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I «custodi» dei vitigni rari d'Italia – Di Giuseppe Casagrande

Un viaggio affascinante di oltre centomila km dalle Alpi alla Sicilia alla scoperta degli antichi vitigni abbandonati, a rischio estinzione. I pionieri, regione per regione

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Aldo Lorenzoni intervistato dal giornalista del Corriere della Sera Luciano Ferraro.

Un viaggio affascinante di oltre centomila chilometri dalle Alpi alla Sicilia. Un viaggio di incontri e di scoperte. Un viaggio ricco di storie spesso caratterizzate da autentico eroismo.
Un racconto di quanto le istituzioni, i Centri di ricerca e gli scienziati di tutta Italia hanno fatto e stanno facendo per identificare e preservare i mille vitigni rari dell'immenso patrimonio ampelografico del BelPaese.

Un'opera monumentale di 320 pagine dal titolo emblematico «100 custodi per 100 vitigni» nata da un'idea di tre enologi Aldo Lorenzoni, Luigino Bertolazzi e Giuseppe Carcereri de Prati accomunati dalla stessa passione per la ricerca sul territorio nazionale degli antichi vitigni a rischio d'estinzione.
 

I tre moschettieri dell'Associazione Graspo, gli enologi Giuseppe Carcereri de Prati, Aldo Lorenzoni e Luigino Bertolazzi.
 
  I tre coraggiosi moschettieri accompagnati da un novello D'Artagnan 
A questi tre moschettieri, fondatori di Graspo, acronimo che identifica il Gruppo di Ricerca per la Salvaguardia e Preservazione dell’Originalità viticola del BelPaese, si è poi aggiunto, come nel romanzo di Alexandre Dumas, il quarto moschettiere, il fotoreporter Gianmarco Guarise, novello D'Artagnan. Convinti che la biodiversità possa essere una risorsa importante per il futuro della viticoltura, sia in chiave di cambiamento climatico sia per una migliore e più dinamica comunicazione delle singole identità territoriali, in pochi anni sono riusciti a coinvolgere numerosi vignaioli, numi tutelari di un patrimonio ampelografico di inestimabile valore.
 

Antonio Tebaldi consegna alcuni tralci di viti centenarie alla Fondazione Edmund Mach.
 
  Gli incontri, le storie, le scoperte di un mondo: dalle Alpi alla Sicilia 
Il volume (splendide le immagini fotografiche) per la prima volta, accanto all’identificazione, alla storia, alle caratteristiche del vitigno e del vino valorizza le persone, i veri «custodi» del vigneto Italia.
Un'esperienza di oltre centomila chilometri dal Trentino Alto Adige alla Sicilia: centinaia i produttori incontrati, numerosissimi i prelievi di materiale vegetale eseguiti per stabilire l’identità dei vitigni, prelievi che hanno portato alla scoperta di nuove varietà di uva e, soltanto nell’ultima vendemmia, alle realizzazione di oltre 100 microvinificazioni.
Il testo, organizzato in capitoli territoriali, cerca di contestualizzare dove possibile aziende e «cultivar» nei rispettivi ambiti con l'obiettivo di far conoscere per ogni vitigno a rischio estinzione, incontrato nel percorso di ricerca, la persona o l’azienda che di questo vitigno è diventata «custode».
 

Gianmarco Guarise, Luigino Bertolazzi e Aldo Lorenzoni, brindisi tra i vigneti.
 
  I pionieri della Valle d'Aosta, del Piemonte, della Lombardia e dell'Emilia 
I «custodi» di questo patrimonio genetico e le aziende incontrate dagli autori del volume in questo viaggio sono più di 150 e oltre 200 sono le storie dei vitigni, autentiche «reliquie», raccontate dai patriarchi dei singoli territori visitati. Uno di questi è un parroco appassionato di viticultura, l'Abbé don Alexandre Bougeat, che in Valle d'Aosta ha salvato il Prié Blanc, biotipo del Blanc de Morgex et de la Salle, un vitigno estremo dal carattere selvaggio, ma al tempo stesso dal gusto raffinato, che nasce ai piedi del Monte Bianco.
 
