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15 giorni di leucemia e 300 di calvario legale – Di Nadia Clementi

Ne parliamo con i genitori della piccola Sofia, dove per Sofia si intende il nome di una bimba qualsiasi, ma anche bisogno di saggezza, sapienza, conoscenza

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Quando un genitore si ritrova ad affrontare la malattia di un figlio, viene catapultato in un'altra dimensione e la vita di prima non esiste più.
Tanti sono i momenti di sconforto, di rabbia e di paura. Si fa strada la frustrazione di fronte all’ineluttabilità della malattia e della morte e, a peggiorare la situazione, mamma e papà devono fare i conti anche con il corpo e l’anima del proprio figlio che si consumano di giorno in giorno.
Per Sofia, una bimba di 8 anni, ammalarsi di leucemia è significato tutto questo e anche di più. Lo sanno bene i suoi genitori che sono precipitati in questo vortice, un tunnel fatto di dolore, ospedali, operazioni, terapie devastanti e… tribunali.
Sofia ha vissuto un percorso di cortisone e una chemio che dopo 15 giorni ha causato da una parte la remissione totale della malattia e dall’altra i gravi rischi che hanno costretto i medici a sospendere il trattamento per più di un mese.
Oltre al danno anche la beffa: quando i genitori si sono rifiutati di riprendere il protocollo chemioterapico solo a scopo preventivo, visto che la malattia non c'era più, sono stati segnalati al Procuratore della Repubblica rischiando di perdere la potestà genitoriale, con tutti i gravi imprevisti a cui sarebbero potuti andare incontro.
 
La storia di Sofia, della sua mamma e del suo papà è complessa e lunga; inizia nel gennaio 2015.
Siamo in Toscana. La piccola Sofia, a seguito di una visita all’ospedale per dolori persistenti alle gambe viene ricoverata inaspettatamente d’urgenza con trasfusione di sangue immediata.
La diagnosi dei medici suona alle orecchie dei genitori come una condanna a morte: leucemia linfoblastica acuta.
La bambina inizia così il protocollo classico previsto in questi casi, ovvero un ciclo di cortisone seguito da chemioterapia. Sofia reagisce bene al cortisone ma non alla chemioterapia, infatti, già con la prima seduta iniziano i guai e, alla terza, la piccola si trova a rischio di invaginazione intestinale, con coliche fortissime.
Ne consegue un blocco intestinale che non si risolve nemmeno con una serie di irrigazioni intestinali. Rischia la perforazione del colon, tanto che viene trasferita d’urgenza in un altro ospedale.
Qui le viene diagnosticata la polmonite a cui segue un versamento pleurico con conseguente collasso del polmone che vede i medici costretti ad intervenire chirurgicamente inserendo due cannule per il drenaggio.
Nonostante il quadro gravissimo di Sofia, il primario dell’ospedale informa più volte la famiglia che la bambina dovrebbe riprendere il ciclo chemioterapico, come da protocollo, ma i genitori si oppongono fermamente viste le condizioni fisiche della bimba.
 
Il caso di Sofia obbliga il primario di oncoematologia a convocare una riunione con svariati specialisti a livello nazionale e al termine delle consultazioni, vista e considerata la particolare tossicità della chemioterapia nella paziente, decretano di somministrarle temporaneamente come copertura soltanto la terapia di mantenimento domiciliare, che prevede l’assunzione di alcune pastiglie.
I genitori iniziano così il trattamento, affiancandolo a un cambio di dieta e di stile di vita. Decidono anche di approfondire le possibili cause che hanno determinato lo sviluppo della malattia.
Sofia si riprende in fretta e in poco tempo raggiunge e mantiene degli ottimi valori del sangue, tanto che l’ultimo prelievo del midollo, conferma l'assenza totale di cellule tumorali.
La bimba è in salute e i primi giorni di aprile 2015 ricomincia la scuola, ha voglia di vivere e di divertirsi.
 
