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Belle Epoque. (Erotica storia d’amore di fine ottocento)

Dodicesima Puntata

E infine venne quel fatidico 1903.
Ero da solo nel mio Studio Verde del piano terra. Stavo seduto nella poltrona davanti alla mia scrivania come se fossi il cliente anziché l'avvocato. Fumavo un sigaro guardando i libri della mia biblioteca, come per cercare anche in quelli i consigli di cui avrei avuto bisogno subito. Fuori c'erano delle persone che mi stavano a cuore, ma con le quali avrei dovuto affrontare una brutta storia. Proprio brutta, al punto di farmi fumare un sigaro poco prima di cena. Anzi, ora mi sarei anche versato un cognac, che poteva rappresentare tutta la cena. L'orologio neoclassico del mio studio batteva le otto di sera.
«Gocce del tempo, - arrivai a sussurrare con un amaro nodo alla gola, - che si staccano…»
Poi bussò mia moglie alla porta ed entrò.
«Ciao, caro. Posso far servire la cena?»
«Aspetta un momento. Entra, chiudi e mettiti a sedere.»
La colsi un po' di sorpresa. In altre circostanze sarebbe venuta a sedersi sulle mie ginocchia, ma stavolta andò a mettersi sulla mia poltrona. Ora era lei l'avvocato e io il cliente. Tra un po', anzi, lei sarebbe divenuta il giudice e io il colpevole. Fuori c'erano delle persone alle quali avrei creato un enorme dolore, cosa che non avrei mai voluto fare in vita mia. Eppure dovevo. Lo scaricabarile era finito lì dove era incominciato, nel mio Studio Verde.

Avevo ormai 57 anni, mia moglie 44 ed era ancora una bellissima donna, pazza come sempre di me. Poverina, per prima dovevo informare proprio lei.
Mia figlia Ortensia stava frequentando l'università a Padova, come me. Ora aveva 22 anni ed era al quinto anno di medicina, dove l'avevamo iscritta a sua richiesta sfidando gli scandali sollevati dal mondo accademico maschile. Aveva conosciuto un ragazzo di 27 anni per caso, proprio a Padova, a casa dei nonni Carraro, nel corso di un ricevimento. L'aveva conosciuto e se ne era innamorata subito. E lui, a sentire Ortensia, aveva perso la testa per lei. Insomma si volevano sposare. Cosa c'era di meglio per due genitori che come noi avevano avuto l'amore come portante della propria vita?
E così Ortensia era venuta a casa nostra quella sera con il suo innamorato per avere la benedizione mia e di sua madre sul loro fidanzamento.
Quando me lo presentò barcollai, come se avessi preso una tegola in testa.
«Piacere. - mi aveva detto. - Sono Marco Parrini di Moncalieri
L'umiltà e l'eleganza con cui aveva evitato di pronunciare il suo titolo nobiliare non fece che aggravare la mia vacillante situazione mentale. Avevo chiesto scusa accusando un giramento di testa e mi ero ritirato un attimo nello Studio Verde.
Ora, davanti a me c'era mia moglie. Le raccontai tutto.

