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Persone con disabilità e comunità: una nuova via è possibile

Convegno Disabilità: riconoscere i diritti per uscire dalla logica paternalistica, dalle etichette che emarginano e dall'assuefazione dei professionisti

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Cooperatori sociali, membri di associazioni, rappresentanti delle politiche sociali della Provincia autonoma di Trento, delle Comunità di Valle e dell'Azienda Sanitaria, era davvero gremita stamattina la sala Falconetto di Palazzo Geremia a Trento per il convegno Disabilità e comunità.
Per condividere una nuova via, organizzato dalla Cooperativa Sociale La Rete in collaborazione con il Comune di Trento, Con.Solida e Cnca Trentino Alto Adige, con il supporto di Dolomiti Energia e Fondazione Cattolica Assicurazioni.
In molti hanno accolto l'invito a confrontarsi e contribuire a disegnare un nuovo welfare di comunità a partire dalle persone con disabilità.
«Ormai sappiamo - ha esordito Mauro Tommasini, direttore de la cooperativa sociale La Rete - che la crisi economica non è un elemento transitorio ma permanente e che nei prossimi anni non ci si può aspettare che le risorse pubbliche aumentino. Contemporaneamente è cambiata la comunità, le famiglie non sono più quelle di un tempo. Questo richiede anche ai servizi di cambiare. Si deve passare da un welfare distributivo a uno generativo. Come farlo è interrogativo che La Rete da tempo si pone al proprio interno e insieme ad altre cooperative del consorzio Con.Solida. Oggi vogliamo provare a condividere con altri soggetti e attori, istituzionali e non, della comunità le riflessioni che abbiamo maturato portando anche in Trentino le riflessioni del Network nazionale Immaginabili risorse di cui fanno parte ormai più di 60 organizzazioni. Bisogna, secondo Tommasini, passare dai logica dei bisogni legati alle prestazioni alla capacità di incrociare storie di vita in cui si definiscono e ridefiniscono continuamente gli scenari. Dobbiamo chiederci se quello che facciamo quotidianamente rende desiderabile il presente e il futuro per le persone disabili. Abbiamo anche un responsabilità rispetto alla rappresentazione della disabilità sul territorio.»
 
«Molte esperienze che stanno maturando sui territori - ha affermato Carlo Francescutti, coordinatore dell’Osservatorio Nazionale sulla condizione delle persone con disabilità - dimostrano che i servizi per la disabilità, in particolare per la disabilità intellettiva, possono essere laboratori per la comunità, luoghi in cui si può capire come la dimensione dell'umano possa svilupparsi in una logica inclusiva e dell'accoglienza.»
In generale però la situazione è ancora grave se, come ha ricordato Francescutti, i dati nazionali e internazionali dimostrano che le persone con disabilità intellettiva sono notevolmente discriminate; basti pensare che hanno un'aspettativa di vita inferiore 10 anni alla media e che questo non è legato in modo specifico alla loro disabilità; che il 45% di loro sviluppa disturbi alla salute mentale; che nelle strutture residenziali il 70% ha problemi comportamentali e che il rischio di subire violenze o abusi è 10 volte più alto di quello di altre persone.
Per Francescutti «occorre ripartire dalla Carta dei diritti delle persone con disabilità dell'ONU che dà una base importante per ricordare che queste persone hanno una legittima attesa di vedersi riconosciute come cittadini alla pari degli altri. La Carta sollecita gli Stati ma anche i cittadini non tanto a rispondere a bisogni, ma a creare le condizioni per una società più giusta a partire dal tema dell'uguaglianza.»
La parola più usata nella carta è «riconoscimento»: le persona con disabilità hanno diritto a veder riconosciuta piena dignità di appartenenza alla comunità.
Ed è da qui che secondo Francescutti occorre partire nel ripensare i servizi: «non ci saranno progressi nelle nostre organizzazioni se non c'è un cambio nelle relazioni e nella pratica.»
 
