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Il 15 maggio di cento anni fa cominciava la Strafexpedition

Combattuta dal 15 maggio al 27 giugno 1916 sugli altipiani di Folgaria, Lavarone e dei Sette Comuni, costò inutilmente 230.000 perdite umane

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Il Monumento a beata Giovanna intatto tra le macerie di Asiago - Touring Club Italiano per Wikipedia.

La Battaglia degli Altipiani fu combattuta tra il 15 maggio e il 27 giugno 1916, sugli altipiani vicentini, tra l'esercito italiano e quello austro-ungarico, durante la prima guerra mondiale.
Nei comandi contrapposti vediamo da parte italiana il Comandante supremo Luigi Cadorna e i comandanti generali della 1ª Armata, Roberto Brusati prima e Guglielmo Pecori Giraldi poi, da parte austriaca il Capo di Stato maggiore Conrad von Hötzendorf e i generali comandanti Eugenio d'Asburgo-Teschen, Hermann Kövess e Viktor Dankl.
Gli effettivi impegnati erano da parte italiana 172 battaglioni con 850 cannoni, da parte austriaca 300 battaglioni con 2.000 pezzi di artiglieria.
Le perdite da parte italiana sono state 147.730, di cui 15.453 morti e 55.534 dispersi o prigionieri, da parte austriaca le perdite sono state 82.815, di cui 10.203 morti e 26.961 dispersi o prigionieri.

Conrad era il più acceso sostenitore di una guerra punitiva contro l’Austria. Era ormai noto a tutti che nel 1908, quando il Regio Esercito Italiano era impegnato nell’emergenza umanitaria generata dal Terremoto di Messina, aveva sottoposto all’Imperatore Francesco Giuseppe un piano operativo per l’attacco militare contro l’Italia. Una sorta di attacco preventivo reso necessario – secondo Conrad – dal cambio di Re: se Umberto Primo era stato filo austro germanico, il figlio che gli era succeduto, Vittorio Emanuele Terzo, era decisamente contrario alla Triplice Alleanza. Per fortuna, come sappiamo, Francesco Giuseppe bocciò il piano aggressivo di Conrad.
Ma con lo scoppio della Guerra Mondiale, Conrad aveva rispolverato immediatamente un piano di attacco nei confronti dell’Italia traditrice a partire dal dicembre 1915. Aveva provato a chiedere aiuto ai tedeschi, ma Falkenhayn aveva rifiutato sostenendo che la guerra sarebbe stata vinta sul fronte occidentale.
Conrad non rinunciò e agì da solo. Già il 6 febbraio 1916 comunicava all’Arciduca Eugenio (nominalmente responsabile del fronte imperiale con l’Italia) e al suo Capo di Stato Maggiore feldmaresciallo Alfred Krauß di aver messo a disposizione due armate (la XI, comandata dal generale Viktor Dankl e la II, comandata dal generale Hermann Kövess von Kövesshaza) per scatenare l’«Offensiva di primavera», poi divenuta «Strafexpedition», in italiano Spedizione punitiva.
Per attivarla, Conrad aveva dunque messo in campo 14 divisioni e tre brigate, pari a 300 battaglioni, per un totale di 160mila uomini, dotati di 913 mitragliatrici e 2.000 pezzi di artiglieria, di cui 64 di grosso calibro.
Il 3 marzo Conrad emanava le direttive d’attacco, fissato per metà aprile.
Poi però, le proibitive condizioni atmosferiche in tutta Europa, così come avevano fatto ritardare in Francia l’inizio della Battaglia di Verdun, avevano fatto posticipare l’attacco sugli altipiani di un mese. Un ritardo del genere privava gli attaccanti di uno dei fattori principali per in successo di una battaglia: la sorpresa.
 

I generali Conrad, Cadorna e Pecori Giraldi. 
 