In quel momento ciò di cui avrebbero più bisogno Sofia e i suoi genitori è di dimenticare tutte le brutte esperienze del passato. Ma, nonostante le ottime condizioni della piccola, i medici dell’ospedale propongono comunque, di riprendere la chemioterapia a dosaggi inferiori, vista la sensibilità ai farmaci.
Il protocollo previsto in questi casi deve essere di 24 mesi, perché la malattia potrebbe ritornare.
Questa volta, però, mamma e papà si rifiutano di riprendere la terapia a scopo cautelativo, e si chiedono perché Sofia dovrebbe continuare un protocollo così invasivo solo a scopo preventivo, ancora per due anni.
A seguito della decisione presa dai genitori il medico legale dell’azienda ospedaliera sollecita i medici competenti a procedere per vie legali segnalando la vicenda al Procuratore della Repubblica, il quale ordina un’ispezione a domicilio da parte dei servizi sociali.
La mamma e il papà di Sofia rischiano così di essere giudicati come genitori snaturati a cui togliere la figlia nel caso in cui non volessero procedere con la chemioterapia.
Dopo 10 mesi infernali, i genitori si trovano coinvolti in un dedalo fatto di tribunali, ricorsi, assistenti sociali e avvocati e, come se non bastasse il calvario vissuto dalla figlia, si trovano a fare i conti persino con protocolli standardizzati che non tengono conto dell’unicità di ogni singolo individuo.
 
Oggi è passato più di un anno da quando i medici hanno interrotto la chemioterapia a Sofia.
Per capire come si è svolta la vicenda e come i genitori hanno reagito e sopportato questa incredibile storia, abbiamo posto le seguenti domande alla mamma dell'innocente protagonista.
 
Anzitutto, come sta oggi Sofia?
«Sofia sta benissimo, oggi ha i valori del sangue di una bimba sana. E’ serena, allegra, sportiva, mangia con più appetito e finalmente cresce regolarmente.
«Stiamo continuando sulla strada della prevenzione iniziata già all'ospedale. Sofia segue una buona alimentazione e beve un'acqua vivificata (pura) per disintossicare il corpo e per rinforzare il sistema immunitario.
«Inoltre, per migliore il suo stato di salute, abbiamo anche provveduto a modificare l'ambiente in cui viviamo. E' stato molto importante scoprire l'equilibrio che esiste tra mente, corpo e spirito approfondendo le diverse tematiche che trattano l'argomento.»
 
Attualmente qual è la situazione dal punto di vista legale?
«Dopo cinque incontri in tribunale, i medici di Sofia hanno fatto un passo indietro.
«Per difenderci dalla causa legale abbiamo presentato la dichiarazione di un ematologo che affermava di aspettare a procedere con i citotossici. Abbiamo inoltre chiesto l'intervento della commissione bioetica Toscana, di seguito sostituita da un difensore civico.
«Sono stati poi sollevati una serie di quesiti scomodi dal punto di vista etico professionale. Tanto che i medici si sono giustificati dicendo che la fiducia era ormai venuta a mancare e più passava il tempo e più non avrebbero saputo come trattare Sofia. Non sapevano se iniziare il protocollo terapeutico da capo o da dove lo avevano interrotto, avevano dei dubbi anche sui dosaggi da utilizzare e sulle garanzie da dare.
«L'intera sanità Toscana ci voleva scaricare consigliandoci di andare in un'altra regione pur tenendosi a disposizione per eventuali controlli.
«Il giudice ha riconvocato i medici che hanno così proposto di consultarsi con gli stessi esperti con cui si erano sentiti per la sospensione della terapia e per decidere come procedere.
«Alla fine ognuno dei medici interpellati ha fatto una sua relazione sul caso decidendo che, visto il tempo trascorso non avrebbero saputo nemmeno loro quale sarebbe stata la cosa giusta da fare e vista la nostra ferrea volontà a non voler proseguire con la terapia, avrebbero avallato la nostra richiesta di non procedere se non strettamente necessario.
«Ad oggi, i servizi sociali controllano che a Sofia vengano effettuati i regolari controlli ematici mensili.»
 

 
Qual è stato il momento più difficile da quando Sofia si è ammalata ad oggi?
«Momenti difficili ce ne sono stati talmente tanti che non sapremmo a quale attribuirne il podio. In ogni caso è stato estremamente faticoso vedere la propria bimba soffrire in quel modo.
«Ci chiedeva aiuto e noi dovevamo continuare a cercare di sdrammatizzare la situazione, spiegandole quanto fosse fortunata rispetto a chi in quel momento stava peggio di lei.»
 