In Piemonte va segnalata l'opera meritoria della ricercatrice Anna Schneider, dei pionieri Walter Massa, profeta del Timorasso in quel di Tortona, Stefano Turbil e Giuliano Bosio in Val di Susa che hanno ridato vita al Becuèt e al Baratuciat. In Lombardia Carlo Zadra che sulle colline bergamasche della Valcalepio ha salvato la Merera, antico vitigno che si riteneva perduto, Emanuele ed Eleonora Angelinetta che sulle sponde del lago di Como hanno salvato il Verdese e Domenico Cuneo che nell'Oltrepo' Pavese ha salvato dal rischio estinzione la Mornasca.
 
In Emilia Romagna, terra generosa anche per la vite, sono stati strappati all'eterno oblio alcuni vitigni centenari: il Bursòn di Bagnacavallo, salvato e valorizzato dalla famiglia Longanesi, il Centesimino, la Rambela, la Lanzesca, la Caveccia, l'Alionza e sulle sabbie del Bosco Eliceo, nel Ferrarese, la mitica Fortana.
 

L'accademico trentino prof. Attilio Scienza, presidente del Comitato Nazionale Vini.
 
  I custodi dell'Associazione Graspo e i «canevisti» di Breganze e Bassano 
Tra i vignaioli che hanno sempre avuto una lungimirante sensibilità per la conservazione ed il recupero del patrimonio viticolo del Veneto un posto di primo piano spetta sicuramente ad Antonio Tebaldi che ha strappato a morte certa numerosi vitigni a rischio estinzione: la Marcobona, la Rabiosa, la Cavrara, la Brepona, vitigno quest'ultimo ribattezzato impropriamente Molinara Bianca e che grazie all'Associazione Graspo recentemente è stato iscritto al Registro ministeriale delle Varietà della Vite.
 
Altro «custode» benemerito del territorio è Amabile Consolaro che a Crespadoro, sulla Lessinia, dove l'uva più diffusa è la Saccola Nera, ha salvato la Rossa Durlo. A Sprea, sempre nell'Alta Lessinia, oggi famosa per il Durello spumante metodo classico Sacramundi di Giantonio Brandellaro, va citata l'opera meritoria di Marino Anselmi e della moglie Ottavia Bottacini, custodi una eroica civiltà di montagna, che conservano alcune antiche varietà prefillossera ereditate dal nonno Gioacchino. Ed ancora, sempre nell'Alta Lessinia, nella Valle del Chiampo, Giacomo Roncari e la moglie Luciana, custodi di un altro antico vitigno: la Saccola Bianca.
 
Ed ancora, sempre nel Veneto, la riscoperta della Rondinella Rosa della Valpolicella da parte di Celestino Gasperi, della Marzemina Bianca da parte dei «canevisti» (da caneva, cantina) di Breganze e Bassano del Grappa, della Pedevenda salvata a morte certa da Marco Zanovello sui Colli Euganei, della Turchetta e della Corbina riportate a vita dal vignaiolo patavino Giorgio Salvan.
 

Il prof. Luigi Moio, presidente della International Organisation of Vine and Wine.
 
  In Friuli onore e gloria al patriarca della viticoltura: Emilio Bulfon 
In Friuli un discorso a parte merita Emilio Bulfon, il patriarca della viticoltura friulana, che sulle colline di Valeriano ai piedi delle Prealpi Carniche, a ridosso del Tagliamento, ha salvato alcuni vitigni storici destinati all'oblio: il Forgiarin, lo Sciaglin, l'Ucelut, il Cividin, il Cianorie, il Piculit Neri. Varietà che ora sono state registrate nel Registro ministeriale rendendole utilizzabili da tutti.
Altro vitigno riscoperto in Friuli Venezia Giulia è la Piccola Nera, figlia diretta - ricorda l'ampelografa Manna Crespan - del vitigno Heunish Weiss (o Gouais Blanc) e Vulpea, vitigno di matrice balcanica. È stato salvato da Giorgio ed Eugenio Nicolini che lo curano con amore a Muggia (Trieste) al confine con la Slovenia. Vino rosato, fresco e piacevolmente sapido, all'assaggio ricorda alcune bacche selvatiche, in particolare la rosa canina.
 

Monica Larner, responsabile per l'Italia della prestigiosa guida The Wine Advocate.
 