E difatti, l’Ufficio Informazioni del Comando Supremo italiano aveva ricevuto notizie fin dal febbraio 2016 di una probabile offensiva sugli altipiani vicentini di Asiago, Folgaria e Sette Comuni. Cadorna dapprincipio non gli diede peso, ma poi con l’intensificarsi di rapporti prodotti dai nostri servizi segreti sulla base di informazioni fornite da ufficiali austroungarici disertori che sempre più spesso in quel teatro scappavano in Italia, prese in seria considerazione la possibilità che Conrad cercasse effettivamente di sfondare sugli altipiani per dilagare poi nella pianura veneta e colpire l’ala sinistra del nostro esercito.
Restava comunque fiducioso delle capacità di difesa del dispositivo del VII Corpo d’Armata comandato dal generale Guglielmo Pecori Giraldi, appartenente alla Prima Armata, al comando del Generale Roberto Brusati, e si limitò a impartire ordini per mettere in sicurezza l’intero dispositivo. Dispose la riduzione del fronte con ripiegamenti strategici, portandolo da 380 a 200 chilometri. Predispose poi un piano logistico nel caso si verificasse la necessità di trasferire le riserve dall’Isonzo alla pianura veneta.
In realtà, le cose non andarono come disposto, per una serie di motivi. Anzitutto Brusati era fortemente contrario ad abbandonare posizioni conquistate con grandi sacrifici - e, a ben vedere, gli unici ottenuti fino a quel momento su tutto il fronte – e decise perciò di attestarsi sui capisaldi di Coni Zugna, Col Santo, Monte Maggio, Spitz di Tonezza e il forte Vezzena.
Dal canto suo, Cadorna aveva altri problemi più grossi da affrontare. Anzitutto doveva sostenere l’esercito Francese che - come abbiamo visto nel precedente servizio - era in seria difficoltà a Verdun. Poi doveva ripristinare l’efficienza dell’esercito, che era uscito decimato dalle sconsiderate battaglie sull’Isonzo.
Ma soprattutto lo preoccupava la situazione politica a Roma, il cui ministro Zuppelli stava fomentando la sua sostituzione. Insomma, aveva bisogno di un successo anche minimale, piuttosto che una difesa strepitosa.
Quando nei primi di maggio Cadorna tornò da un viaggio tra Parigi e Roma, che aveva dovuto compiere per importanti incontri al vertice dell’Intesa, ispezionò il fronte trentino e si accorse che Brusati aveva ampiamente contravvenuto agli ordini e lo destituì, deferendolo alla Corte Marziale (sarebbe stato riabilitato nel 1919, a guerra finita).
Al suo posto insediò il generale Pecori Giraldi, che a quel punto si trovò costretto a non modificare il fronte perché sentiva che l’attacco era imminente e non poteva correre il rischio di trovarsi esposto a un attacco nemico proprio in fase di ripiegamento.
 

 
Prima di scendere nel dettaglio dello scontro, è bene spendere due parole sul dispiegamento delle forze austriache, che Cadorna continuava a sottovalutare, tanto vero che ordinò un attacco in Valsugana a Ospedaletto. Attacco che peraltro ottenne risultati, ma ponendo le truppe in capisaldi troppo avanzati.
Gli austro ungarici, come abbiamo scritto, avevano portato a ridosso del fronte trentino 64 cannoni di grosso calibro.
Il più noto di queste terribili bocche da fuoco è il mortaio Skoda da 308/5, una cui unità è esposta davanti al Municipio di Rovereto (foto qui sopra).
Lo sviluppo di quest'arma iniziò nel 1906 per volontà dell'alto comando dell'esercito austro-ungarico alla ricerca di un'arma capace di perforare i grossi spessori in calcestruzzo delle fortezze belghe e italiane. L'appalto per la progettazione e la costruzione fu affidato alla Škoda-Werke di Plzeň. Il lavoro per lo sviluppo continuò fino al 1909, il primo prototipo fu terminato nel 1910 con le prime prove di fuoco svolte segretamente in Ungheria.
Per alcuni problemi tecnici, il pezzo fu riaggiornato e modificato nel 1911: test svolti a Felixdorf, nelle montagne del Tirolo, accertarono che i proietti da 384 kg dell'obice riuscirono a penetrare oltre 2 metri di cemento armato grazie al guscio speciale di cui erano dotati.
Il ministero della guerra austriaco ne ordinò 24.
Per il trasporto del mortaio era necessaria la divisione in due parti, affusto e canna, trasportabili da un trattore stradale Austro-Daimler Artilleriezugwagen M.12 con 100 cavalli di potenza che oltre a trainare l'obice, trasportava anche dai 15 ai 18 serventi.
Il tutto poteva essere montato e preparato al fuoco in circa 50 minuti.
Il mortaio poteva sparare due tipi di proietto, uno con armatura pesante con spoletta ad azione ritardata dal peso di 384 kg, e un secondo proietto da 287 kg a scoppio convenzionale. Quest'ultimo era capace di provocare un cratere di 8 metri di larghezza per 8 di profondità e l'uccisione di fanteria nemica nel raggio di circa 400 metri.
Nel 1916, l' M.11 fu aggiornato nella nuova versione M.11/16 dove la differenza principale fu soprattutto nella piattaforma di tiro ora in grado di ruotare di 360 gradi e nell'aumento della gittata a 12.300 metri.
L'arma fu largamente utilizzata sul fronte orientale, italiano e serbo fino alla fine del conflitto.
Oggi solo quattro di questi mortai sopravvivono, il primo M.11 è a Rovereto, (Museo storico italiano della guerra), il secondo M.11 è al Museo Militare di Belgrado e un terzo M. 11 è a Bucarest, in Romania, insieme con l'unico M.16 superstite.
 