Per Francescutti occorre abbandonare il paternalismo e il terrorismo diagnostico ed evitare l'assuefazione dei professionisti.
«Il paternalismo è una delle più gravi minacce. Spesso dettato dalla volontà anche dei genitori di persone con disabilità di proteggere finisce per creare intorno alla persona un cordone sanitario, costringerle in un limbo senza via di uscita. Il prezzo da pagare è altissimo ed è quello della necessità di adattarsi ad un modo che gli altri costruiscono per te senza il tuo parere. Se non ti adatti sei tu che non vai bene e quindi aumentano controllo e costrizione.»
Per quanto riguarda la diagnosi, Francescutti ha sottolineato come l'etichetta continui a farla da padrone sia nel mondo sanitario che nel sociale, influenzando pesantemente anche le famiglie.
«L'effetto alone della diagnosi vanifica la relazione e la persona finisce per identificarsi con la patologia.»
Infine sull'assuefazione dei professionisti occorre fare un esercizio di pulizia mentale e uscire dalla logica del «so io cosa è bene per te»; una logica adottata da molti operatori determinata a volte dalla stanchezza che deriva da un lavoro difficile, altre dalla presunzione.
 
«Non c'è traccia negli studi scientifici del fatto che le persone con disabilità non siano in grado di autodeterminarsi, di prendersi decisioni, di non tollerare cambiamenti.»
Quali sono gli antidoti a questa situazione? Secondo Francescutti sono i riferimenti valoriali: «se crediamo all'uguaglianza tra essere umani, allora la dignità della persona disabile e la nostra stanno sullo stesso piano; bisogna poi investire nella ricerca e divulgazione scientifica e nella formazione degli operatori.»
Il tema dei diritti è stato ripreso anche da Maurizio Colleoni, responsabile scientifico della rete Immaginabili Risorse: «i diritti, ha precisato, si possono esercitare quando si creano le condizioni per renderli esigibili. La fragilità fa parte della condizione umana anche se tutti i giorni cercano di convincerci del contrario. In questo senso la disabilità che è un limite, ci fa vendere l'umano nella sua pienezza. Compito degli operatori è espandere la visione della normalità in modo da consentire a tutti di essere a proprio agio nella propria pelle.»
«Le persone con disabilità sono in primo luogo persone, che hanno gli stessi diritti anche se vivono una condizione diversa. Questo crea una tensione tra il bisogno di confondersi con gli altri, essere integrati e il distinguersi, ovvero avere un supporto e un'attenzione specifici che non si traducano in marginalizzazione, segregazione. Dobbiamo cercare di "deutentizzare" le persone disabili. Se guardiamo al passato quando erano considerate pericoli, misteri da escludere, nel migliore dei casi fenomeni da baraccone, diventare "utenti" di servizi di welfare è stato certamente una conquista culturale della nostra società. Oggi però questo si è trasformato in un limite perché rende l'idea che serva professionalità per gestire quella persona, significa comprimerla, vederne solo un pezzo; costruire relazioni assoggettanti basate su asimmetrie informative.»
Per Colleoni i servizi oggi devono offrire supporto all'emancipazione, proporsi come scuole di vita per ridare alla comunità le persone disabili.
 
Soprattutto devono essere luoghi che si pongono continuamente il tema della qualità della vita del loro territorio.
Diventare sostenibili in forma di muta utilità coinvolgendo i diversi soggetti locali: famiglie, istituzioni e gli altri attori territoriali.
«Momenti come questi fanno bene in primo luogo alla politica - ha affermato Maria Chiara Franzoia, assessore alle politiche sociali del Comune di Trento - perché ci mettono di fronte all'interrogativo di come vogliamo costruire la nostra comunità e su dove vogliamo andare. Sono anche la conferma di un metodo che il Comune ha adottato nelle politiche sociali, intese come politiche per la comunità e non, come spesso si pensa, quelle meramente assistenziali. E questo metodo è quello del coinvolgimento dei diversi attori: dalle cooperative, alle associazioni alle altre istituzioni pubbliche, fino ai cittadini.»
Il Comune - ha affermato Franzoia - ha iniziato questo percorso dalla valutazione: «dobbiamo rimetterla al centro delle politiche pubbliche non solo e non tanto in termini di tagli delle risorse ma di riordinamento, di un ridisegno complessivo che si basi su una logica della sussidiarietà.»

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