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Servono davvero i «no» per crescere i figli? – Di Giuseppe Maiolo

I giovani, in modo particolare durante l’adolescenza, hanno bisogno di accoglienza e allo stesso tempo contenimento

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Anni fa, la pubblicazione del libro di Asha Phillips divenuto subito un best sellers in tutto il mondo, accese la discussione sull’importanza di contenere il permissivismo.
Il libro era la descrizione di un metodo che l’ormai famosa psicoterapeuta inglese proponeva come strumento di crescita.
Si basava sulla necessità di ripristinare il «no» ai figli.
In effetti più generazioni di genitori dal secondo dopoguerra in poi, avevano adottato lo stile permissivo come reazione a quello autoritaristico che aveva dominato le relazioni genitori-figli.
La Phillips nel suo saggio sottolinea gli aspetti negativi della permissività che spesso contribuisce a rendere i bambini dei piccoli tiranni e gli adolescenti fragili e insicuri.
La necessità di un ritorno al «no» sostenuto da un’ampia casistica citata nel libro dalla psicoterapeuta, è un’operazione educativa utile ad una crescita equilibrata.
 
Non vi è dubbio alcuno che il «no» alle richieste dei figli sia più difficile da dire, in quanto la concessione e il consenso sembrano rendere tutto più semplice e meno conflittuale.
Dir di sì, fa risparmiare tempo ma anche garantisce popolarità e gratificazione.
Negare invece, significa porre dei limiti al potere infantile, definire con le regole cosa si può o non si può fare.
Vuol dire mettere dei confini e marcare il territorio della crescita a priori, secondo il nostro metro e con i nostri valori.
È defatigante, impegna e coinvolge parecchio sul piano affettivo e su quello emotivo.
Asha Phillips lo sa e tuttavia sostiene questa tesi perché i limiti servono per crescere e diventare adulti responsabili. 
I «no» sono come «dei cancelli che proteggono e fanno sentire al sicuro». 
E poi non dire mai «no» vuol dire proteggere oltremisura i figli che rischiano di non costruirsi gli strumenti che servono per le situazioni di difficoltà.
 
Una tesi condivisibile perché sappiamo che un’educazione permissiva contribuisce a generare insicurezza e ansia, disagio e fragilità. Tuttavia vale la pena chiedersi se sia l’unica strategia educativa valida.
Educare è un’operazione delicata e complessa che in gran parte ha a che fare con la nostra storia personale.
Solitamente abbiamo due possibili strade: una è quella di riprodurre nel bene o nel male quello che abbiamo vissuto, con la giustificazione che «Come ce l’ho fatta io così ce la farà mio figlio», l’altra è quella di fare l’esatto contrario: a esperienze educative di grande severità e carenze affettive si oppongono atteggiamenti permissivi e morbidi con la giustificazione: «Non voglio far vivere a mio figlio quello che ho vissuto io!»
 
Ci vien da dire che per quanto sia condivisibile l’idea che i «no» servano ad attivare il processo di autonomia e consentano di educare alla responsabilità e all’autodisciplina, forse è utile prestare attenzione al fatto che le frustrazioni hanno bisogno di un contrappeso: le gratificazioni.
Più ne diamo dell’una e maggiore e la necessità di controbilanciare con l’altra.
Una terza via educativa allora potrebbe essere quella che al «no» si sostituisca il «sì, ma…» ovvero l’accoglienza della richiesta, ma allo stesso tempo il contenimento e il limite che definisco io come educatore.
Se la prima parte della risposta è concessiva, la seconda definisce la condizione che l’adulto mette per permettere e accettare la richiesta del figlio.
Potremmo aggiungere infatti «Si, ma non ora» oppure «Sì, ma a patto che tu faccia…» o ancora «Sì, ma a condizione che…».
 
Il «sì ma…» non è un’alternativa alla formula del «no». È complementare.
In modo particolare durante l’adolescenza, i giovani hanno bisogno di accoglienza e allo stesso tempo contenimento.
Hanno la necessità di essere considerati capaci di fare richieste sempre più definite e specifiche per mostrare il livello di autonomia raggiunto, ma nel contempo devono accettare il confronto con gli altri e insieme trovare quel punto mediano di incontro.
Il «Sì, ma…» è la condizione specifica della mediazione che dovremmo insegnare ai figli per far parte de mondo e della società.
 
Giuseppe Maiolo
www.officina-benessere.it

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