  L'opera meritoria della Fem, di Gianpaolo Girardi, di Armani e del «Zeremi» 
Per quanto riguarda il Trentino Alto Adige il volume dedica un'intera sezione ai vignaioli eroici della regione e ai ricercatori della Fondazione Edmund Mach, Marco Stefanini e Tiziano Tomasi, i quali ricordano che quando iniziarono il progetto di recupero dei vitigni a rischio estinzione incontrarono molto scetticismo. Oggi non più. Ampio spazio è dedicato a coloro che con entusiasmo hanno creduto al progetto valorizzando le vecchie varietà presenti sul territorio in epoca asburgica.
 
Tra i pionieri va ricordata l'opera meritoria di Gianpaolo Girardi, patron di Proposta Vini, l'indiana Jones della Valsugana che ha strappato a morte certa decine di vitigni che erano stati abbandonati. Importante anche l'intuizione di Albino Armani che a Dolcè ha creato la «Conservatoria», il luogo del cuore dedicato ad alcune «reliquie» a rischio estinzione genetica: la Nera dei Baisi, la Foja Tonda, l'Enantio, la Casetta, la Negrara, la Pavana, la Peverella, la Turca, la Corbinella, la Rossara, la Vernazza, la Verdealbara.
 
Merita un encomio, doveroso, anche la cantina «El Zeremia» che in Val di Non ha rilanciato il Groppello di Revò e un altro vitigno storico, il Maor, varietà a bacca bianca presente già nel Settecento. Ed ancora: Alfio Nicolodi che in Val di Cembra ha ridato vita ad uno storico vitigno: il Lagarino Bianco che ha rivelato una straordinaria vocazione (e longevità) per la spumantizzazione.
 

La presentazione del volume nel padiglione della Puglia.
 
 In Alto Adige le vigne monumentali di Magrè e di Castel Katzenzungen 
In Alto Adige il volume dedica un giusto riconoscimento al vignaiolo Robert Cassar, custode della «Regina di Margreid», una vigna monumentale della varietà Hoertroete (Roter Hoertling) aggrappata alla parete di un'abitazione nel cuore del paese. Da oltre quattro secoli (fu messa a dimora nel 1601 da Clement Feichter) rappresenta il simbolo di Magrè ed è tutelata come monumento naturale dalla Provincia Autonoma di Bolzano. Ogni anno regala un vino rosso dai colori violacei, sapido in bocca, di buona struttura con tannini eleganti e un corredo polifenolico che lo sostiene anche dopo lunghi periodi di affinamento.
Altro monumento vivente altoatesino è la vecchia vigna di oltre 300 anni Versoalen di Castel Katzenzungen (Prissiano) che si estende per 300 metri quadrati attorno alle mura dell'antico maniero. Attorno alla «regina madre» sono state messe a dimora nel corso degli anni altre piante della stessa varietà. Il vigneto, ammiratissimo al punto da diventare una «star» del territorio, produce ogni anno due quintali d'uva.
 

Le vigne centenarie di Foja Tonda in Valdadige al confine tra Veneto e Trentino.
 
  Storie di vignaioli, di sindaci, di piccole comunità, di associazioni 
Gli autori del volume, convinti che la vera sostenibilità in vigna parte dalla tutela e dalla salvaguardia della biodiversità viticola di ogni territorio, hanno inserito nel testo anche alcune storie di sindaci, di piccole comunità, di associazioni ed aziende che hanno collettivamente e concretamente contribuito alla salvaguardia della biodiversità viticola locale tutelando vecchie vigne, storici sistemi di allevamento ed ancestrali pratiche agronomiche.
Per la presentazione al pubblico, a Vinitaly, il volume si è avvalso degli autorevoli interventi di un luminare della materia, il prof. Attilio Scienza dell'Università di Milano, della prof. Manna Crespan del Centro Ricerca per la viticoltura ed enologia di Conegliano, del giurista Danilo Riponti, accademico della Vite e del Vino, del prof. Angelo Radica presidente dell'Associazione nazionale Città del Vino, e della giornalista Monica Larner responsabile per l'Italia della Guida The Wine Advocate di Robert Parker.
 

Lorenzo Zadra (cantina El Zeremia) nume tutelare del Groppello di Revò.
 
