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Oriente occidente 31/8: il genio creativo di Jan Fabre e Cid Cantieri

È la Danza ad aprire la seconda giornata di Festival a Rovereto con due appuntamenti

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Photo Wonge Bergmann.
 
È la Danza ad aprire la seconda giornata di Festival a Rovereto con due appuntamenti: la giovane danza di CID Cantieri e il genio creativo di Jan Fabre.
Il primo appuntamento di mercoledì 31 agosto è previsto alle ore 18 all’Auditorium Melotti con CID CANTIERI e i coreografi Davide Valrosso e Tommaso Serratore.
Due progetti che nascono come residenze creative nel cuore del CID Centro Internazionale di Rovereto e di Oriente Occidente che hanno selezionato quattro coreografi quest’anno, giovani promesse della coreutica nazionale, per altrettante coproduzioni che vedono la luce sul palco di Oriente Occidente nel corso di due giornate.
Il primo dei due coreografi che si presenta sul palco del Melotti il 31 agosto è Davide Valrosso con i suoi danzatori associati a VAN di «I would like to be pop».
Davide Valrosso ha un passato di interprete in prestigiose Compagnie internazionali. Dal 2014 la coreografia lo attrae e il suo primo solo, L’apertura degli occhi, è stato selezionato dalla rete Anticorpi XL. Il successivo Cosmopolitan Beauty, prodotto da Cango e dal Teatro Pubblico Pugliese, sviluppa una riflessione sul senso dello stare in scena.
Ora con il nuovo I would like to be pop si pone una questione che attanaglia da sempre la danza contemporanea considerata elitaria e incomprensibile dai più. In questo duetto, senza denuncia ma con leggerezza e ironia, si pone la questione del rapporto autore/pubblico.
 
La seconda coproduzione sul palco è quella del coreografo friulano Tommaso Serratore con i suoi danzatori associati al collettivo artistico Zerogrammi dal titolo «Il coraggio di stare».
Con «Il coraggio di stare» Tommaso Serratore chiude il progetto Corpo pensante, ciclo di incontri di danza contemporanea volti a indagare con professionisti e detenuti i concetti di viaggio e di libertà, ispirati da alcuni pensieri tratti dal diario di Christopher McCandless e suggestionati dal film Into the wild di Sean Penn.
«Un documentario coreografico» lo definisce l’autore «un magma di immagini, luci e corpi in movimento, che porta in scena quella pulsione umana con cui ognuno di noi si rapporta con se stesso e con il mondo».
 

 
Al Teatro Zandonai alle 20.30 la scena è tutta per lo spettacolo «Attends, attends, attends... (pour mon père)» del genio artistico Jan Fabre e il suo straordinario danzatore Cèdric Charron.
Un viaggio visionario, oscuro e perturbante quello che il multidisciplinare artista belga Jan Fabre costruisce per il suo danzatore feticcio Cédric Charron.
In Attends, attends, attends… (pour mon père) indaga il senso del tempo nell’assoluta distanza percettiva esistente nel rapporto padre-figlio.
L’uno, il padre, ha già visto tutto, l’altro, il figlio, deve ancora scoprirlo. E chiede tempo. La domanda quindi di Cédric al padre è chiara: «Aspetta, aspetta, aspetta!».
Un assolo sull’arte del procrastinare, del rimandare a più tardi, in cui il possibile prende forma in uno spazio-tempo sospeso, un limbo in attesa dell’inevitabile.
 
Immerso in una coltre di nebbia Cédric Charron vestito di rosso fiammante sembra un novello Caronte che rema per attraversare lo Stige.
Saetta nell'aria trasformando il proprio corpo plastico in quello di una bestia feroce o di un Cristo sulla via Crucis. Lo spunto della pièce è una confessione, vera, di Cédric al padre sulla paura della perdita, nonché un'autoaffermazione del suo essere artista («in quanto artista», commenta Fabre, «è uno specialista dell’atto del morire»).
Eppure questo lavoro può essere considerato un racconto a quattro voci. Perché questa lettera-testamento, questo rito funebre che evoca fantasmi e risveglia la morte non impedisce di pensare che sia anche un addio che Fabre destina al suo di padre.
E, nello scorrere della visione, la dimensione del mistero si fa assoluta, ci riguarda da vicino. Anche noi posti di fronte all’incognita del trapasso dall’impressionante presenza scenica di Charron e dal genio compositivo di Fabre.

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