«E così, mia cara Margherita, - conclusi, guardando il mio nuovo quadro macchiaiolo - i sogni non solo non si realizzano, ma il più delle volte diventano incubi. Tutto è avvenuto prima del nostro matrimonio, ma ora so che dovevo dirtelo subito.»
Mi alzai e iniziai a camminare col sigaro in bocca.
«E il peggio è ancora da arrivare. - Continuai. - Ora devo dirlo a quei due ragazzi là fuori, che non hanno nessuna colpa. Dio voglia solo che non abbiano già fatto l'amore!»
«Ma il peggio sta davvero per venire. - disse sottovoce Margherita alzandosi faticosamente dalla mia poltrona. - Ma non sei tu quello che deve parlare. Perché sarai tu che dovrai perdonare me, Matteo.»
«Cosa vuoi dire, povera cara? - chiesi pietosamente. - Tu non c'entri.»
«C'entro, c'entro, Matteo... Perché vedi, io invece, ero sposata.»
Non riuscii a capire cosa volesse dire. Quando era sposata? Cosa diavolo stava dicendo? Mi sentii pian piano gonfiare il petto dall'emozione, certo che avrei fatto un infarto letale, perché stava montando dentro di me quello che un po' alla volta andava a delinearsi come una verità imponente e devastante come un macigno che sta rotolandoti addosso.
«Cosa vuoi dire... - dissi additandola con l'indice.- Vuoi dire che tu, che nostra figlia, che tua figlia, che mia figlia...»
Mi guardò terrea mentre la indicavo come se fosse il condannato.
«Vuoi dire che io… Io non sono il padre?»
Non rispose, schiacciata dalla mia irruenza emotiva.
«Parla! Dimmi la verità, donna!» - urlai a pieni polmoni.
Lei capì che l'avrei uccisa e si mise in ginocchio, chinandosi con la testa ai miei piedi.
Io, inferocito, mi misi sopra di lei a gambe divaricate e sempre con il dito puntato urlai ancora.
«Dimmelo, donna! Parla! Ammetti che mi hai tradita e che Ortensia non è mia figlia, Signore Iddio Onnipotente!»
Si mise il viso fra le mani e scoppiò in lacrime.
«Non ho sentito la risposta!» - urlai ancora.
Lei, tra le lacrime sussurrò «Sì, è così... Non è figlia tua, perdonami!»
Dopo un attimo di paralisi, mi chinai e la feci alzare. Le alzai il viso e volli che mi guardasse in faccia.
«Grazie, Margherita. Quanto è vero Iddio, grazie davvero!»
Spensi il sigaro nel cognac e l'abbracciai stringendola fino a farle male. Non aveva capito un cazzo, ma non ebbe il tempo di ripulirsi le lacrime prima che la trascinassi fuori.
«Annamaria! - gridai all'ultrasettantenne governante. - Di' a Novella di servire in tavola e tu va' a prendere il vino migliore che c'è. Oggi è grande festa per tutti!»

Quella sera concessi il fidanzamento ai due giovani, i quali mi abbracciarono dalla gioia. Poi chiamai in disparte il futuro sposo per scambiare due parole da uomo a uomo. Andammo nello studio verde e ci sedemmo. Gli offrii un sigaro, ma lui rifiutò cortesemente.
«Sei sicuro di amare mia figlia?» - Chiesi, più per cortesia che per dovere.
«Sì, certo, signore. La amo.»
«Come fai ad esserne sicuro?»
«La mamma mi ha sempre detto che quando si ama una persona si vuole essere riamati da lei.»
«E tu...
«Si, - sorrise. - Desidero proprio essere amato da sua figlia...»
Mi sentii prendere dall'emozione e mi costrinsi ad essere più prosaico.
«Bene, Marco. - dissi allora. - Hai già fatto l'amore con mia figlia?»
Scattò in piedi.
«Ma signor conte, io...»
«Chiamami Matteo.»
«È una formalità... Mi hanno insegnato...»
«Beh, fa' finta che io sia tuo padre e dammi del tu.»
«Ma, signor conte, io a mio padre davo del voi!»
«E facevi bene. Ma questa è una ragione di più per dare del tu a me. Tuo padre non c'è più?»
«È morto anni fa, aveva 88 anni. Era un gentiluomo. - si limitò a dire. - Amava la mamma e me come nessuno al mondo.»
«Deve essere stato fortunato ad aver avuto una moglie come tua madre.»
Mi girai a guardare il quadro di Toulouse Lautrec che avevo acquistato nell'ultimo viaggio a Parigi, poi mi rivolsi nuovamente a lui.
«Ne hai parlato a tua madre di questo fidanzamento?»
«No. Volevo prima sapere che cosa ne pensavate voi.»
«Ripeto, dammi del tu.»
«Per voi, intendevo te e la tua signora.» - Dialettico, come suo padre.
«Bene. Glielo scriverai?»
«No. Se mi autorizzi, la porterò a Roma con me e gliela presenterò. Le farò una sorpresa.»
«Bravo.»
Avevo tutto il tempo di inviare ad Ortensia un telegramma, seguìto da una lettera, per impedirle di svenire alla notizia.
«Ripeto: dormiste insieme?»
«Ma, conte Matteo, perché continuate a dubitare di me?»
«Perché ti conosco. E dammi del tu anche quando ti parlo di queste cose.»