  Monica Larner: «Nessun Paese al mondo può vantare un tale patrimonio» 
Presentando il volume, Monica Larner, responsabile per l'Italia della più prestigiosa Guida americana dedicata al pianeta vino, ha dichiarato che «l'Italia ha il grande vantaggio competitivo delle mille varietà di vitigni autoctoni presenti nella Penisola e che altri territori non hanno. Nessun altro Paese al mondo può vantare un simile patrimonio ampelografico. Questa straordinaria diversità genetica - ha aggiunto - assume un'importanza ancor maggiore oggi mentre affrontiamo i cambiamenti climatici e discutiamo di protocolli per la sostenibilità. Nascosto da qualche parte tra i vasti vigneti d’Italia c’è un’uva più adatta a resistere alla siccità, al caldo, all’umidità o a qualunque altra sfida possa presentarsi» ha concluso Monica Larner.
 

Robert Cassar, custode della monumentale vigna di Magrè, con due grappoli di Roter Hörtling.
 
  Luigi Moio: «La biodiversità della vite è una risorsa culturale dell'Italia» 
Il prof. Luigi Moio, presidente dell’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino (OIV) nel suo intervento ha dichiarato: «Assodato che l’Italia rappresenta il Paese con il maggior numero di vitigni e quindi con la massima espressione di biodiversità viticola, potrebbe sembrare inutile o superfluo continuare a ricercare ulteriori testimonianze di vitigni dispersi nella sua storia. È vero, ma è altrettanto vero che questa diversità è oggi minacciata da un’emergenza climatica che rischia di portare ad una pericolosa omologazione dei vini privandoli delle loro principali peculiarità distintive.
 
Oggi, dunque, è ancor più necessario riuscire a ricollegare sempre il vino al suo territorio d’origine. Se un vino non riesce a rendere riconoscibile la sua origine perde gran parte della sua forza anche a livello commerciale. La biodiversità della vite - ha aggiunto - è quindi a tutti gli effetti una risorsa culturale (e non solo colturale) dell’Italia. La diversità biologica della vite coltivata, risultato di migliaia di anni di selezione e determinata dalle mutazioni, dalla ricombinazione genica e dall’effetto delle pressioni selettive operate dal clima e dall’uomo, è un’eredità che la natura e i nostri antenati ci hanno lasciato e che non può essere ricreata in laboratorio. Una volta distrutto questo capitale non potrà essere ricostituito e sarà perso per sempre.»
 

La monumentale vigna di Versoalen addossata a Castel Katzenzungen (Prissiano).
 
  Attilio Scienza: «Dagli antichi vitigni è possibile capire la storia degli uomini» 
Il prof. Attilio Scienza, a sua volta, ha sottolineato che «se si vuole conoscere la storia di un territorio viticolo attraverso le vicende che hanno accompagnato l’affermazione dei suoi vini è necessaria una riflessione che parta dai suoi vitigni originali, perché solo attraverso questi è possibile capire la storia degli uomini, della loro cultura ed evoluzione culturale, dei cambiamenti climatici e del sistema sociale in genere. I vitigni infatti sono gli elementi stabili per una infinità di generazioni di viticoltori: gli uomini muoiono, ma i nuovi abitanti, pur aggiornando le abitudini, mantengono e spesso incrementano i vitigni dei loro predecessori. L’attuale crisi della biodiversità nelle specie vegetali in genere è stata definita la sesta estinzione e rappresenta solo un aspetto dell'attuale tendenza alla semplificazione delle differenti manifestazioni della vita, dove purtroppo la monocultura della mente è più devastante di quello biologica.»
 

Antonio Tebaldi ammira i grappoli di viti centenarie che ha salvato dal rischio estinzione.
 
 L’Italia ha una grande responsabilità nei confronti della cultura vitivinicola europea 
«Conservare la biodiversità - ha aggiunto il prof. Scienza - non significa tuttavia mantenere le varietà di vite in una collezione, ex situ, dove raccogliere come in un museo i genotipi a rischio di scomparsa ma, per le profonde connessioni tra vitigno antico e cultura del luogo che lo ha selezionato e coltivato fino ad ora, queste varietà devono ritornare ad essere le protagoniste dello sviluppo agricolo ed economico di quelle popolazioni. Un vitigno autoctono smette di essere una curiosità biologica e diventa cultura nello stesso momento in cui esce da una collezione ampelografica e ritorna ad avere un rapporto con lo spazio.»
«L’italia ha una grande responsabilità nei confronti della cultura vitivinicola europea - ha concluso - quella di custodire il senso della storia che è insito nella tradizione, di mantenere vivo quel rapporto che esiste tra universalità del mito e tradizione, dove i segni tangibili dei simboli sono veicolati dai vitigni antichi, dalle persone e dai luoghi che ce li fanno rivivere.»
 