 
L’altro cannone che venne utilizzato nella Strafexpedition è lo Škoda 35 (nella foto dell'epoca qui sopra).
Era un cannone navale austro-ungarico progettato per armare le navi da battaglia classe Ersatz Monarch.
Le navi non furono mai realizzate e i cannoni prodotti furono impiegati come artiglieria pesante da assedio durante la prima guerra mondiale con la denominazione 35 cm Marinekanone L/45 M. 16.
Questo cannone fu sviluppato dalla Škoda come armamento primario in torre corazzata delle previste quattro navi da battaglia classe Ersatz Monarch della Kriegsmarine.
Su ogni nave erano previsti 10 cannoni in due torri trinate e due binate. Prima della fine della guerra furono ordinate 11 di queste bocche da fuoco per equipaggiare la prima unità navale ordinata.
Quando l'ordine per la nave fu cancellato, la produzione dei cannoni continuò comunque per l'artiglieria superpesante d'assedio dell'Imperial regio Esercito austro-ungarico.
Il primo cannone e la relativa gru a portale di assemblaggio furono pronti alla consegna il 28 maggio 1915, ma non fu testato prima di aprile 1916.
Poco dopo il pezzo fu inviato sul fronte italiano ed installato presso la stazione ferroviaria di Calceranica, presso il lago di Caldonazzo, dove sparò 122 colpi prima di tornare negli impianti Škoda il 30 maggio 1916 per la revisione.
Soprannominato dalle truppe «Lange Georg» per la lunghezza del tiro, fu assegnato al supporto della Strafexpedition per colpire il centro di comando italiano di Asiago, ritenuto fino ad allora fuori dalla portata delle artiglierie austro-ungariche.
La potenza di fuoco era tale che i serventi attivavano una sirena prima di ogni colpo per avvisare gli abitanti intorno alla batteria di aprire le finestre per evitare che l'onda d'urto le mandasse in frantumi.
Anche il Lange Georg N. 2 fu inviato sul fronte italiano alla fine di agosto del 1917, a Santa Croce, a nord di Trieste; pronto al fuoco il 23 settembre contro le batterie costiere italiane tra Grado e l'estuario dell'Isonzo, entrò in azione sul golfo di Trieste il 18 ottobre.
Il destino dei quattro cannoni alla fine delle ostilità non è chiaro. Uno fu catturato dagli italiani, uno dai francesi, uno dai serbi, mentre il quarto fu consegnato poco prima dell'armistizio.
I primi due furono dismessi, mentre i serbi ebbero in servizio il cannone nel periodo interbellico.
 

 
Cadorna ispezionò il fronte con Pecori Giraldi gli ultimi giorni di aprile, il 28 in Val Lagarina, il 29 sugli altipiani, il 30 in Valsugana, rendendosi conto che la situazione presentava qualche margine di rischio.
Diede disposizioni minimali, temendo di subire l’attacco proprio mentre il dispositivo era indebolito dalle operazioni di adattamento, perché da Udine viene a sapere che è tutto un affollarsi di inviati dal fronte che segnalano l’imminenza dell’attacco.
Il 1° maggio è la volta do Cesare Battisti, che era già stato due volte al Quartier generale. La prima volta non era riuscito a parlare con nessuno, stavolta viene ascoltato dal colonnello Porro e dal maggiore Cavallero. Facevano parte degli «sprezzanti ufficialetti» che componevano la stretta segreteria di Cadorna, facendosi forza dal riflesso del generalissimo. Entrambi avranno poi un ruolo importante nella storia del Paese, ma in quel momento erano dei semplici replicanti di Cadorna.
Proprio Cavallero (sarà capo di stato Maggiore con Mussolini) ironizzerà sui timori espressi da Battisti, che era in grado di fornire un po’ tutti gli elementi dell’attacco di Conrad.
Inutile dire che Battisti confermerà il pessimo giudizio in una lettera alla moglie.
«Questa che sta a valle senza neppure sapere cosa sia una montagna – scrive, – è una combriccola di ufficiali inetti, vecchi, paurosi, che preferiscono far nulla piuttosto che correre rischi di fare fiaschi.»
E così Cadorna torna al suo Quartier generale, tuttora in dubbio sulle reali intenzioni di Conrad. Ma vi rimane per poco.
All’alba del 15 maggio 1916, iniziavano le ostilità sugli altipiani. L’Offensiva di primavera, la Strafexpedition, era iniziata.
Nella puntata di domani, la descrizione della battaglia.

G. de Mozzi

(Continua)

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