Va da sé che io non affrontai mai con Margherita la vera paternità di nostra figlia Ortensia. Mi limitai a fare dentro di me le dovute considerazioni sull'idea presuntuosa che mi ero fatto di una moglie pazza di me. Il mio etico disinteressamento avrebbe potuto ferirla, ma ritenni che ogni approfondimento ci avrebbe solo allontanati, mentre ora - per quanto apparentemente assurdo - io finalmente l'amavo davvero. La colpa era stata mia; per me era sempre rimasta la mia nipotina, mentre lei mi aveva amato dal primo giorno che mi aveva visto. Se non l'avevo amata come avrei dovuto, ora anche lei aveva capito il perché. Adesso io volevo essere amato da lei...
La Natura è una vera figlia di puttana. Fa e disfà, dà e toglie, prende e regala nel modo e nel momento che meno ti puoi aspettare.

Alla vigilia del matrimonio, che sarebbe avvenuto nella nostra villa di Altivole, io dovetti dare una mano a mia figlia a organizzarsi perché sua madre era troppo emozionata e riusciva solo ad alimentare la confusione. Ero in camera di mia figlia e lei stava davanti a me in biancheria intima. La guardavo con occhio critico. Era iniziato il '900, ormai si erano diffuse le calze di seta e quindi i mutandoni di pizzo erano scomparsi. Con corpetto e reggicalze sembrava una ballerina del Moulin Rouge.
«Sei bellissima. - ammisi. - C'è qualcosa che vuoi sapere sul rapporto tra marito e moglie?»
Sorrise. - «Perché, tu ti sentiresti in grado di insegnarmi qualcosa?»
«Beh, credo di avere più esperienza di te, figliola, non ti pare?»
«Volevo dire, te la senti davvero di parlarmi di queste cose la vigilia del mio matrimonio, quando per 22 anni non mi hai detto niente?»
«Prima del matrimonio queste cose non dovevano interessarti per niente. - Mentii deliberatamente, dato che in realtà io ero stato molto liberale con lei in proposito. E se davvero non aveva mai fatto l'amore finora, era solo perché non le era andato di farlo. - In ogni modo, qualcosa, come padre, devo pur dirtelo. Tu hai idea di come si faccia l'amore, più o meno?»
«Più o meno, lo so.»
«Bene. - dissi mettendomi le mani dietro la schiena, come se stessi per iniziare un'arringa. - Devi sapere che l'amore si fa in dieci modi diversi. Se l'uomo non li conosce, devi prendere l'iniziativa tu. Per gradi, così il suo interesse per te rimane vivo.»
«Papà, io ne conosco almeno quattordici...»
«Quattordici? - Restai a bocca aperta. - E chi te li avrebbe insegnati, figlia degenere? Non sarai magari andata a vedere una mostra di Climt quando sei andata a Vienna?»
«Papà. No... fermati un attimo, papà, ti prego! Non l'abbiamo mai fatto, lo sai, ma ne abbiamo parlato. Sono una dottoressa e domani ci sposiamo... Quindi, credimi, le posizioni di base sono quattordici. Le abbiamo contate. Ti basta?»
Cambiai discorso.
«Puoi alzare le braccia?»
Le alzò, scoprendo le ascelle e dimostrando così l'assoluta mancanza di peli.
«Ti sei rasata?» - le chiesi.
«Si dice depilata
«Sì, vero, oggi si dice così.»
«Ho fatto male?» - domandò tradendo una piccola incertezza. - Dici che un uomo preferisca…»
«Ma no, anzi! Ma… e lì?» - chiesi, indicando la zona puberale.
«Anche lì. - ammise. - Appena fatto.»
«Appena fatto cosa?»
«Mi ha rasata.»
«Rasata? E chi ti ha rasata?»
Attese un attimo prima di rispondere.
«Novella.»
«E come diavolo le è venuto in mente?»
«Ieri sera mi aveva detto a tu per tu che una vera signora si depila il sesso e le ascelle, il giorno prima delle nozze.»
«E tu?»
«Ed io ho pensato che avesse ragione...»
«Com'è Ortensia?» - Le chiesi cambiando nuovamente discorso.
«Chi?»
«La mamma di Marco.»
«La mamma di Marco si chiama Elena, papà. Ortensia sono io. È una bellissima donna. Conoscendoti, - ammiccò con tono di complicità, - penso che ci faresti un pensierino… Beh, mi ha accolto come se fossi una figlia. La vedrai domani. Mi ha già detto che ho due genitori fantastici, anche se non vi conosce neanche...»
«Giusto. - dissi. - Non ci conosce neanche...»
«...Ma mi auguro che la troviate fantastica anche tu e la mamma.»

