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«Scelte di libertà» – Di Maurizio Panizza

Il «burqini», ovvero la libertà di scegliere. La polemica di questi giorni sul permettere alle donne islamiche di indossare in pubblico il costume integrale

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«Burqini»? Personalmente non vedo come possa essere un problema se, in un bel giorno d’estate, donne islamiche decidono di fare il bagno completamente vestite: libere di farlo se è una loro scelta.
Il problema, semmai, sono a mio avviso le molte dichiarazioni, più o meno autorevoli, sentite in proposito nelle scorse settimane.
Una di queste: «La linea sottile che divide obbligo e scelta non può essere stabilita da noi italiani che vogliamo ergerci a giudici senza capire che in questo modo togliamo la libertà altrui.»
 
Orbene, così di primo acchito il ragionamento parrebbe non fare una grinza. Se non che, a voler assumere in assoluto tale principio ci capita di imbatterci in ben altre questioni, molto più gravi e importanti.
Facciamo qualche esempio. Recentemente il fondatore dell'Unione comunità islamiche d’Italia, tale Hamza Roberto Piccardo, ha chiesto pubblicamente che venga riconosciuta la legittimità della poligamia anche in Italia.
Sappiamo perfettamente che ciò è in contrasto con la nostra legislazione, ma perché - potremmo chiederci allo stesso modo - negare questo diritto in un Paese laico e democratico come il nostro, se ciò deriva da una libera scelta?
 
Rimanendo sempre in tema, un altro esempio: quello dei matrimoni combinati fra uomini e bambine che oggi pare tornato d’attualità al seguito dei movimenti migratori.
Retaggio irrilevante di antiche usanze? Scelte marginali?
Non sembra, essendo il fenomeno molto diffuso anche in Europa. Si pensi che è di questi giorni la decisione della Corte costituzionale della Turchia di legalizzare gli atti sessuali con «soggetti consenzienti» fino ai 12 di età.
Pare - anche se non è stato ammesso esplicitamente - che ciò sia dovuto alla possibilità di abbassare ulteriormente l’età dei matrimoni combinati fra adulti e minori.
Scelte di uno Stato, osserviamo, che come ben si sa è in attesa di essere ammesso ad entrare nella Comunità Europea.
 
Spostando gli occhi ancora più in là, mai sentito parlare di «infibulazione»? Ovvio che sì, ma cosa può c’entrare in questa riflessione una questione così scottante e dolorosa?
C’entra perché, anche in questo caso, sullo sfondo ci sono delle scelte, discutibili, ma pur sempre «scelte».
Molto spesso, infatti, tali mutilazioni sono decisioni consapevoli che le donne prendono per se stesse e per le proprie figlie.
Decisioni, appunto, che estremizzando il principio, sono scelte di libertà.
Infatti, qualcuno, pur non condividendo, potrà sempre dire che non c’è da meravigliarsi perché è la loro cultura, è il prodotto della loro tradizione.
 
Di fronte a queste (e ad altre situazioni), potremmo allora chiederci se vale ancora l’inopportunità - come diceva qualcuno – di ergerci a giudici di scelte altrui rischiando in tal modo di limitare a qualcuno la propria libertà personale.
Problema complesso, è vero, ma non risolvibile di certo né attraverso incondizionate e acritiche visioni multi-culturaliste, né - all’opposto - con una criminalizzazione generalizzata di intere popolazioni.
Comunque, se è pur vero che l’Italia dispone di un impianto legislativo adeguato a combattere simili azioni, è anche vero che solo istruzione e cultura sono in grado di ridimensionare con il tempo usanze che per noi sono da considerarsi «barbare», ma che invece per chi le pratica sono scelte dettate da proprie tradizioni secolari condivise.
 
Per cui se vogliamo che queste scelte discutibili di «libertà» vengano sempre più circoscritte, è giusto sapere che la responsabilità di alimentare o meno visioni del genere appartiene a tutti noi.
Perché se un domani, per cause diverse, ci si dovesse trovare ad esempio di fronte ad ingenti strati di popolazione straniera concentrata in sobborghi urbani, poco integrata, senza lavoro e priva di mezzi di sussistenza, è evidente che tali problemi verrebbero a galla e amplificati quantomeno come strumenti di affermazione e di riconoscimento culturale proprio per porre volutamente dei «distinguo» fra etnie diverse.
L’esatto opposto di quell’integrazione di cui oggi si parla tanto.
Problemi, dunque, viene da pensare, talmente gravi e complessi che al confronto la questione del cosiddetto burqini pare assumere oggi il valore di un’insignificante sciocchezza.
 
Maurizio Panizza
©Cronista della Storia
maurizio@panizza.tn

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