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UIL: «Sfratti per morosità fenomeno sempre più allarmante»

L'affitto incide il 40% su reddito da lavoro e il 50% su quello da pensione

Partendo dai recenti dati del Ministero dell’Interno sui provvedimenti di sfratti relativi all’anno 2015 e dal «Rapporto Immobiliare 2016» dell’Agenzia delle Entrate sulle locazioni immobiliari, condotto a livello regionale, dal Servizio politiche abitative della UIL Nazionale, risulta evidente come la crisi economica si ripercuota sulla difficoltà per le famiglie italiane di pagare l’affitto.
Infatti, i provvedimenti esecutivi di rilascio di immobili a uso abitativo sono stati in Italia 64.676 (in aumento del 23,7% rispetto al 2008, ultimo anno pre-crisi economica) di cui 57.015 dovuti a morosità e altra causa (con un incremento del 38,4% rispetto al 2008).
L’incessante e implacabile crisi economica di questi lunghi anni ha prodotto ricadute negative sia sul fronte occupazionale che sociale, con una riduzione del reddito per centinaia di migliaia di famiglie, che, come dimostrano i dati sugli sfratti, si è tradotta, in molti casi, anche nella difficoltà di pagare il canone di locazione.
Si pensi solo che in Italia, nel 2015, il rapporto tra sfratti emessi e numero famiglie è di 1 ogni 399 famiglie, molto più basso rispetto al rapporto che si era registrato negli anni pre-crisi.
 

 
A livello regionale, la Liguria presenta dati di sofferenza abitativa tra i più preoccupanti del Paese con un rapporto di 1 sfratto emesso ogni 261 famiglie.
Ciò che maggiormente preoccupa di questo quadro è l’incremento, negli anni, dell’incidenza degli sfratti per morosità che, nel 2015, assorbono l’88,2% con una crescita, rispetto al 2008, di oltre 9 punti percentuali (78,8% del 2008).
Pur non essendo menzionati i motivi degli sfratti che vedono nella morosità la principale causa, è, però, presumibile che gran parte degli stessi derivi da una «morosità incolpevole» cioè da una situazione di sopravvenuta impossibilità a provvedere al pagamento del canone locativo, in ragione della perdita o consistente riduzione della capacità reddituale del nucleo familiare.
I cambiamenti della società e la crisi occupazionale vedono aumentare sempre più le famiglie mononucleari e monoreddito.
 
E se Roma risulta essere la città dove il «caro affitti» da contratto di locazione a canone libero incide maggiormente sul reddito da pensione (incidenza del 59,2%), sul reddito da lavoro dipendente (con il 48,2%) e sul reddito da lavoro autonomo (con il 27,8%), la media nazionale annuale per le locazioni a canone libero è di euro 8.247,12 mentre l’incidenza media sul reddito da lavoro dipendente risulta essere del 40,2%; sul reddito da lavoro autonomo è del 23,2%, sul reddito da pensione è del 49,4%.
Prendendo a riferimento le locazioni a canone concordato la media nazionale annua di un contratto di affitto a canone concordato è di euro 7.628,40, che incide del 37,4% sul reddito da lavoro dipendente, del 21,6% sul reddito da lavoro autonomo e del 46% sul reddito da pensione.
 
«Dati allarmanti – sottolinea Walter Alotti, Segretario generale della UIL del Trentino, – in considerazione del fatto che fino ad ora, non sono state attivate neppure in Trentino misure, anche innovative, per segnare un’inversione di tendenza.
«Per esempio non è ancora decollato il Regolamento d'attuazione del Fondo di Garanzia per l'affitto, perso nei meandri degli uffici provinciali, uno strumento grazie al quale, si spera, sarà possibile far rientrare nel circuito degli alloggi in affitto, almeno a canone moderato, parte dei tanti appartamenti che a Trento e nei comuni ad alta densità' abitativa i privati tengono sfitti, per paura di morosità o danneggiamenti.»
 
Anche perché l’altro mezzo per ridurre l’impatto del canone d’affitto sui redditi dei meno abbienti, il contributo per l’integrazione canone, lascia già ora in gran parte insoddisfatta, e lo sarà ancor meno in futuro (max il 30/40% di erogazioni per il sempre minore stanziamento agli enti locali previsto), la risposta a chi paga un affitto ai privati e chiede l’aiuto al Comune o alla Comunità di valle.
Oltretutto la situazione in questo caso, con un sempre maggior numero di famiglie anche italiane in difficoltà, è prevedibile diventi ancor di più scottante per la decisione della Provincia Autonoma di mettere comunque un termine temporale di due anni di fruizione del beneficio, a prescindere dall’indicatore ICEF di riferimento. I pur meritevoli interventi di ulteriore deroga alla sospensione, messi in atto ad esempio dal Comune di Trento, per le famiglie in grave difficoltà, non permetteranno purtroppo dare le risposte necessarie ad un’emergenza conclamata per la quale unica soluzione praticabile, vista la non reperibilità di alloggi sociali sufficienti, rimane l’agevolazione all’affitto da privati od un maggior finanziamento del Fondo per l’integrazione canone, non certo una sua riduzione o limitazione.
 
In vista della discussione sul DPEF provinciale 2017 e della manovra di assestamento di bilancio 2016, ancora in attesa del decollo del Fondo per l’affitto, la UIL chiederà che in fase di variazione di bilancio quegli stanziamenti previsti per il 2015 ed il 2016 siano stornati ai capitoli di previsione di finanziamento dell’integrazione canone e redistribuiti alle Comunità locali che debbono poi erogarli alle famiglie trentine.
Il «caro casa» incide pesantemente sulle tasche degli italiani, in particolare per chi sta soffrendo un disagio occupazionale e, più in generale, per lavoratori e pensionati i quali hanno visto calare, negli ultimi anni, le loro disponibilità economiche.

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