Andai in camera di mia moglie, dove la trovai col bustino e le calze di seta. La moda aveva raggiunto anche lei. Si girò verso di me, sembrava anche lei una ballerina del Moulin Rouge.
«Sei bellissima.» - le dissi, e lei si commosse.
«Tu… Mi trovi… Ancora… Bella?»
Avvertii che il suo cuore stava mutando il numero dei battiti.
«Sei bellissima. - Ripetei. Mi avvicinai a lei e la presi tra le braccia. - Devi perdonarmi.»
«Tu? Vuoi che io perdoni te
Restammo un po' così, con lei che piangeva tra le mie braccia.
«Via. - sussurrai baciandole una lacrima. - Sei emozionata per il matrimonio di nostra figlia.»
Poi le alzai il visino.
«Hai visto Ortensia?»
«Hai visto che bella nostra figlia?»
«È bellissima. - Sorrisi felice. - Come la mamma.»
Le misi una mano nel tratto di coscia che sta tra le calze di seta e le mutandine. Lei rispose portando il peso sull'altra gamba in modo da porsi meglio alla mia mano.
«Ho preso una decisione.»
«E quale?» - chiese, non troppo sicura di volerla sentire.
«Vieni fuori.» - La tirai per un braccio, così com'era.
«Fermati! Ci può vedere qualcuno!»
«Vieni. - Uscimmo sul salone del piano superiore e chiamai la governante. - Annamaria! Annamaria!»
Al posto della governante accorse subito Novella.
«Comandi, siór conte!»
«Da stanotte mia moglie dorme con me. Disponi in modo che la mia diventi la nostra camera.»
Avevo ancora un grande letto matrimoniale.
«Vuole che separi i letti, siór conte?»
«Non capisci un cazzo, cara la mia Novella? Ho detto che da stanotte mia moglie dormirà sempre con me!»
Prima che Margherita si riprendesse dalla novità, la riportai in camera sua.
«Visto che da stanotte non dormirai più in questo letto, ora ti monto per l'ultima volta in camera tua.
«Ma… Matteo, ti pare proprio il caso…»
«Mi pare proprio. Non ricordo qual è l'ultima volta che ti ho montata
«Ma che modo di parlare, Matteo!»
Misi una mano dietro, nel suo sedere, sentendo con piacere la pienezza delle sue natiche, meno giovanili di una ballerina, ma molto più eccitanti e traboccanti di desiderio.
«Girati! - le ordinai, e lei si mise pancia sotto. La presi così, alla eretica. - Sai cosa dicevo delle donne come te quand'ero un giovane ventenne?»
«Devo preoccuparmi?» - domandò, anche se mi pareva che si stesse concentrando sul mio pene insolitamente vigoroso che stava prendendo posizione.
«Dicevo che una donna sopra i quarant'anni è come il maiale: non butti via niente.»
E sentendo il suo incredibile sedere di splendida donna matura ben aderente al mio basso ventre, ora ero certo che fosse vero.

m.alvisi@ladigetto.it


Nelle immagini, dall'alto: Un orologio stile impero; la tela di Boldini intitolata Giovane bruna; Toulouse Lautrec Il bacio; Climt, Danae; Boldini, Donna entra in vasca.

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