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Sandra Matuella intevista Charles Aznavour all’Arena di Verona

Uno spettacolo con la sua Venezia triste e planetaria. E con l’Armenia nel cuore

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Il servizio fotografico del concerto è di Renato Begnoni.
 
Charles Aznavour, l’ultimo osannato chansonnier francese, ha festeggiato lo scorso 14 settembre, i suoi primi settanta anni di carriera, con un concerto all’Arena di Verona: era l’unica tappa italiana del tour mondiale di questo grande artista francese di origini armene, che ha richiamato più di ottomila spettatori da tutta Italia e anche dall’estero.
Era presente anche la stampa nazionale e straniera, per una serie di dirette televisive, interviste e servizi di approfondimento (nel sito di Rainews24 c’è una bella intervista di Fausto Pellegrini ad Aznavour).
Questo evento aveva anche un cuore trentino, poiché media sponsor dell’evento era Radio Italia Anni Sessanta, per l'accordo di radio partner ufficiale del concerto, firmato dal Coordinatore nazionale Alessandro Raffaelli con la Produzione (foto seguente).
Gli striscioni con il logo della radio spiccavano in tutta l’Arena e perfino sotto il palco stesso.
«È stata una grande soddisfazione – osserva Raffaelli – poiché riconosce la professionalità e l’ampia portata musicale della nostra radio, che ogni giorno viene seguita fedelmente da più generazioni di ascoltatori.»
E per applaudire Aznavour sono accorsi in Arena anche tanti trentini, tra cui il comico Lucio Gardin, Ugo Bertoldi di Mediolanum, Massimiliano Zadra di Fashion Gallery e gli amici del Mas dela Fam.
 

 
Charles Aznavour per la prima volta all’Arena, era in effetti un evento unico, vista l’importanza dell’artista, unita alla suggestione dell’Arena stessa: era la combinazione ideale per un pubblico raffinato, elegante in abito gran soirée, un po’ come quello che segue l’opera, formato da persone mature, ma anche da tanti giovani, attratti da un mito vivente che non ha età.

Classe 1924, 92 anni compiuti a maggio e portati con grande charme e vitalità, Aznavour entra in scena vestito di nero, in perfetto stile esistenzialista, sdrammatizzato però, quando si toglie la giacca, da due bretelle rosse.
Saluta platealmente, e sfodera subito il piglio da grande chansonnier che intrattiene il pubblico mentre propone un concerto trilingue, in francese, in italiano e inglese «per i turisti»: accompagnato da una band formata da otto musicisti illuminati da disegni di luci che alternano l’effetto bianco e nero con delle sfumature cromatiche dal blu al fucsia, Aznavour propone una scaletta che fonde la chanson francese con il jazz e il cabaret, per delle canzoni romantiche che parlano d’amore, di nostalgia e di danza.
 
Lo stesso Aznavour spesso accenna a dei passi, scherzando su quanto sia pericoloso ballare sul palco dell’Arena, per il rischio di finire nella buca dell’orchestra.
Scherza anche sulla sua età e su eventuali vuoti di memoria, per rimediare ai quali, «basta piegarsi» spiega mimando l’azione, e leggere le parole delle canzoni su un video, che ha rimpiazzato il più rudimentale «gobbo» di carta. Anche tanti altri suoi colleghi più o meno giovani lo usano, «ma a differenza di loro, io lo dico».
 

 
In quasi due ore di concerto senza interruzioni, salutate con una standing ovation finale di tutta l’Arena, Aznavour con la voce suadente e ben timbrata di sempre, intona i suoi grandi successi tra cui «Les émigrants», «Sa jeunesse», «Il faut savoir», «La bohème», «La vie est faite de hasard», e poi «Lei», «Morir d’amore» e una ispiratissima «Ave Maria».
Il tripudio del pubblico, soprattutto italiano, arriva puntuale con la celeberrima trilogia: «L’istrione», «Ed io tra di voi» e, naturalmente, «Com’è triste Venezia» che il cantante ha definito la sua «canzone planetaria».
 
La scaletta alternava i titoli francesi con quelli italiani ed esprimeva bene la centralità della questione linguistica nell’arte di Aznavour, poiché anche alla versatilità nelle lingue (canta infatti in francese, inglese, spagnolo, italiano, napoletano, tedesco e russo), deve il suo successo internazionale.
In Arena Aznavour ha sottolineato l’importanza della traduzione di una canzone in un’altra lingua: la traduzione ideale deve restituire non solo il significato del testo, ma anche la musicalità stessa delle parole, per questo ha elogiato il talento poetico di Mogol e di Giorgio Calabrese, i suoi traduttori italiani prediletti.
 
Discorso a parte merita il suo rapporto con una lingua davvero speciale, ossia quella armena: monsieur Aznavour o, più precisamente, Aznavourian, è originario dell’Armenia, un paese per il quale ha svolto e svolge una intensa attività diplomatica a sostegno della sua complessa causa, al punto che ha ricevuto diverse onorificenze; è diventato perfino eroe nazionale dell’Armenia, con tanto di monumento in suo onore nella capitale Erevan.
 

 
Nel pomeriggio del concerto, appena terminate le prove, Aznavour ci ha commentato con interesse la seconda edizione di uno dei rari metodi di apprendimento della lingua armena, pubblicato nel 1999, che ospita la sua prefazione. Lo stesso Aznavour ci racconta.
«Io sono nato a Parigi, figlio di genitori apolidi, e pur conservando una parte importante della mia specificità armena, ho assimilato e mi sono completamente integrato nel mio paese, la Francia.
«Il francese è e resta la mia “prima seconda” lingua, quella in cui penso e mi esprimo al meglio.
«Da bambino della prima generazione di apolidi quale ero, non ho avuto la possibilità di frequentare il collegio armeno in cui apprendere la lingua.
«L’armeno ha una ricchezza eccezionale, eppure è sconosciuto – spiega Aznavour, – così un metodo di apprendimento di una lingua antica e preziosa, ma poco diffusa come l’armeno è importante per le nostre radici, per la nostra cultura, per la memoria delle generazioni che ci hanno preceduto, e la memoria, non dimentichiamolo mai, di coloro che sono morti in condizioni drammatiche e inaccettabili, nei tempi in cui “soluzione finale” era la parola d’ordine per annientare un popolo, la sua cultura, la sua fede e la sua lingua.»
 
Sandra Matuella - s.matuella@ladigetto.it


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