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Risse dei giovani e l'indifferenza – Di G. Maiolo, psicoanalista

In parte è una reazione difensiva, ma solo in parte: è più di tutto è apatia, muro di gomma, complicità con la violenza e assenza di attenzione e di empatia

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Impressiona vedere un angolo di strada trasformato in una «plaza de toros» dove ci si accoltella. Inaccettabile la violenza delle risse che nascono per regolare conti o far vedere chi è più forte. Ma ormai accade e fa sempre notizia, anzi fa accorrere «fotografi in erba» e cronisti veri che hanno il dovere professionale di raccontare ciò che accade.
Così lo spettacolo della violenza, già normalmente quotidiana e sempre più massacrante, prosegue e si esalta, diventa occasione per comparire e mostrarsi anche solo di striscio o di spalle. Succede ovunque e Roè Volciano (Brescia) è solo un dettaglio, una localizzazione casuale del disagio che sta dietro a questi comportamenti.
 
Molte sono le letture possibili e alcune, consuete che sembrano mantra logori come quello del dar colpa ai social (che non sono innocenti ma nemmeno responsabili di tutto) e al loro uso eccessivo da parte dei giovani e degli adulti che li frequentano e li demonizzano, li negano e insieme li affermano.
Ci sta l’ambivalenza, perché segnala una delle tante incongruenze e contraddizioni di quella educazione distante o povera se non addirittura assente, che la fa da padrona oggi e risveglia gli adulti di riferimento dal sonno della ragione, quando il fuoco si è messo a bruciare intenso e mortifero. Non prima.
 
Nessuno invece parla dell’indifferenza che attraversa i ragazzi e nessuno ricorda che sono gli adulti, a diverso titolo ad insegnare loro quel non «immischiarsi» mai nelle storie degli altri e a insistere sul tormentone del «Tu, fatti gli affari tuoi!» che è diventato un imperativo educativo fatto di parole e di comportamenti quotidiani.
Così dovrebbero impressionare non solo i coltelli che brillano e la violenza dei «gladiatori» di turno che si esibiscono sul ring, ma ancora di più la «platea» e degli osservatori che sta attorno a guardare e a video-riprendere il match offensivo.
 
Perché quasi tutto ormai è diventato competizione e gara, tutto è spettacolo che serve per diventare virali e mostrare muscoli e potenza, violenza verbale e fisica. Guai a far vedere solidarietà, men che meno soccorrere la vittima. Meglio tacere e filmare e non mostrare fragilità che fa vergognare quegli adulti che non vogliono figli «molluschi».
Gli adolescenti che accerchiano le lottatrici armate e sembrano duplicare il modello maschile offensivo, non se la inventano l’indifferenza. La maggioranza silenziosa è sempre esistita come pure quella dei curiosi che stanno a guardare un incidente stradale e nessuno chiama soccorso.

Possiamo dire che accade per paura? Certo, ma spesso è una giustificazione comoda, pari a quella delle vittime di bullismo che insieme ai bulli ti dicono che si tratta di un gioco divertente.
Dietro a quelli che vedono e non dicono, che sanno e tacciono c’è il peggiore dei mali: l’indifferenza. Che è un impermeabile con cui gli adulti ipocritamente si proteggono e si tengono a distanza dalle emozioni, lontani dal dolore dell’altro per timore di esserne travolti.
In parte è una reazione difensiva, ma solo in parte e, più di tutto è apatia, muro di gomma, complicità con la violenza e assenza di attenzione e di empatia. Ed è questo quello che insegniamo.

Giuseppe Maiolo - psicoanalista
Università di Trento - Docente di psicologia delle età della vita
www.iovivobene.it

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