. Faltlhauser.
A lui si rivolse il direttore di un istituto di cura pediatrico, dott. Hensel, per chiedere il permesso di provare un nuovo vaccino di sua invenzione contro la tubercolosi su un gruppo dei suoi piccoli pazienti. Alla fine di novembre del 1942 ne furono vaccinati 11.
 
Il carteggio tra i due medici analizza meticolosamente le reazioni di queste cavie.
Nel gennaio del 1943 compaiono in quattro bambini ascessi grossi come il loro pugno sulla coscia sinistra che «penetrano profondamente nella muscolatura del quadricipite» e i piccoli hanno temperature fino a 40 gradi.
A febbraio gli ascessi sono scomparsi in quasi tutti i bambini, in uno di essi la purulenza è arrivata all'articolazione del ginocchio.
A luglio compaiono anche ingrossamenti delle ghiandole inguinali con suppurazione.
A maggio del 1944 ne sopravvive ancora uno.
 
Giovedì 3 marzo alle ore 17.00 la mostra verrà inaugurata nella corte interna del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale (Trento – Via Verdi, 26) da Luciano Enderle (presidente Anffas Trentino onlus).
A seguire, in aula Kessler, ci sarà la proiezione del documentario «Mea Culpa» di Antonio Pintus, del quale discuteranno Gustavo Corni (Università di Trento) e Fabrizio Ferrari (Università di Padova).
«Mea Culpa» è un documentario che riporta alla luce il clima sociale, politico e psicologico nel quale teorie eugenetiche e razziali, manipolazioni di darwinismo sociale, considerazioni economiche e una forte azione di propaganda sistematica hanno prodotto un vero e proprio progetto di annientamento dei malati, percepiti come un peso gravoso per la parte sana del «corpo sociale» ariano.
Il video nasce dal lungo e meticoloso lavoro di ricerca di Michael von Cranach, da interviste a studiosi della materia e testimoni dei tragici accadimenti, con ampio impiego di materiali documentari d’epoca.
 
Mercoledì 9 marzo ore 17.30, sempre in aula Kessler, lezione di Michael von Cranach.
L’incontro si terrà in lingua tedesca con traduzione simultanea
L'esposizione rimarrà visitabile fino al 14 marzo nella corte interna del Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale.
Orario apertura al pubblico: da lunedì a sabato 8.00 - 20.00.

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