Lo storico vigneto Bursòn della famiglia Longanesi a Bagnacavallo (Ravenna).
 
  I viaggi di Graspo su e giù per l'Italia diventano un libro fondamentale 
L'enologo Aldo Lorenzoni, il curatore di quest'opera monumentale, accademico della Vite e del Vino, vulcanico direttore per più lustri dei Consorzi di Tutela del Soave, del Recioto, del Durello dei Lessini, dei vini di Arcole e Merlara, per la prima volta accanto all’identificazione, alla storia, alle caratteristiche del vitigno e del vino, ha voluto valorizzare (chapeau!) le persone incontrate nel suo lungo viaggio su e giù per l'Italia, i veri «custodi» del patrimonio vitivinicolo italiano. E, dopo aver eseguito numerosissimi prelievi di materiale vegetale per stabilire l’identità dei singoli vitigni, scoprendo ad oggi 15 nuove varietà di uva, tornato a casa, nella natìa Monteforte d'Alpone, ha realizzato centinaia di microvinificazioni.
 

Gianpaolo Girardi, l'Indiana Jones dei vitigni perduti e riportati a nuova vita in Trentino.
 
  Aldo Lorenzoni: «Per i vini del futuro dobbiamo guardare al passato» 
«Il nostro - racconta Aldo Lorenzoni - è stato un lungo viaggio di incontri e scoperte che abbiamo voluto raccontare in questo testo, che non può essere esaustivo e non vuole nemmeno essere un mero catalogo di aziende e vitigni a rischio estinzione, ma una esperienza immersiva in questo mondo spesso dimenticato che tocca tutte le regioni italiane mettendo in relazione tra loro i custodi del territorio e i centri di ricerca.»
Guardando alle sfide del futuro, Lorenzoni da questa esperienza ha tratto l'insegnamento che «per i vini del futuro dobbiamo guardare al passato».
 

Emilio Bulfon (il primo a sinistra), figura leggendaria degli antichi vitigni friulani.
 
  Importante ora è sviluppare sinergie con le Università e i Centri di ricerca 
Il progetto di GRASPO dall’iniziale ricerca di vitigni perduti con rilievi, microvinificazioni e creazione di campi di conservazione, progetto consolidato nel tempo con l’iscrizione dei vitigni al Registro nazionale, ora si allarga alla divulgazione, alla sensibilizzazione e all'informazione, con il diretto coinvolgimento delle aziende custodi di ogni territorio e sviluppando sinergie con Università e Centri di Ricerca.
Azioni concrete che non si limitano alla sola salvaguardia del patrimonio genetico, ma cercano di capire quali risposte possiamo oggi avere da questi vitigni dimenticati nella sfida lanciata alla viticoltura italiana dal cambiamento climatico.
 

 
  Oggi il consumatore chiede vini più freschi, meno alcolici, di facile beva 
Ecco allora che «cultivar», oggi considerate marginali, possono con le loro caratteristiche rispondere al gusto del consumatore moderno che chiede ad un vino più freschezza ed eleganza. La tendenza del mercato oggi è orientata sempre più verso vini meno alcolici, meno pesanti, meno tannici, meno opulenti, più sapidi e di facile beva. E la risposta la si può trovare in alcuni vitigni del passato senza dover spostare la viticoltura verso areali ad altitudini più elevate alterando equilibri ambientali e paesaggistici.

Proprio l’importanza strategica di questo percorso di ricerca e coordinamento richiede oggi una nuova attenzione a queste tematiche anche da parte delle Istituzioni per permettere la salvaguardia di risorse genetiche che le attuali norme sembrano invece ostacolare. Servono, a questo punto, percorsi dedicati ed attenzioni specifiche per la catalogazione e la registrazione di questi vitigni e per la loro messa in sicurezza. Un allarme che arriva dai cento e più «custodi» del patrimonio ampelografico del BelPaese che ritroviamo citati nel volume.

In alto i calici. Prosit!
Giuseppe Casagrande - g.casagrande@ladigetto.it

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