A vostro parere in quale momento si è creato il corto circuito per cui da genitori amorevoli e pieni di cure siete stati additati come degli snaturati che negano le terapie alla propria figlia?
«Nel momento in cui abbiamo iniziato a fare domande diventando i classici pazienti difficili.
«Noi in fondo chiedevamo solo del tempo per collaborare con i medici monitorando insieme la situazione, pronti ad intervenire se necessario.
«Ci sembrava assurdo accanirsi a scopo cautelativo con tutti i rischi che si sarebbero corsi su una bimba che non aveva più la malattia. Tutti altrimenti dovremmo fare la chemio a scopo preventivo, calcolando che una persona su due rischia di avere un tumore.»
 
Secondo voi come dovrebbero i medici andare incontro a casi particolari come quello di Sofia?
«Sofia non è un caso particolare, bensì un caso unico. Così come è unico ogni bambino e per questo non protocollabile. Sarebbe bene ripristinare la famosa alleanza medico-paziente che di fatto ad oggi non esiste: o fai quello che dicono loro o vieni sbattuto in tribunale.
«La prima figura importante dovrebbe essere la pediatra, l’esperta a cui tutte le mamme si affidano e che dovrebbe saper svolgere quella professione studiata per anni. Il suo compito sarebbe quello di approfondire e non trascurare alcuni aspetti legati alla salute dei nostri figli.
«Dovrebbe dare peso a una crescita rallentata, un colorito pallido o approfondire dei dolori segnalati per anni senza attribuirne superficialmente la causa alla crescita. Se la nostra pediatra avesse dato importanza a tutti questi aspetti, magari l’evoluzione della malattia non sarebbe andata così.
«Secondo la nostra esperienza sarebbe importante che i medici cercassero di capire ogni singola situazione, usando il buon senso, perché ogni individuo è singolare e reagisce in modo diverso. Ci dovrebbe essere soprattutto più trasparenza a partire dal modulo da firmare prima della terapia.
«Poi sarebbe giusto comunicare ai genitori il momento in cui la malattia è in remissione totale (nel caso della leucemia ha meno del 5% di blasti nel midollo) facendo decidere a loro se continuarla a scopo cautelativo o iniziare una prevenzione a casa seguiti da un medico.
«Certo affidarsi totalmente all’ospedale in quei momenti di sconforto, in cui ci si sente impotenti, è sicuramente più comodo e rassicurante. Ma ricordiamoci che la medicina è una scienza inesatta, basata sulle probabilità, e noi genitori, vogliamo a tutti i costi, il bene dei nostri figli.»
 
Inizialmente il giudice vi aveva chiesto di portare un protocollo alternativo che affermasse la non necessità di terapia farmacologica per Sofia. Com’è andata la vostra ricerca e che riscontri avete avuto?
«Il giudice ci aveva richiesto, consultandosi coi medici, un protocollo alternativo di un oncoematologo pediatrico universitario. Una richiesta impossibile visto che tutti gli oncoematologi pediatrici seguono precisamente lo stesso protocollo di studio AIEOP-BFM LLA 2009.
«Al contrario, gli oncologi privati, pur avendo fatto gli stessi studi dei colleghi pubblici, ma con ulteriori approfondimenti, riconoscevano che la chemioterapia su Sofia era di fatto un accanimento terapeutico. Sebbene consapevoli che a livello legale una loro dichiarazione sarebbe stata nulla.
«Solo due medici oltre all'ematologo si sono esposti favorevolmente al fatto che non ci fosse bisogno d’intervenire urgentemente, ma essendo uno dei due un chirurgo e l’altro un pediatra, non sono stati presi in considerazione.
«Neppure la dichiarazione del famoso professore ematologo, il quale scriveva che qualsiasi citotossico sarebbe stato dannoso per la bimba e che chiedeva di seguire il principio anglosassone del See and wait (vedi e aspetta) è stata rilevante.
«Comunque stringi stringi tanta solidarietà, ma altrettanta omertà. Nessuno voleva sbilanciarsi più di tanto, e noi abbiamo capito il meccanismo.»
 
Com’è cambiata la vostra vita dopo quel fatidico gennaio 2015?
«Diciamo pure completamente. Purtroppo ho dovuto sospendere momentaneamente la mia professione per dedicarmi totalmente alla bimba e alla ricerca di notizie e documenti riguardanti il caso. Mio marito, che aveva una piccola ditta in società, ha dovuto cessare l'attività e aprire un piccolo negozietto.
«D’altro canto il lavoro di prima lo portava a stare assente da casa per almeno due giorni a settimana e sarebbe stato improponibile visto che la situazione richiedeva anche la sua costante presenza.
«Vivere un’ esperienza di tale entità cambia la visione delle cose. Dopo che accade una vicenda del genere tutto il resto della vita sembra superabile e lo si affronta con più leggerezza d’animo mettendo in rilievo le cose veramente importanti.
«È come essere, per così dire resettato e iniziare da capo, ma con una nuova consapevolezza e con nuove conoscenze.»
  
Come genitori in che modo avete affrontato l’argomento della malattia e della sofferenza?
«Fin dalla diagnosi abbiamo detto la verità alla bimba sottolineando il fatto che qualsiasi cosa fosse accaduta si sarebbe affrontata assieme, come una vera squadra.
«Siamo sempre stati molto uniti ma questa vicenda ci ha proprio fuso l’uno nell’altro. Abbiamo ricevuto anche tanti complimenti perché sono situazioni che spesso fanno sì che la coppia si allontani o si divida.
«A volte se si è messi sotto pressione si potrebbe perdere il controllo, fare un gesto inconsulto, cadere in depressione. Certo non possiamo negare che ci sono stati degli attimi in cui vedevamo tutto buio ma eravamo sicuri di fare la cosa giusta per Sofia, e vederla ballare, cantare e fare acrobazie ci bastava ad illuminare anche quelli: lei era il nostro ago della bilancia!
«Tutto ciò che accade ha una spiegazione ma spesso non riusciamo a notarla subito. La nostra forza è stata voler vedere il lato positivo anche in quella circostanza. Piangersi addosso non sarebbe comunque servito a niente, anzi, ci avrebbe solo tolto energia.»
 

 
Cosa vi sentite di dire ai genitori che si dovessero trovare in situazioni come la vostra?
«Sicuramente in un momento del genere perdi le forze ma non bisogna mai mollare e soprattutto non dare mai niente per scontato.
«È necessario, invece, informarsi per prendere una decisione con consapevolezza. Abbiamo voluto immaginare che il periodo particolare che abbiamo trascorso fosse stato per noi un training per riuscire a supportare altri genitori che si fossero ritrovati in una situazione analoga e ci farebbe piacere mettere a disposizione la nostra esperienza sia dal punto di vista medico che da quello legale.»
 
Da chi avete ricevuto maggiore aiuto e solidarietà?
«Da amici, parenti e da tutti quelli che vedevano assurda una situazione simile, quelli a cui siamo entrati nel cuore e che si sono messi nei nostri panni, tutti quelli che sapevano le mosse giuste da fare e avevano dei consigli utili o degli agganci importanti da darci.
«Tanti di loro probabilmente non li conosceremo mai di persona ma tutti sono stati preziosi. Sicuramente quest’esperienza negativa ha portato in sé tanti lati positivi come aver conosciuto il lato speciale di ogni persona con cui siamo entrati in contatto.
«Siamo stati fortunati e cogliamo l’occasione, con questa intervista, di rinnovare il nostro Grazie infinito a tutti.»
 
A questo scopo avete costituito una ONLUS. Quale è lo scopo di questa associazione no profit?
«E' stato spontaneo costituire una ONLUS per supportare quei genitori che vogliono fare delle domande e prendersi del tempo per capire.
«La ONLUS si chiama Giù Le Mani da Sofia dove per Sofia si può intendere sia il nome di un bimba qualsiasi, sia saggezza, sapienza, conoscenza. Perché il nocciolo della questione è tutto lì: voler conoscere, approfondire uscendo dalla propria zona comfort.
«Ci piacerebbe confrontarci con altri genitori che hanno avuto un figlio con un tumore o che ha subito delle tossicità da chemioterapia per organizzare conferenze con medici e professionisti. Sarebbe interessante andare a fondo delle cause di queste malattie, visto che la cura per il cancro non è ancora stata trovata e la terapia attuale è troppo tossica.
«La nuova ricerca potrebbe andare proprio verso questa direzione: Chi le sta studiando? O forse non c’è interesse a farlo? Ci sono dei controlli incrociati per capire se esistono analogie fra i pazienti che si ammalano? Su che numeri si basano le statistiche che diligentemente propongono i medici?
«Questo sarebbe il lavoro che vorrebbe intraprendere la ONLUS con l’aiuto di chi abbraccia questo pensiero e appoggerà questo progetto: uniamoci per curare la causa.»
 
Nadia Clementi - n.clementi@ladigetto.it
I genitori di Sofia, Barbara e Nico
mapete555@gmail.com - ONLUS: www.giulemanidasofia.it

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